CARENZA
CULTURALE: POCA LETTURA, POCHI RICORDI
È inutile ricorrere ai quizi televisivi se non si è letto
nemmeno storie
dal significato umanistico per la propria crescita
psico-pedagogica
di Ernesto Bodini
Leggere,
studiare; due verbi che hanno sempre coinvolto gran parte dell’umanità da
secoli, ormai. Ma quanti, avendo avuto tali possibilità, hanno dato il meglio
di sé? E con quali risultati? E a distanza di tempo quanto ha influito la
memoria? Laureati o autodidatta dal punto di vista del sapere in realtà non fa
molta differenza perché l’obiettivo del saepere, del conoscere e di imparare
non ha limiti per alcuno (fatte le debite eccezioni in rispetto a quei popoli
confinati nella povertà più assoluta). Ma vi è una povertà più grave, ossia
l’ignoranza (attiva) ed essa è una colpa come ebbe a sentenziare il linguista
Tullio De Mauro (recentemente scomparso), riferendosi all’analfabetismo come
quello funzionale, ossia l’incapacità di passare dalla lettura alla
comprensione di un testo anche semplice. A dimostrazione di questa realtà si
possono citare molti esempi: dal fatto che circa il 60% degli italiani non
legge un libro all’anno (anche se annualmente gli editori sfornano decine di
titoli, soprattutto per la narrativa e le poesie); inoltre, da tempo sono le
emittenti televisive pubbliche e private nei loro palinsesti ad “imporsi” con
programmi di quiz, attraverso i quali molti concorrenti si “sfidano” a chi sa
meglio e di più, non certo per esternare la propria saccenza ma per rincorrere
i premi in palio, solitamente denaro. In tutti questi anni, tra le migliaia di
concorrenti, non sono mancate le “esibizioni” di emeriti somari (anche
laureati) con gaffe davvero riprovevoli, dimostrando di non aver studiato,
letto e imparato anche le nozioni più basilari... Ma questa schiera di
“esibizionisti” per immagine e venalità, non sono i soli sul campo
dell’ignoranza, ma accompagnati dai nostri rappresentanti politici che in fatto
di strafalcioni in gran parte sono dei veri maestri e, a riguardo, si potrebbe
citare una miriade di esempi. Ebbene, a tutti questi vorrei chiedere se
ricordano di aver letto, ad esempio, il libro Cuore di De Amicis, ed eventualmente se hanno “assorbito” il
profumo di una storia che per certi versi richiama le nostre realtà quotidiane;
una sorta di ricorso storico tale da porci in evidenza i mali che continuano ad
accompagnare il genere umano: povertà, abbandono, alienazione degli affetti e
della dignità, soppressione della vita umana, etc. Non potendo avere riscontri
mi limito a rievocare una iniziativa culturale intrapresa a Torino trent’anni
fa.
Era
il 13 dicembre del 1986 quando presso la Mole Antonelliana veniva inaugurata la
mostra “Cent’anni di cuore”,
promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune in collaborazione con
Università, biblioteche civiche e la Fondazione Colonnetti. Tale rassegna è
stata motivo di rievocazione dei cent’anni dalla pubblicazione di Edmondo De
Amicis (1846-1908), l’unica opera letteraria, oltre a quella di “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”, di Carlo Lorenzini, detto
Collodi (1826-1890), ad essere passata fra le mani di quattro-cinque
generazioni senza cadere nell’oblio come molte altre (ma oggi è ancora in
piedi?). La mostra ha avuto lo scopo precipuo di far entrare direttamente il
visitatore nel mondo di Cuore,
offrendogli alcune strade di avvicinamento che gli consentissero di capirne
soprattutto i parametri storici e gli ambiti di riferimento. La mostra era
articolata in tre parti o percorsi espositivi. La prima parte riguardava un
filmato introduttivo comprensivo di alcune stazioni riproducenti fotografie,
quadri, e documenti dell’epoca; la seconda parte conduceva il visitatore
all’interno del testo, che aveva così modo di riscontrare il carattere
letterario relativo all’operazione ideologica che l’autore ha inteso
realizzare. Infine, la terza parte poneva in rilievo i temi bibliografici in
cui l’analisi della genesi, le influenze e gli sviluppi dell’opera nell’ambito
dell’editoria per l’infanzia, erano strettamente legati al materiale
iconografico che, nel corso di un secolo, è stato prodotto ad illustrazione del
libro il cui catalogo pubblicato da Allemandi era illustrato
con rare tavole in bianco e nero e a
colori.
Dopo
un breve periodo dedicato alla carriera militare, Edmondo De Amicis (nella foto) si dedicò alla professione
di scrittore segnata dal suo primo successo con il volume “La vita militare”, in cui con bozzetti convenzionali e sentimentali
ritrasse il suo ambiente. Negli anni della maturità, il problema
dell’educazione e dell’elevazione del popolo affascinò il suo spirito. Fu così
che nel 1886 scrisse Cuore, il libro
per ragazzi che ebbe tanta fortuna e che è stato il suo capolavoro... e sarebbe
doverso considerarlo ancora tale. Fu pubblicato nell’ottobre dello stesso anno
dall’editore Treves di Milano, e costava due lire in versione brossure, tre
lire rilegato in tela e oro. In seguito fu pubblicato in quindici lingue
straniere, fra cui in esperanto nel 1936 e in latino nel 1958, e una successiva
riedizione in inglese è stata pubblicata nel 1986. Le problematiche legate
all’istruzione scolastica, soprattutto riferite al periodo “sociale”,
coinvolsero la sensibilità di De Amicis tanto da indurlo a scrivere “Il romanzo di un Maestro” nel 1890 e “Fra scuola e casa” nel 1892; due opere
altrettanto significative che fanno di quest’autore, lo scrittore più
rappresentativo di un certo manzonismo minore, nonché il più amato e il più
letto (forse più ieri che oggi) dal gran pubblico a cui egli era vicino per
gusti e aspirazioni. Un excurus storico letterario che non ha perso (e non deve
perdere) il suo significato, tant’é che ho voluto rievocarne la mostra a
distanza di trent’anni.
Commenti
Posta un commento