L’escalation della povertà locale e mondiale
Anche il monito del
Pontefice non riesce a “curare l’otite” dei potenti
del mondo: non c’é
peggior sordo di chi non vuol sentire
di Ernesto Bodini
È di questi giorni, ma
non è una novità, la ridondanza della crisi in fatto di sopravvivenza così in
Italia come nel resto del mondo, anche in molti Paesi occidentali. Per fare
alcuni esempi in Spagna uno su 5 è sotto la soglia e nel sud è emergenza, in Francia
in un anno un milione di poveri in più; in Germania l’economia cresce le
famiglie no, etc. Ma per scandalizzarsi basterebbe restare in casa
nostra, in quanto il problema povertà pare stia giungendo al culmine: si parla
di povertà assoluta soprattutto tra i minori: già tre volte tanto tra il 2007 e
il 2013, e oggi vi è una sostanziale recrudescenza. Nel dettaglio i minori in
povertà assoluta sono 1 milione 292 mila (12,5%), circa 200 mila in più
rispetto all’anno precedente; e le famiglie in maggiori difficoltà sono quelle
con tre o più figli minori soprattutto nel sud. Inoltre, in questi ultimi anni
anche le fasce di età tra i 18 e i 34 anni soffrono di una certa indigenza: si
è passati dal 2,7% dei casi nel 2007 al 10% nel 2016. Da una nota dell’Ansa si
rileva che, la posizione professionale della persona di riferimento, incide
molto sulla diffusione della povertà assoluta. Ed è anche quanto rileva l’Istat
nel report “La povertà in Italia” relativo al 2016. Per le famiglie la
cui persona di riferimento è un operaio, l’incidenza della povertà assoluta è
doppia (12,6%) rispetto a quella delle famiglie nel complesso (6,3%),
confermando quanto registrato negli anni precedenti. Rimane, invece, piuttosto
contenuta tra le famiglie con persona di riferimento dirigente, quadro e
impiegato (1,5%) e ritirata dal lavoro (3,7%). Come negli anni precedenti
l’incidenza di povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio
della persona di riferimento: 8,2% se ha al massimo la licenza elementare; 4,0%
se è almeno diplomata. La povertà relativa colpisce di più le famiglie
giovani: raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è un under 35 mentre
scende al 7,9% nel caso di un ultra 64enne. L’incidenza di povertà relativa si
mantiene elevata per gli operai e assimilati (18,7%) e per le famiglie con
persona di riferimento in cerca di occupazione. Tassi elevati che “impegnano”
sia gli economisti e i sociologi che i nostri governanti, deputati ad
affrontare questa evoluzione senza “nascondersi” alle mille scuse ormai note al
cittadino italiano. Se poi a questa realtà aggiungiamo il problema immigrazione
in tutti i suoi contesti e gli eventi climatici, c’é di che preoccuparsi non
poco… L’effetto povertà, in Italia, ha pure “favorito” una escalation in tema
di assistenza sanitaria: nel 2016 più di 12 milioni di cittadini (un
quinto della intera popolazione) non hanno potuto (e/o voluto) ricorrere alla
sanità pubblica per motivi economici; tra questi soprattutto non
autosufficienti, malati cronici, e residenti al sud; ma anche a causa di liste
di attesa sempre più lunghe, costringendoli a ricorrere alla sanità privata e,
gioco forza, rinunciando anche a questa.
Ma come sta evolvendo
la situazione a livello planetario? Secondo lo statunitense David Saul Landes
(1924-2013, nella foto), già professore emerito di storia ed economia
alla Harvard University, autore di diverse opere sull’argomento come “Storia
del tempo. L’orologio e la nascita del mondo moderno” (Mondadori, 1984), “A
che servono i padroni? Le alternative storiche all’industrializzazione”
(Bollati Boringhieri, 1987), “Banchieri e Pascià” (Bollati Boringhieri,
1990), “Prometeo liberato. La rivoluzione industriale dal 1750 a oggi”
(Einaudi, 1990); e “La ricchezza e la povertà delle nazioni. Perché alcune
sono così ricche e altre così povere” (Garzanti, 2000), i Paesi occidentali
hanno potuto svilupparsi velocemente grazie a una società in grado di
valorizzare e favorire il lavoro e la conoscenza, e ottenere così l’aumento
della produttività e la creazione di nuove tecnologie. «Oggi – precisava
nella sua ultima pubblicazione – i detentori dell’economia mondiale stanno
seguendo proprio questo percorso, mentre chi resta indietro non è stato in
grado di replicare questa formula. La condizione necessaria per aiutare le nazioni
arretrate è comprendere la lezione della storia…». È evidente che le
conseguenze “originate” dalla ricchezza-povertà sono molteplici, e ne
basterebbe una per tutte: la salute, la cui garanzia è data in primis
dalla prevenzione e dall’assistenza. La dimensione planetaria della qualità in
ambito sanitario coinvolge molti Paesi e importanti istituzioni come la Banca
Mondiale, sempre più impegnata nel migliorare i risultati assistenziali dei
poveri, rafforzare i sistemi sanitari, garantire i finanziamenti per il
sostenimento degli stessi, soprattutto mirati a ridurre il tasso mortalità e
morbilità. Lo stretto legame esistente tra la salute e lo sviluppo (spesso
determinato dal non meno esistente legame tra la ricchezza e la povertà)
implica la necessità di una messa a punto non solo della “qualità” dei servizi
che si intende erogare, ma anche la necessità di una integrazione tra i diversi
approcci, metodi, tecniche di analisi e miglioramento degli stessi. Anche il
papa a sostegno di queste fasce “deboli”, recentemente, come riportato dal sito
Servizi Informazioni Religiose (SIR), ha ammonito: «Non amiamo a parole né
con la lingua, ma con i fatti… fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi
settori della società in tutto il mondo». Probabilmente, mi verrebbe da
aggiungere, i potenti del mondo non concepiscono che chi alleggerisce il
fardello di un altro non è mai un fallito, in questo mondo. Ma purtroppo, la
schiera dei falliti è forse più lunga del perimetro planetario…
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