STORIE D’AMORE DI ALTRI TEMPI
Profondità e nobiltà dei
sentimenti in un’era in cui l’amore comprendeva non solo il rispetto reciproco
ma anche il dar valore alla persona al centro di un’esistenza comune
di Ernesto Bodini
Per riscoprire
il valore dei sentimenti come quello dell’Amore puro, io credo, è forse
indicativo tornare indietro di qualche decennio, periodo in cui si possono
trovare riscontri in cosa significa manifestarsi l’un l’altra; e perché no,
prendere esempio non tanto dalle “effusioni” (forse un po’ meno manifeste per
quei tempi), quanto invece dal modo di esprimere per iscritto quale forma
particolarmente delicata, che oggi per i più suonerebbe fuori luogo e oggetto
di struggente ironia... Tra i rari esempi di una corrispondenza assidua,
manifesta e di encomiabile costanza figura “La storia d’amore del grande Nobel per la pace. Lettere dal 1901 al
1913 tra Albert Schweitzer e Hélène
Bresslau” (Edizioni Città Nuova 1992, pagg. 404). Il corposo carteggio,
tradotto dal tedesco da Teresa Franzosi, è a cura della figlia di Schweitzer,
Rhena Miller (1919-2009) che prima di morire ha voluto “regalarci” facendoci
conoscere due personalità eccezionali che, nel corso di poco più di un
decennio, andarono avvicinandosi l’un l’altra per poi condividere l’intera
esistenza dedicata al prossimo nel lontano Gabon. Moltissime le lettere,
rigorosamente datate, attraverso le quali il futuro nobel emerge per la sua
limpida ed “imperiosa” evoluzione spirituale, meditando sul maturato desiderio
di recarsi in Africa; come pure per i suoi molteplici interessi letterari,
musicali e scientifici, ma in particolare per gli approfondimenti sul messaggio
di Gesù con l’intento di renderlo accessibile all’uomo moderno. Tra i due fidanzati, che si erano conosciuti nel 1898 ad una
festa nuziale di conoscenti comuni, e qualche frequentazione in altre
occasioni, si è manifestata un’amicizia pura, spontanea che con il tempo è
stata suggellata da un tenero affetto a cominciare da quel delicato appellativo
di «Gentilissima Signorina», lui, «Mio caro amico», lei; per poi proseguire
con «Mia cara compagna» e «Amico mio». Iniziali approcci di epistole
che sembrerebbero scontati se non banali, ma che in realtà sono l’inizio di lunghi
ed interminabili dialoghi (spesso tra residenze ed impegni diversi), che vanno
dallo scambiarsi profonde riflessioni esistenziali al comunicare i rispettivi impegni
culturali ed occupazionali. Via via le lettere si fanno sempre più intense per
quantità e profondità d’animo, e in una di queste Hélène esprime una
straordinaria consapevolezza: «... io
conosco il mio destino, so qual è: un destino di donna in tutta la sua
pienezza, in un altro senso, però, e senza quello che usualmente costituisce la
piena felicità d’una donna. Un’attrazione continua verso – e una lotta
incessante contro – il desiderio, con il proposito cosciente di riuscire a
smorzarlo, ma anche di riuscire a conservarlo. Amico mio, la cosa migliore che
sia stata posta in cuore a noi donne, il meglio che abbiamo da dare all’uomo
che amiamo, è la nostra abnegazione; privandosene la donna si priverebbe di ciò
che costituisce la quintessenza della femminilità. E l’unico timore che ho è
quello di poter smarrire questo senso di abnegazione...».
La
profonda sensibilità e la “disarmante” schiettezza della giovane Hélène non
fanno che “stimolare” il senso di altrettanto coinvolgimento di Albert, che
sente sempre più il bisogno di dialogare con lei e di confidarle ogni suo
“passaggio esistenziale” e, in un passo per certi versi più intimo, nel 1908 da
Parigi le scrive: «... per me pensare a
Lei è come sognare. Qualcosa di semplice e profondo pervade tutto il mio
essere. Nei miei pensieri regna una quiete profonda... e tuttavia la mia mente
lavora! Ma tutti i miei pensieri incedono solenni, nel vestito buono della
domenica... pieni di pace e gioia sabbatiche. Non è un mistero che Lei mi dona
questo e mi ritrovo a pensare: che anima bella deve possedere, è davvero
l’anima che Le si legge negli occhi». Queste ed altre espressioni
continuativamente reciproche e dal tono sempre più confidenziale e mai privo di
riverenza, caratterizzano il corposo epistolario che si conclude con il
matrimonio civile del 15 giugno 1912 celebrato a Strasburgo, e il 18 dello
stesso mese con il rito religioso nella chiesa di Günsbach. Il Venerdì Santo
del 21 marzo 1913 Albert ed Hélène (nella
foto) partirono da Günsbach alla volta di Lambarènè (Gabon), dove avrebbero
condiviso gran parte della propria esistenza in soccorso ai più umili e diseredati.
Definire questa storia d’amore e di vita a lieto fine sarebbe troppo retorico,
se non banale; mentre a mio avviso va rilevata la grande testimonianza umana
del periodo della lunga frequentazione epistolare e successiva convivenza
africana, cui seguirono gratificazioni professionali e di celebrità, consci che
un essere umano assolve il suo più alto dovere nella vita cercando di integrare
tutti doni che ha ricevuto dalla natura.
Commenti
Posta un commento