CONCLUSA LA
SETTIMANA MONDIALE DELLA TIROIDE
A Torino un
convegno per ricordare le principali patologie e i percorsi più “virtuosi” per
una precoce diagnosi e una mirata terapia. Particolarmente rilevanti sono la
sinergia tra specialisti e l’accesso alla Rete Oncologica, oltre ai principi
della solidarietà
di Ernesto Bodini
Va da
sé che iniziative volte all’informazione e agli aggiornamenti in tema di salute
implicano delucidazioni e suggerimenti per attuare le migliori condizioni di
salute, come è stato l’intendimento del convegno “Tiroide e benessere”,
organizzato nei giorni scorsi dall’Azienda Sanitaria Locale “Città di Torino”
(diretta dal dott. Valerio Fabio Alberti) e presieduto dalla dott.ssa Enrica
Ciccarelli (endocrinologa dell’ospedale Martini di Torino) nell’ambito delle
manifestazioni per la Settimana Mondiale della Tiroide (21-27 maggio). Un
appuntamento che ha richiamato l’attenzione su quanto l’opinione pubblica possa
avere, o meno, un minimo di nozioni in merito a questa ghiandola (la cui
conformazione anatomica è molto simile alla farfalla, e che sta alla base della
collo) e delle sue possibili patologie, nonostante la letteratura scientifica e
divulgativa sia assai copiosa; e soprattutto quale comportamento assume verso
il proprio stato per meglio tutelare la propria salute. Le disfunzioni tiroidee
in Italia colpiscono circa 3 milioni di persone e la metà di esse, però, non lo
sa. Secondo un’indagine condotta da Doxa Pharma e commissionata dal Cape
(Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini), il 38% dei pazienti
scopre un tumore della tiroide in seguito ad esami di controllo per un
rigonfiamento del collo; ed è proprio l’endocrinologo lo specialista di
riferimento lungo tutto il percorso di cura del paziente: dai primi esami, alla
diagnosi e al follow-up (controllo nel tempo). Nel corso dell’incontro sono
intervenuti alcuni specialisti fra i quali la responsabile della pediatra
dell’ospedale Martini, Pina Teresa Capalbo, soffermandosi in particolare sui
disturbi tiroidei in età pediatrica causati generalmente da processi
infiammatori in forma acuta, sub-acuta o cronica come la tiroidite di Hashimoto
(frequente variante della forma cronica) e la tiroidite sub-acuta granulomatosa
(autoimmune). Il medico ha pure citato il morbo di Basedow (forma di
ipertiroidismo autoimmune) la cui prevalenza è di un caso per 5 mila negli
adulti, e di 3 casi per 100 mila negli adolescenti. «Anche in età pediatrica – ha precisato – si possono osservare noduli e tumori tiroidei, peraltro di scarsa
incidenza, mentre più elevato è invece il rischio di malignità sia pur con una
prognosi favorevole nella misura dall’1 al 5% dei soggetti colpiti, l’età più
colpita risulta essere tra i 15 e i 19 anni e il tasso di mortalità in ambito
pediatrico è inferiore rispetto a quello dell’adulto». La dottoressa
Manuela Puopolo (ginecologa dello stesso ospedale) ha spiegato che il
ginecologo può trovarsi di fronte a pazienti che non sanno di avere una
patologia tiroidea e che, l’ipertiroidismo e l’ipotiroidismo interferiscono con
l’andamento della gravidanza e che un aborto spontaneo entro i primi tre mesi,
nel 25% dei casi può essere dovuto al malfunzionamento della tiroide. Ma quanto
è frequente invece l’ipotiroidismo in gravidanza? Secondo la dottoressa non ci
sono concreti riscontri ma è ragionevole pensare alla carenza di iodio nella
dieta, soprattutto in pazienti vegane e vegetariane, con probabili ripercussioni
sul feto.
Sui
disturbi tiroidei dell’anziano è intervenuta la neurologa Daniela Leotta,
direttore del reparto di Neurologia dell’ospedale Martini, ricordando che gli
anziani (ossia gli ultra 65enni) in Piemonte sono il 23% della popolazione, e
che anche gli anziani possono ammalarsi di disfunzioni tiroidee, mentre appare
difficile la valutazione dei casi in quanto si manifestano in modo atipico,
ossia talvolta i sintomi non vengono “adeguatamente” riconosciuti in quanto
sovente sono sovrapponibili a quelli legati all’invecchiamento. «L’ipertiroidismo nell’anziano – ha
spiegato – non è molto frequente ma può
essere causa di fibrillazione atriale, e può presentare sintomi come stanchezza
e depressione (ipertiroidismo atipico). Per quanto riguarda l’ipotiroidismo la
sintomatologia si manifesta in astenia, stipsi, ipersonnia, secchezza della
cute, disturbo della memoria e più estensivamente segni di neuropatia, etc. La
prevalenza dell’ipotiroidismo sub-clinico è del 7% nelle donne e del 3% negli
uomini, con tendenza all’incremento dopo i 60 anni». Dal punto di vista
epidemiologico non è però chiaro se l’ipotiroidismo sia causa di deficit
cognitivo, ma è ipotizzabile, secondo la relatrice, un maggior numero di casi
con compromissione cognitiva in soggetti ipertiroidei. Tuttavia, non esiste un
rapporto tra ipotiroidismo e ridotta funzionalità cognitiva.
Ma
quali gli effetti psicologici in questi pazienti, specie se vanno incontro ad
un tumore della ghiandola, come pure per altri organi? A questo riguardo è intervenuta
la psiconcologa Silvia Caporale dell’Asl Città di Torino, precisando che il
convolgimento riguarda tutto l’iter della patologia: dalla visita agli esami,
dalla terapia ai controlli nel tempo... «Un
iter – ha spiegato – che spesso
sottopone questi pazienti a stress, disturbi dell’umore, ansia, etc., oltre
alla consapevolezza della eventuale cronicità della malattia tale da influire
sulla loro qualità di vita; ed è per queste conseguenze che è indicato
l’intervento dello psiconcologo, che andrebbe ad integrarsi con le cure già in atto».
Il 40-60% dei pazienti con tumore presenta disturbi psicologici e/o
psichiatrici, per i quali è indicato un trattamento psiconcologico specifico,
ed eventualmente la somministrazione di psicofarmaci. Una sinergia che può
portare al miglioramento del quadro clinico e della qualità di vita, prevenendo
nel contempo determinate complicanze. Ma quali gli aspetti sociali? Secondo
recenti statistiche ogni anno in Piemonte si registrano 1.200 pazienti affetti
da neoplasia tiroidea, ed è importante valutare tutti gli aspetti che
riguardano la persona e le sue necessità all’interno del percorso
clinico-assistenziale, limitando al massimo le difficoltà
logistico-organizzative (se non anche burocratiche...) per i pazienti stessi e
per i suoi famigliari. «In Piemonte –
ha ricordato l’oncologa Marinella Mistrangelo – è da tempo attiva la Rete Oncologica (diretta dal dott. Oscar Bertetto)
istituita con lo scopo di identificare i percorsi “virtuosi” per i pazienti
colpiti da una neoplasia, affinchè possano far fronte con minore difficoltà ai
processi di diagnosi, cura e assistenza, e per questo accedono al Centro di
Accoglienza Servizi (CAS) di ciascun centro ospedaliero di riferimento che
gestisce in modo razionale e scorrevole il prosieguo del loro percorso clinico.
Inoltre sono operativi i Gruppi Interdisciplinare Cure (GIC) all’interno dei
quali una équipe composta da specialisti in diverse materie (endocrinologo,
chirurgo, anatomo-patologo, radiologo, medico nucleare, oncologo,
otorinolaringoiatra, etc.) si confronta con la situazione dei singoli casi,
stabilendo il miglior approccio possibile sia diagnostico che terapeutico».
Per ulteriori approfondimenti in merito è possibile consultare il sito web: www.reteoncologica.it. Ma anche le considerazioni di carattere “mistico” (per i
credenti) non sono da sottovalutare, tant’é che il dolore rappresenta una sorta
di “segreto” e di “rapporto” con Dio, proprio perché il dolore e quindi la
sofferenza sono spesso causa di determinati atteggiamenti... «La sfida – è stata la cristiana
sottolineatura di don Ruggero Marini, esperto psicologo della Comunicazione – è quella di ricomporre l’armonia perché il
dolore e la sofferenza causati dalla malattia feriscono la dignità della
persona». Secondo il sacerdote l’empatia è un concetto da intendersi
superato, mentre è più concepibile quello di solidarietà per non sentirsi soli
con il proprio dolore... e, per questo, è necessario stabilire con i pazienti
rapporti diversi nel massimo rispetto della sacralità del loro dolore.
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