LA FILOSOFIA DI SOCRATE
COME INDICE DI SAGGEZZA
Il
grande maestro del pensiero e sommo oratore delle
agorà
ateniesi per la formazione delle nuove generazioni
di Ernesto Bodini
Da
parte mia è certamente azzardato parlare di Socrate (470-399 a.C.), poiché non
ho la specifica competenza né filosofica né didattica. Tuttavia, ritengo che “rispolverare”
sia pur sinteticamente la letteratura (peraltro non esigua) sia appagante per
chi scrive ma anche per chi legge, non fosse altro per la grande necessità di
aggrapparsi a quella filosofia (sia di Socrate che di altri autori) di cui la
società ha bisogno, proprio perchè ci si va sempre più allontanando dalla
saggezza e dalla razionalità comportamentali. Proviamo quindi a far “risorgere”
il sommo dei sommi, cogliendone gli spunti salienti. Molto di quello che
sappiamo su Socrate ci è giunto in forma dialogica del suo allievo Platone,
perché Socrate non ha mai voluto lasciare alcuna traccia olografa dei suoi interminabili
dialoghi nell’agorà di Atene, in quanto secondo lui scrivere significava
tradire i suoi principi perché la verità è un processo di dialogo; inoltre, il
filosofare è un esame incessante che nessun scritto può continuare dopo di lui
perché lo scritto può comunicare una dottrina, ma non stimolarne e dirigerne la
ricerca; quindi per lui era più importante il dialogo rispetto al libro
scritto. Socrate nacque ad Atene, suo padre Sofronisco era uno scultore, sua
madre Fenarete una ostetrica, la quale diceva che il suo mestiere era simile al
compito del filosofo perché l’ostetrica aiuta i bambini a essere partoriti ma
non li crea, mentre il filosofo aiuta la verità a essere partorita. Studiò
geometria e astronomia, si astenne sempre dalla politica attiva ma intervenendo
in modo severo sui politici facendosi per questo dei nemici; e la sua unica
vocazione era la filosofia. Era un ometto assai buffo, un cranio calvo e una
faccia apparentemente piccola e un po’ scanzonata, un naso a palla all’insù, e
una folta barba. Per la sua bruttezza era spesso deriso dai suoi amici ma lui
non reagiva... per saggezza. Era alquanto povero e gli piaceva andare in giro,
dopo il suo lavoro di scalpellino, ma non lavorava mai più dello stretto
necessario per mantenere la moglie Santippe e i tre figli Lamprocle,
Sofronisco e Menesseno. Poiché la moglie era nota essere bisbetica e brontolona
(da qui pare derivi il suo nome Santippe), Socrate non stava mai così bene come
quand’era fuori di casa. Secondo le cronache (pervenute dai suoi discepoli) era
solito alzarsi prima dell’alba, faceva una colazione affrettata e spartana
(pane inzuppato nel vino), si infilava una tunica e addosso un mantellaccio, e
via per le strade e le piazze, o alla ricerca di una bottega, di un tempio, di
una casa amica o di un bagno pubblico dove poter trovare da discutere. Anche se
il suo aspetto era strambo e c’é chi sostiene che lo fossero anche le sue idee
che sosteneva ovunque in forma bonaria e con suggestiva cocciutaggine. La
nascita della sua filosofia, va ricordato, mette in primo piano l’uomo: la sua
anima e la sua virtù che lo vede attorniato non da seguaci ma da amici perché
il vero amico non è utile se potente, ma è utile se ha bontà d’animo. «Ci sono persone – sosteneva – nate per sgobbare ed altre per stare a
guardare. Non è questione di salute, né di intelligenza, né di bisogno. È così
e basta. Dalle prime tutti si aspettano di più, dalle seconde nessuno si
aspetta niente. Per le prime non ci sono mai elogi, qualunque cosa facciano è
dovere; per le seconde è il contrario: poiché non ci si aspetta niente da loro,
basta che muovano un dito e tutti si affrettano a coprirle di complimenti».
La virtù per Socrate è la ricerca della verità. La virtù non si acquisisce con
la nascita ma si conquista con l’impegno, con la ricerca che porta alla
conoscenza e quindi alla consapevolezza del bene. Più si conosce più si è in
grado di scegliere un comportamento adeguato. Il male, infatti, non si fa per
volere ma è dettato dall’ignoranza. La virtù è quindi il nucleo dell’etica di
Socrate, con la quale si raggiunge la felicità e il benessere, non legati al
possesso ma alla forza d’animo. La virtù, in sostanza, è il principio morale
dell’arte di vivere bene e di comportarsi bene. Ciò è alla base della
concezione Eudaimonistica, ossia che porta alla felicità.
Socrate fu il grande
apostolo del ragionamento. Percorreva le vie di Atene predicando la logica,
così come quattro secoli dopo Gesù avrebbe percorso i villaggi della Palestina
predicando l’amore. E come Gesù, senza aver mai scritto una parola, esercitò
sulle menti degli uomini una influenza come nemmeno un’intera biblioteca
potrebbe superare. Egli insegnò che ogni lodevole comportamento ubbidisce
all’intelletto, che le virtù consistono in fondo per prevalere della logica sul
sentimento. Era convinto che soltanto dialogando a voce e di persona gli uomini
possono comunicarsi vicendevolmente quella verità che ciascuno custodisce nella
sua interiorità spirituale, e che il dialogo ha una ricchezza e potenzialità
inesauribili. Platone stesso, sulla base della lezione socratica, si affiderà
al dialogo per esporre la propria filosofia, accentuandone così la
caratteristica di ricerca della verità. Da qui l’espletamento dell’ironia. E, a
questo riguardo, Socrate vuole rendere consapevole il “presuntuoso” della sua
ignoranza. Per fare ciò usa l’ironia, un gioco di finzioni che ha lo scopo di
liberare la mente e svegliare l’uomo dal suo sonno intellettuale e invogliarlo
alla ricerca del vero... Ed è assai nota la sua concezione in fatto di sapere,
sostenendo: «Il presuntuoso crede di
sapere mentre non sa; io almeno non so, ma non credo di sapere. Ed è proprio
per questa piccola differenza che io sembro essere più sapiente, perché non
credo di sapere quello che non so». Infatti, Socrate, coerente con i suoi limiti,
preferisce tacere piuttosto che parlare di cose che non sa. Il suo atteggiamento decisamente etico non fa
una grinza proprio perché oltre ad insistere sull’importanza etica del ragionar
bene, Socrate fu il primo ad infondere negli uomini questa arte. Per primo
insegnò a definire i termini del ragionamento. «Prima di cominciare a discutere – diceva – decidiamo di che cosa stiamo discutendo».
Simbolo della
libertà di pensiero e della coerenza senza compromessi, fino al sacrificio
della persona, Socrate seppe opporsi coraggiosamente alle decisioni che
reputava ingiuste... Nel processo (399 a.C.) rifiutò ogni compromesso con gli
accusatori, ribadì il valore della propria missione... La legge gli accordava
il diritto di proporre una riduzione della pena e chiedere che la cosa fosse
messa ai voti. Se lo avesse fatto con la dovuta umiltà, pregando e supplicando
com’era d’uso, indubbiamente più di 30 avrebbero votato in modo diverso. Ma
Socrate volle essere logico (e coerente) anche in questo. Fu giudicato da una
giuria di 501 cittadini e condannato a morte con soli 60 voti di maggioranza; e
non volle mai mettersi in salvo pur avendone l’occasione durante l’anno di
prigionia. Quando Santippe gli comunicò in lacrime che i giudici lo avevano
condannato a morte, il filosofo commentò
semplicemente: «Pensa che essi sono
condannati dalla Natura». «Ma ti
hanno condannato ingiustamente», singhiozzò la donna. «Avresti preferito che la condanna fosse giusta?», replicò Socrate.
Che cosa intendessero esattamente gli accusatori di Socrate non è dato a sapere
con certezza, ma i giovani adoravano questo vecchio... sornione. Il fascino
delle ideee nuove come pure l’invito a pensare autonomamente li attirava a lui,
mentre i loro genitori temevano che imparassero dottrine sovversive, così come
probabilmente lo credevano i suoi accusatori. Come tutti sappiamo la sua fine
avvenne per ingestione della cicuta che bevve con calma e fermezza,
interrompendosi soltanto per rimproverare i suoi amici che piangevano e
singhiozzavano. Poco prima di morire si tolse il panno che gli era stato messo
sul volto e disse: «Critone, dobbiamo un
gallo ad Asclepio: vedi di non dimenticartene». Poi chiuse gli occhi, si
rimise il panno sul volto, e quando Critone gli chiese se aveva ancora qualche
ultima disposizione da dare, non rispose. Questa fu la fine del sapiente
dell’antichità, tale da indurre alla riflessione, perché come diceva José Ortega
Gasset, «Riflettere è considerevolmente
laborioso; ecco perché molta gente preferisce giudicare». Proprio come
hanno fatto gli accusatori del nostro maestro di vita. Per ulteriori
approfondimenti consiglio “Socrate – Alla scoperta della sapienza umana”,
di Giovanni Reale (pagg. 346, Rizzoli editore), un suggerimento che mi pare
opportuno e fare la chiosa con la citazione di Soren Kierkegaard in quarta di copertina: «I filosofi hanno molti pensieri i quali tutti valgono fino a un certo
punto. Socrate ne ha uno solo, ma assoluto».
Nella foto in alto Socrate in una scultura in marmo di epoca romana esposta al Museo del Louvre, al centro Platone in un dipinto di Raffaello (particolare de' "La Scuola di Atene") e in basso la morte di Socrate in un dipinto di Jacques-Louis David.
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