MUORE DEREK WALCOTT, IL
POETA E DRAMMATURGO
DALLE PROFONDE LIRICHE
E DAL VASTO IMPEGNO CULTURALE
Un autore che sapeva
interpretare l’animo della povera gente
attraverso i loro canti
cullati dalle onde del mare caraibico
di Ernesto Bodini
In
italia non lo conoscevano in molti ma era assai noto in Gran Bretagna e negli
Stati Uniti, tanto da essere considerato il massimo scrittore-poeta di lingua
inglese. Derek Walcott (nella foto),
nato a Castries (capitale di Santa Lucia, nella Repubblica Caraibica) nel
gennaio 1930, è morto il 16 marzo scorso. Da anni viveva negli USA dove
insegnava Teatro in parte alla Boston Univesity e in parte a Port of Spain
(capitale della Repubblica di Trinidad e Tobago). Non solo poeta ma anche
drammaturgo, autore di importanti opere come la famosa “Omeros”, un poema epico in terza rima di 300 pagine pubblicato nel
1990, il cui suono dei versi e del mare della Grecia classica si fonde con
quello dei canti e delle onde delle isole caraibiche. I canti sono quelli dei
suoi protagonisti: poveri pescatori dai nomi classici quali Filottete, Achille,
Ettore, che ogni mattina si avventurano in mare aperto con le loro piccole
imbarcazioni ricavate scavando tronchi di albero. Il linguaggio di questo
autore, che potremmo imparare a conoscere avvicinandoci a qualche sua opera, non
priva di quelle metafore intricate che ne catturano la bellezza fisica dei
Caraibi, con la conseguente eredità del colonialismo dalle note complessità del
vivere e dello scrivere in due mondi culturali. È un profondersi nell’identità
delle sue origini africane ed europee, come si evince dai versi dell’opera “The Schooner Flight” che, tradotti
nella nostra lingua, in sintesi così recitano: «Sono solo un nero caraibico che ama il mare, ho avuto una solida
istruzione coloniale, in me c’é dell’olandese, del nero e dell’inglese, e sono
nessuno o sono una nazione».
Da
altre fonti di critica emerge che alla base del suo mondo individuava una
divisione profonda, fisica, psicologica, geografica e razziale; ma sentiva al
tempo stesso la necessità di superare tale divisione in nome dell’unicità
dell’Essere, e questo proprio grazie alla sua poesia. Solitamente un poeta di
alto grido non può che essere anche scrittore, e lui lo era a tutto tondo,
affermandosi a Broadway negli anni ’70 con due capolavori teatrali: “Don Giovanni” e “O Babylon”, oltre a tanti altri rifacimenti classici. Per questi
suoi lavori nel 1992 gli fu assegnato il Premio nobel per la Letteratura e, in
particolare, le ragioni del premio sono da ricercarsi nella qualità davvero
eccelsa delle opere di un uomo la cui capacità espressiva attraverso il puro
linguaggio della metafora, è oggi forse unico nelle lingue occidentali,
paragonabili al noto Pablo Neruda. Il poeta caraibico ci fa dunque conoscere
una nuova condizione esistenziale, quale via d’uscita dal pessimismo
intellettuale del Vecchio Mondo (Europa), tanto da essere l’erede di Walt
Whitman (1819-1892), il poeta e scrittore statunitense che cantò soprattutto
l’essenza di quello che sarebbe diventato il “sogno americano”, ovvero la
speranza condivisa che attraverso il duro lavoro, il coraggio e la
determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la
prosperità economica. Un confronto, questo, che a mio modesto avviso, fa del
poeta Walcott il “prosecutore” di un idealismo nazionalista dall’ampia visione
storica, suffragata da un vasto impegno multiculturale.
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