La storia di Mahendra, una realtà d’oltre oceano che fa
riflettere
Anche i mezzi di comunicazione
via satellite sono utili e di “stimolo” per far
conoscere e (si spera) sensibilizzare
l’opinione pubblica talvolta troppo distratta...
di Ernesto Bodini
Una sera, trovarsi davanti al televisore
per cercare un programma che non sia banale ci vuole un bel po’ di fortuna, ma
dopo qualche tentativo mi sono soffermato sul canale Real Time che trasmetteva un
breve documentario sulla storia di Mahendra Ahirwar (nella foto), un bambino di 12
anni cresciuto in un villaggio nella regione di Madhya Pradesh dell’India centrale,
affetto da una grave patologia che gli esperti definiscono “Miopatia congenita”
che gli impediva di tenere la testa in posizione verticale. Da qui il titolo
del filmato “Il bambino con
la testa in giù”, non riuscendo a controllare i muscoli del
collo doveva appoggiare il capo sul petto, oltre ad essere notevolmente sotto
peso. Il filmato, della durata di poco meno di mezz’ora, ha ripercorso l’intera
odissea di questa creatura i cui genitori erano troppo poveri per farlo curare,
nonostante abbiano cercato invano un medico che potesse studiare il suo caso
(particolarmente complesso) e poter intervenire.
Il notevole deficit muscolare lo
costringeva ad essere accudito totalmente (impossibilitato persino a frequentare
una scuola), per non parlare dell’isolamento dei suoi coetanei e della
popolazione del villaggio che, per motivi di religione e di cultura, additavano
la madre come “responsabile” per aver generato a causa di una sorta di…
maledizione. Un “calvario” vero e proprio, dalle prospettive di scarsa o nulla
speranza per il futuro del loro figlio, tanto da preferire (nei momenti di
maggior sconforto) che morisse per non vederlo soffrire, nonostante quella che
si potrebbe definire “compensazione” il fatto di avere altri due figli…
perfettamente sani. «La gente
– ha affermato il padre, secondo quanto riferisce Jenny Stanton per “Mail On
Line” – dice cose terribili su
di lui, lo deridono. Non va a scuola, lo vengono a trovare solo alcuni cugini.
Abbiamo tentato di tutto, senza risultati. Se i medici riescono a curare
bambini con due teste, perché non salvano la vita a mio figlio? Nutro ancora
sogni e speranze per lui. Vorrei che vivesse una vita normale».
Poi, finalmente, uno spiraglio per questa famiglia e il loro figlio, che mai
più avrebbero immaginato che dall’altra parte del continente un “angelo” si
stava interessando al loro caso.
Infatti, una donna inglese di 35 anni,
certa Julie Jones, dall’Inghilterra, dopo aver letto della straziante storia di
Mahendra, ha deciso di agire concretamente aprendo una pagina web per
raccogliere fondi sufficienti a far operare il piccolo paziente e, in meno di
un mese, è riuscita a raccogliere 12 mila sterline. Successivamente si è recata
in India per incontrare la famiglia Ahirwar. Ma chi è intervenuto con tanto
interesse umano e dedizione in soccorso al piccolo Mahendra? Il dottor
Rajagopalan Krishnan, un chirurgo dell’Apollo Hospital a Delhi. Dal racconto
della speaker nel filmato il medico si è trovato di fronte ad un notevole
“impegno” chirurgico, poiché si trattava di un paziente fortemente debilitato
per via dello scarsissimo tono muscolare e dell’apparato respiratorio
altrettanto compromesso. Dai commenti che ne sono seguiti si è trattato di un
intervento pionieristico nel suo genere, nonostante la notissima esperienza del
dott. Krishnan, che peraltro si è dedicato gratuitamente preferendo il sorriso
del piccolo paziente al compenso… per quanto disponibile. Dopo un periodo
(altrettanto delicato) di convalescenza Mahendra e i suoi genitori sono tornati
al loro villaggio, accolti festosamente da tutti; gli amici coetanei di
Mahendra gli si sono stretti attorno, coccolandolo e con l’intento di giocare
insieme… come non avevano mai fatto prima. Un anonimo ha voluto offrire una
carrozzina a motore al “rinato” Mahendra che, probabilmente, non ha mai perso
la speranza di poter essere curato e di guarire… Ciò che mi ha colpito di
questa storia non è stato soltanto l’esito ma anche (se non soprattutto)
l’umiltà di quella famiglia, devota al loro credo, manifestando la loro
riconoscenza nella giovane e intraprendente inglese (benefattrice) e al
chirurgo che ha voluto letteralmente mettere “in gioco” la sua reputazione di
uomo e di medico, ma nello stesso tempo la vita del suo giovanissimo paziente.
Tutto ciò merita dunque un plauso? No davvero, sarebbe troppo retorico. A mio
avviso basterebbe ricordare quanto sosteneva Robert Koch (1834-1910): «Non si può diventare un medico senza
esserlo dalla nascita e averci la vocazione! Ci vuole una buona dose di
abnegazione per poter adempiere a tale missione. Non c’é niente di più bello
che aiutare l’umanità che soffre!». E io credo che sia il dott.
Krishnan che la signora Jones (nella
foto in basso), sia pur inconsapevolmente tra loro, si siano uniti
per rispondere ad un preciso dovere di spontanea solidarietà… senza ulteriori
commenti.
Nella foto in alto, tratta dal sito farrahgray.com, il piccolo
Mahendra A.; nella foto in basso, tratta dal sito Youthensnes.com, la Sig.ra J.
Jones e il dott. R. Krishnan
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