UNA “AZZARDATA”, MA NON TROPPO, ANALISI
SOCIOLOGICA DELLA COMUNICAZIONE TELEVISIVA
Saper comunicare, oggi, è di pochi, e purtroppo si va
sempre imponendo un sistema di chi
non fa parte dei quei pochi: imperversa l’era
dell’apparire e non dell’essere o del saper fare
di
Ernesto Bodini
È
indubbio che in democrazia sussiste e debba sussistere la libertà di parola e
di opinione, come pure il diritto di intraprendenza, specie dal punto di vista
imprenditoriale. Concetti ancorché garantiti dalla Costituzione che trovano
sempre più ampio spazio tanto che i mezzi di comunicazione, specie televisivi,
offrono di tutto e di più... sino all’inverosimile. Si prendano ad esempio i
diversi talk show, in parte dedicati all’attualità, agli approfondimenti politici
e socio-culturali, e in parte ai pettegolezzi... come se chi li realizza e li conduce
e soprattutto chi li segue, non avesse altre preoccupazioni cui dare una certa
priorità. Se le notizie sono utili, e se utile è il sapere cos’è che ci
circonda e che cosa ci può preoccupare (o aiutare), è altrettanto utile e non
meno importante essere informati in modo educato e razionale. Chi ha seguito e
segue i programmi di intrattenimento come “La
Gabbia” e “Servizio Pubblico” (LA
7), “Ballarò” (Rai 3), piuttosto che “Porta a Porta” (Rai 1) o “Sportello Forum” (Canale 5 e Rete 4) avrà potuto
constatare che la conduzione lascia molto a desiderare, in quanto per gran
parte della durata dei programmi i molteplici interventi degli ospiti in studio
(o in collegamento esterno) si sovrappongono (più popolarmente: “si parlano
addosso”), non di rado con alterchi e talvolta al limite della “liceità”, del
buon costume e quindi della buona educazione: conosciamo tutti ad esempio, quasi
a livello planetario, l’irruenza ed altro ancora di Vittorio Sgarbi, o di
Luciana Litizzetto che in alcune puntate del programma “Che tempo che fa” (Rai 3) le sue allusioni (a volte molto
esplicite) lasciavano ben poco alla fantasia, per non parlare della “non
compostezza” dal punto di vista estetico. E, paradossalmente, questi programmi
hanno una maggiore audience proprio per via di questi personaggi... Personalmente, seguendo sia pur a sprazzi
questi talk show per capire fino a che punto si intende sconfinare
nell’irriguardoso e nella non accettazione di ciò che non si riesce a capire, non
intendo ergermi a “giudice o maestro” nei confronti di questo o quel
professionista, ma oggettivamente non sono mai riuscito a comprendere due o più
persone quando parlano simultaneamente e per di più ad alta voce...
Si decanta
tanto il giornalismo, la comunicazione e la buona informazione, ma l’etica del
buon esporre per molti non rientra nel proprio bagaglio del rispetto di chi
deve sapere e soprattutto comprendere. Sono dunque questi, a mio avviso, gli
effetti dei... progressi della comunicazione televisiva e, per dirla sino in
fondo (ma nessuno ci fa caso), i titoli di coda di molti documentari e
programmi vari vengono fatti scorrere assai velocemente, tanto che l’occhio
umano non riesce a “decifrare” in tempo utile: alla faccia della trasparenza!
Ci sarebbe da includere qualche commento su alcune proposte pubblicitarie, la
cui scelta sia tematica che “recitativa” talvolta va oltre la concezione del
razionale.
Vorrei concludere
rammentando quanto sosteneva il filosofo e scrittore francese Albert Camus
(1913-1960): «Chi scrive in modo chiaro
ha lettori, chi scrive in modo oscuro ha commentatori». E questo vale (o
dovrebbe valere) anche per la comunicazione orale e gestuale.
La foto in alto è tratta dal sito Qualitytravel.eu
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