Il cancro nel mondo e in Europa
Accanto a chi soffre spendendo pochi
spiccioli d’amore in cambio di una “buona morte”
di Ernesto Bodini
Secondo
l’OMS nel mondo ogni anno si ammalano di cancro 6 milioni di persone, mentre 4
milioni sono i decessi: un terzo di questi ultimi e la metà dei primi vivono
nei Paesi considerati “in via di sviluppo”. In Europa il cancro è responsabile
del 20% delle morti: ogni anno sono oltre 3 milioni i nuovi casi e 1,7 i decessi
provocati da questa malattia nelle sue varie manifestazioni, che rimane la
principale causa di morte e invalidità dopo le patologie cardiovascolari. Ma al
di là delle statistiche (pur sempre utili come “stimolo” alla prevenzione),
oltre all’inevitabile impatto psicologico che il “male implacabile” tende ad
avere sull’opinione pubblica, ne consegue la necessità di una più ravvicinata
conoscenza del problema, soprattutto attraverso il perfezionamento ed un
maggiore impegno tecnologico per il malato grave con l’attenzione umana di chi
cura e di chi più semplicemente assiste. Spesso, però, l’incapacità di guardare
in faccia la morte impedisce di dar conforto e calore umano a chi sta per
cessare di vivere. Nel suo libro “Death,
the Final stage of Growth” (la
morte, ultima fase della crescita) Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004, nella foto),
psichiatra svizzera e docente di medicina comportamentale, sostiene che la
persona consapevole di dover morire passa attraverso un certo numero di stadi:
quello del rifiuto (“No, non io”), della rabbia (“Perché
proprio io?”), della richiesta di
proroga (“Se solo il Signore mi
lasciasse in vita quanto basta per vedere sistemati i ragazzi”), della depressione (“Si, è toccato a me”) e
infine dell’accettazione (“Sta per succedere
veramente”). L’ordine in cui si
presentano gli stadi non è necessariamente questo: può accadere che una persona
non superi mai lo shock iniziale, o che prima si rassegni e poi si infuri;
oppure che passi simultaneamente attraverso differenti stadi. «È sicuramente dannoso – avverte la specialista –, improvvisarsi psicologi inducendo il morente a
superare gli stadi in cui si pensa si trovi: una morte dignitosa è una morte
che rispetta il carattere della persona. Chi è abituato a lottare morirà
lottando, mentre l’uomo calmo affronterà la morte in modo sereno”.
Non
bisogna dimenticare che parte dei pazienti, anche quando sembrano aver perso
conoscenza, o sono in coma, conservano i sensi dell’udito e del tatto fino alla
fine, e che inoltre possono provare emozioni. «Quando si pensa al dolore – precisa la psichiatra – vengono in mente coloro che restano. Ma è il morente
che ha più bisogno di simpatia e comprensione. È lui, dopotutto, che sta per
lasciare ogni cosa. Non serve dirgli: “Coraggio, non va poi così male”. È giusto, sono i suoi suggerimenti, fare in modo
che dia libero sfogo al proprio dolore; starlo a sentire quando parla e non
cercare di cambiare discorso solo perché ci si sente imbarazzati e a disagio.
Non si può evitargli di morire. Ma negare l’evidenza di ciò che gli sta
accadendo significa lasciarlo solo di fronte alla morte e rendergli tutto più
difficile. Ascoltandolo e mostrandoci disposti ad accettare i suoi sentimenti,
invece, si può aiutarlo a sentirsi meno solo. Analogo è il pensiero della
torinese Irene Mathis, cardiologa e medico di famiglia, per anni presidente
della sezione piemontese della Associazione Medici Cattolici Italiani
(recentemente scomparsa), che ho avuto modo di seguire in alcuni convegni
sull’argomento, la quale sosteneva: “Spesso
questi malati hanno dei desideri molto semplici, che non riescono ad esprimere
se nessuno dà loro il tempo ed il modo di esprimersi; oppure, timori, paure,
aspettative che possono avere una risposta. Dare loro il tempo e l’accoglienza
giusta a ciò che dicono è tanto importante quanto la presenza fedele, e questo
può evitare loro la disperazione perché sanno che c’è una presenza umana, una
fraternità».
Gli
anziani in particolare, temono molto la morte, ma più ancora temono il modo di
dover morire: in stato di abbandono, lontani dagli affetti e dalle cose di ogni
giorno alle quali sono quasi sempre tenacemente attaccati, perché spesso
costituiscono l’unica cosa rimasta loro. È anche opinione comune che chiunque
si trovi di fronte a chi soffre debba avere inoltre una grande umiltà e un
grande rispetto, giacché la sofferenza è un mistero che conosce veramente
soltanto chi lo vive; l’uomo che soffre ha certamente lo sconfinato desiderio
di esprimersi con tutte le sue facoltà. «Il
dolore è quello fisico – ha
affermato in occasione di un convegno don Ferrari, già cappellano dell’ospedale
Molinette di Torino – e la sofferenza ha una
ragione più profonda, unica in ogni persona, in quanto identifica la carenza di
alcuni valori che per taluni sono importantissimi, mentre per altri non hanno
molto significato». È quindi opportuno
che la fine di questi che chiamiamo con un eufemismo “malati terminali”, che in
senso più restrittivo sono i malati di cancro all’ultimo stadio ma che per
analogia comprende tutti i moribondi, venga resa più umana facendo in modo che
avvenga al domicilio del paziente. Morire in casa circondati dai propri cari e
tra le cose di ogni giorno è un desiderio di tutti, perché ci consente di
vivere una forma di continuità, di perennità di noi stessi pur nell’ineluttabilità
della morte. Ma quanto e cosa si può dare ai malati che soffrono e stanno per
morire? Se non si può dare una risposta sotto il profilo quantitativo,
certamente è possibile offrire le proprie disponibilità e comprensione:
semplicemente tenendo loro la mano, ascoltandoli e mostrandosi disposti ad
accettare i loro sentimenti. Semplici atti come quello di sedersi al capezzale
del malato sofferente, possono servire a creare un rapporto di tenera e
amichevole complicità. Ecco che lo spendere una parte del proprio tempo e dei
propri sentimenti a favore di chi soffre è sufficiente per stendere quel velo
di intesa tra il nostro piccolo (ma molto piccolo!) mondo e quell’Universo di
cui tutti siamo frammenti. In fondo si tratta di offrire pochi spiccioli d’amore
in cambio di una “buona morte”.
La fotto in basso è tratta dal sito www.attualissimo.it
Commenti
Posta un commento