CONCLUSA LA XXX EDIZIONE DEL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
Il superamento dei confini attraverso nuove proposte editoriali.
Un percorso all’insegna del bisogno di avvicinare popoli e culture
di Ernesto Bodini
Il timore era
che le frontiere si dissolvessero, una sorta di “spartiacque” dal punto di
vista culturale e sociale, e invece il tema “Oltre il confine”, ha ben rafforzato (almeno questa è stata la
convinzione degli organizzatori) l’unione delle diverse culture all’interno della
XXX edizione del Salone internazionale del libro di Torino. Oraganizzato dalla
Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura, presieduta da Massimo Bray, è
risultato essere la più grande Fiera editoriale dell’area culturale del
Mediterraneo ed oltre, tanto da consolidare il concetto di comunità: da quella
torinese in primis a quella politica, contribuendo a far incontrare
intellettuali e semplici cittadini, ma anche scolaresche (di ogni ordine e
grado) e tante associazioni culturali e di volontariato. Un obiettivo che
Milano, come è noto, avrebbe voluto per sé, ma che di fatto la caparbietà
subalpina ha saputo far suo respingendo, a mio avviso, ogni tentativo di
appropriazione... indebita. L’appuntamento di quest’anno è stato sottolineato
dall’ottimismo puntando sul possibile incremento di lettori (in parte giovani e
giovanissimi), quasi a “contrastare” la fatidica statistica che il 60% degli
italiani non legge un libro all’anno. Un ottimismo ben ripagato dall’adesione
di 310 editori (noti e meno) e dalla numerosa affluenza di pubblico (oltre 165
mila presenze) che ha visitato gli stand ricchi di moltissimi titoli.
Trent’anni di esposizioni, proposte e divulgazioni è un corpus imprenditoriale
lungimirante e, per certi versi, coraggioso tanto che i risultati hanno in
qualche modo appagato il nostro Paese e i tanti esteri aderenti. Si è così e
formata nel tempo una “comunità di autori e lettori”, che ogni anno cresce di
nuovi adepti, ma anche di nuove Case editrici per cimentarsi con “coraggio” nell’intraprendere
il lungo viaggio da percorrere assieme ai loro lettori. Fra queste ultime
abbiamo avvicinato e intervistato la neonata PM Edizioni di Marco Petrini (con
sede a Varazze – SV), salita sul palco dell’imprenditoria con l’obiettivo di
imporsi sul mercato nazionale e internazionale.
Dottor Petrini, anche
lei oggi alla XXX edizione della Fiera Internazionale del Libro?
“Sono presente per
l’opportunità che mi è stata offerta dall’Università Telematica Pegaso di
Torino, un’occasione per presentare la nostra Collana editoriale “Il Grande Albero”, dedicata in
particolare ai temi delle disabilità e, a questo riguardo, a mio avviso c’é
ancora molto da far sapere e quindi da divulgare”
A parte questo
specifico argomento, di quali altri temi si occupa la PM Edizioni?
“Anche di altri problemi
sociali, per certi versi ritenuti “scomodi”, come appunto la disabilità, ma
anche la devianza, l’omosessualità, la criminalità e la sessualità;
quest’ultima ritenuta ancora un tabù. Temi sociali affrontati per lo più in
chiave scientifica ma nello stesso tempo narrativa”
Quando nasce la
PM Edizioni?“
Nel settembre 2015, con
l’ambizioso obiettivo di diventare una Casa editrice anche sul mercato
internazionale, ed essere di riferimento in ambito scientifico soprattutto per
le tematiche citate. Quindi, non una Casa editrice “generalista” con
particolare attenzione per i temi di rilevanza sociale, ai quali non tutti vi
si dedicano”
Quanti invece i
Collaboratori?“
Oltre a me, un direttore
editoriale e due impaginatori, quasi sempre a tempo pieno”
Qual è il target
dei suoi lettori?
“Sono professionisti,
docenti universitari e comunque specialisti in diverse discipline, sia per
titolo che per esperienza personale”
Quali i primi
risultati a poco più di due anni dall’inizio della sua attività editoriale?
“Non vorrei peccare di
presunzione (o di retorica) ma posso dire che sono soddisfatto: sino ad oggi
abbiamo pubblicato 50 Titoli, aperto tre Collane editoriali (una quarta è in
fase di creazione), due riviste scientifiche, una delle quali dovrebbe
rientrare nella cosiddetta “Fascia A” (ossia
di particolare rilevanza); un’altra è aperta in collaborazione con la Società
Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo (SIEDAS). Attualmente
le pubblicazioni in corso sono 20 e decine gli autori”
Quanti i vostri
lettori, o potenzialmente tali?
“In ambito nazionale
credo che possano essere alcune migliaia per tutte le tematiche trattate”
Come considera la
piazza di Torino per i lettori dei suoi Titoli?
“Direi ottima. Mi
piacerebbe però poter presenziare a più eventi per una più allargata diffusione
delle tematiche che trattiamo, e ciò richiede più risorse e quindi
un’operazione di marketing sempre più appropriata ed estesa nel tempo”
ORIZZONTI SENZA CONFINI... PER UN INCONTRO CON LA
LINGUA DEI SEGNI ITALIANA
Tra gli eventi
pubblici in programma all’interno del Salone del Libro, l’Associazione
Nazionale Scuola Italiana (ANSI TO2), del Polo Didattico di Torino, di cui è
responsabile la professoressa Claudia Pintus, è stato presentato il testo degli
Atti di una Giornata di Studio sul tema “Educazione,
Comunicazione e Lingua dei Segni Italiana” (PM Edizioni) che si è tenuta a
Torino nel febbraio scorso presso la sede dell’Università Telematica Pegaso di
Torino. All’incontro, moderato dalla Pintus, vi hanno partecipato le curatrici
degli atti Loredana Scursatone e Elena Cauda, Enrico Dolza dell’Università di
Torino, l’editore Marco Petrini e chi scrive in qualità di divulgatore. I vari
contributi hanno messo in luce alcuni concetti che meriterebbero essere rivisti,
come ad esempio il fatto che della lingua dei segni italiana (LIS) si sa ancora
troppo poco, e che la stessa ha funzione riabilitativa sul piano educativo e
culturale, e le famiglie sono le prime ad interfacciarsi con questa realtà...
Inoltre, l’estrema frammentazione lessicale va superata volgendo ad una
maggiore omogeneità, etc. Per un ulteriore approfondimento ritengo utile
evidenziare alcuni aspetti di questi lavori, primo fra tutti il fatto che il
nostro Paese è l’ultimo in Europa a non aver provveduto al relativo
riconoscimento giuridico. È alquanto costruttiva e di buon auspicio la sinergia
tra ambito medico, educativo, psico-pedagogico, sociologico e
dell’interpretariato, un summa progettuale che lascia ad intendere determinati
sviluppi affinché la lingua dei segni diventi omogenea e fruibile da tutti gli
insegnanti sul territorio, in grado di “contrastare” gli avversatori della Lis.
Tra gli ostacoli evidenziati bisogna tener conto dei pregiudizi e delle
frammentazioni ideologiche, che fanno da barriera all’accettazione delle
persone sorde; ostacoli che fanno riferimento a quella concezione
culturale ancora molto frammentaria e alquanto discutibile, tanto che anche le
famiglie di queste persone vivono (e soffrono) talvolta per situazioni di
disagio avendo come primo ostacolo la difficoltà nel comunicare.
Opportuna e
realistica la precisazione di Claudia Pintus (tutor accademico Unipegaso)
nell’affermare il superamento del termine “inserimento” (in voga sino agli anni
’70) sostituito in “integrazione”, e nel 2007 l’inserimento del
termine “inclusione” intendendo l’estensione interpretativa dal punto di vista
etimologico. Quindi, così intesi, questi ultimi termini inducono nel contempo a
possibili rimedi per rimuovere gli ostacoli che impediscono ai disabili di
essere accettati nel tessuto sociale; quindi ben venga ogni strategia volta a
rimuovere ogni forma di esclusione, e va da sé che ciò deve avvenire anche
nell’ambit0 scolastico, attraverso l’impegno degli insegnanti. E a questo
proposito la crescita sociale, culturale e professionale per sordi e non sordi
può essere facilitata se la Lis viene attuata anche in ambito universitario, e
un esempio concreto, come informa Anna Cardinaletti (universitaria), è dato
dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove la Lis è insegnata alla stessa
stregua delle altre 16 lingue di specializzazione. E ciò rientra in un progetto
scientifico-didattico più ampio sulla sordità e sui disturbi del linguaggio.
L’autrice precisa che «la Lis non è la
lingua dei sordi, ma una lingua presente nel repertorio della comunità
italiana, ed è l’unica lingua che i sordi possono acquisire in modo spontaneo e
naturale; e permette al bambino sordo di sviluppare una comunicazione efficace
anche nei primi anni di vita». Ma affrontare il tema della sordità
significa anche narrazione, un capitolo che le autrici Cauda e Scursatone
affrontano avvalendosi dello spunto cinematografico (quale spunto più...
convincente?) che, unitamente alla letteratura narrativo-divulgativa,
contribuisce ad “avvicinare” meglio e di più il mondo dei sordi e ipoudenti al
resto della collettività... Le autrici puntano il dito su una realtà che non si
può sottacere: la disabilità non è quasi mai sola poiché la persona disabile ha
pregi e difetti e, proprio per questo, a mio avviso, deve essere considerata al
pari di tutti. Gli interventi richiamano inoltre l’importanza dell’educazione
di un bambino sordo la quale richiede continue integrazioni delle competenze,
proprio perché come in tutti i campi dell’assistenza non ci si può improvvisare
basandosi sulle proprie emozioni e sulla propria buona volontà dell’agire.
In questo
contesto le assistenti alla comunicazione scolastica Susanna Moruzzi e Chiara
Morlini ben sottolineano il fatto che l’integrazione e il bilinguismo devono
essere affidati a figure professionali all’interno delle istituzioni
scolastiche, previ incontri formativi in contatto con lo studente sordo. E, a
tal riguardo, precisano: «La lingua dei
segni è la lingua naturale dei sordi, ma non è una lingua madre, in quanto i
bambini sordi figli di genitori sordi sono solo una minima percentuale e non
sempre segnanti...». Il tema del ruolo delle famiglie nel rapporto con la
società è trattato da Riziero Zucchi (genitore, e già docente), un capitolo per
certi versi particolarmente delicato cui va posta una certa attenzione, e mi
sembra alquanto significativo il citato esempio della vicenda narrata nel film
“L’olio di Lorenzo”, il cui protagonista
genitore in una intervista, nel ribadire che non avrebbe ripetuto l’odissea
della ricerca, concludeva: «... io non
voglio sostituirmi agli esperti; è già tanto che io faccia il mestiere di
genitore. Gli esperti devono fare il loro mestiere». Il percorso
dell’integrazione è ripreso da Augusta Moletto (genitore, e già docente) la
quale ci ricorda che «l’esercizio del
diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà
di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse
all’handicap» (il riferimento è all’art. 12, comma 4 della Legge 104/92);
un diritto che, se non rispettato, invocherebbe l’applicazione della Legge n.
67 dell’1/3/2006 sulle “Misure per la
tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”.
La Moletto invoca, inoltre, l’alleanza tra medici e genitori, proprio perché le
narrazioni di questi ultimi rivolte al personale medico, rappresentano un
valido contributo tracciando il percorso di vita del loro figlio disabile, dal
quale l’operatore sanitario può attingere gli spunti più significativi dello
sviluppo della persona, della sua storia. Anche questo rientrerebbe in un fatto
culturale, mettendo al bando ogni sorta di timore e/o vergogna e individuando
nel sanitario una figura amica, volta alla comprensione, partecipazione e
collaborazione per un crescere... insieme. La pubblicazione offre altri spunti
di riflessione e di apprendimento che gli interessati possono fruire appieno
divenendone lettori, non avidi, ma semplicemente desiderosi di sapere
rifuggendo da ogni tentativo di ignoranza... attiva: fortunato il Paese che ha
raggiunto il massimo grado di progresso e civiltà!
Le foto dell’intervista
e della tavola rotonda sono di Massimo Di Matteo
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