UN
MONDO “SILENZIOSO” CHE PARLA...
Due operatrici sensibili e attente raccontano il loro vissuto
esperenziale evidenziando potenzialità e dignità di giovani
disabili
di Ernesto Bodini

Più
“sperimentale” il progetto nei riguardi di Michela, una bimba di 8 anni affetta
da sordità profonda e sindrome di Down con gravi turbe comportamentali,
descritta dalle logopediste come una bambina molto problematica anche per lo
scarso intento comunicativo. Un giudizio decisamente negativo per via delle
molteplici reazioni di “aggressività” che la paziente aveva nei loro confronti.
Dopo una serie di colloqui con le logopediste, Loredana e Roberta hanno
ritenuto di impostare un rapporto con Michela attraverso il contatto visivo e
la manifestazione di segni base come il mangiare o il lavarsi, e quindi
l’adozione di diverse metodiche di contatto e manipolazione. Più difficile
invece il rapporto con la famiglia, probabilmente reso tale per via della sua
pregressa ospedalizzazione dalla nascita, con reazioni talvolta incontrollate;
da qui l’esigenza di individuare obiettivi impostati su comunicazione,
autonomia e socializzazione. «Il nodo
critico, sia per quanto riguarda Michela che riferito ad altri bambini con
disturbi della comunicazione – spiegano Scursatone e Capellino – sta nell’opinione che hanno tutti coloro che
li circondano: spesso il loro livello di comprensione del prossimo e di lettura
delle situazioni è assai più complesso ed articolato di quanto non si deduca
dalle diagnosi».
Un’altra
realtà colma di altrettanto significato riguarda Elena, una bambina giunta
all’osservazione a 10 anni, affetta dalla sindrome di Cornelia De Lange
(malformazione nota anche come sindrome di Brachmann-De Lange, o altrimenti
nota come Nanismo di Amsterdam, ndr).
Una bimba dal carattere forte e decisamente attiva, ma con notevoli problemi
relativi al cibo tanto da preoccupare non poco i propri genitori, considerando negativo il pregresso periodo di
ospedalizzazione. Elena è quindi oggetto di osservazione attraverso il quale le
operatrici hanno potuto valutare le sue potenzialità, con particolare riguardo
all’apporto comunicativo, evidenziando difficoltà dal punto di vista
motorio-segnico ma ben compensata da una ferrea volontà comunicativa. Tuttavia,
positiva è risultata la valutazione sia della logopedista che delle operatrici
che ne hanno ravvisato la capacità di esprimersi attraverso la sintassi della
lingua italiana applicando i segni codificati dalla LIS. «Perché – spiegano Loredana e Roberta – mentre l’italiano segnato può venire usato contemporaneamente alla
lingua parlata, questo non è possibile quando si utilizza la LIS, poiché la
struttura grammaticale-sintetica delle due lingue è molto diversa». Il
raggiungimento degli obiettivi, come quello di ampliare il patrimonio semantico
di Elena, attraverso modalità operative e strumenti di vario tipo, in
particolare la collaborazione del corpo insegnanti, ha comportato
l’individuazione di un’area relazionale e la conseguente verifica trimestrale
con le insegnanti e con la famiglia. Un quadro che si è completato con i
successivi risultati positivi nell’ambito scolastico, mantenendo la padronanza
del patrimonio segnico e le abitudini, oltre al conforto da parte della
famiglia che ha contribuito allargando gli orizzonti per una più concreta
armonia nella vita insieme. Le esperienze contenute nel volume non sono però
prive di alcuni “insuccessi”. Una parentesi più “delicata” che riguarda Maria, afasica
e con problemi motori in seguito ad un incidente stradale; Vanessa, affetta da
una sindrome non ben definita; e Jannik affetto da sordità profonda e con
difficoltà nell’esprimersi. Casi emblematici e di altrettanto impegno che
lascio al lettore approfondire per comprenderne al meglio le ragioni di tali...
insuccessi. Questo perchè le difficoltà dell’intervento educativo si profilano
talvolta all’orizzonte, per poi avvicinarsi tanto da costituire una barriera,
se non invalicabile, quanto meno di difficile superamento.
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