In visita
alla Struttura Complessa di Anestesiologia e Rianimazione
dell’Ospedale
Civile di Rivoli (To) appartenente all’Asl To/3
UNA REALTÀ DI
GRANDE APERTURA ED ECCELLENZA MA CHE
POTREBBE
ANCORA CRESCERE CON ULTERIORI POSTI LETTO
di Ernesto Bodini
È sempre un incentivo
a far meglio e di più quando il lavoro “di squadra” si consolida per ottenere i
migliori risultati finalizzati al bene del paziente. È quanto emerge, ad
esempio, dall’attività sinergica della Struttura Complessa (S.C.) di
Anestesiologia e Rianimazione dell’ospedale di Rivoli (direttore sanitario
dott. Davide Minniti) diretta dal dott. Alfio Canta (nella foto), un veterano in questa disciplina. Questa Struttura,
che copre un bacino di utenza di oltre 470 mila abitanti, recentemente è stata
oggetto di un consistente restyling organizzativo e strutturale: dal 1 gennaio di
quest’anno è operativa la Struttura Semplice (S.S.) di Terapia Intensiva (T.I.),
con 5 posti letto, diretta dal dott. Massimiliano Parlanti Garbero, coadiuvato
da 16 colleghi medici, 13 infermieri
(coordinati da Annamaria Racca) e 6 Oss., la cui attività consiste nel mantenere
le funzioni vitali dei pazienti con terapie farmacologiche e sofisticate
apparecchiature elettromedicali. «Essendo
una Struttura polivalente – spiega il dott. Parlanti, che mi guida in
visita al reparto – abbiamo un case mix
(tipologia dei ricoverati) molto variabile, e prevalentemente pazienti affetti
da complicanze respiratorie, post-operatorie, patologie neurologiche e/o
neurochirurgiche, ostetrico-ginecologiche, ortopediche, gastroenterologiche,
cardiovascolari, otorinolaringoiatriche, gravi traumi, etc. Pazienti che
provengono dal territorio solitamente attraverso il Dipartimento di Emergenza e
Accettazione (DEA). I passaggi sono circa 150-200 all’anno con una degenza
media di circa 7-14 giorni; 149 nel 2016».
Una Struttura a
“sostegno” dell’attività delle 5 sale operatorie (responsabili gli
anestesisti-rianimatori Vincenzo Parziale e Michele Grio per il coordinamento
degli interventi di elezione (programmati) e in urgenza. «La riorganizzazione in corso – spiega Parziale – è mirata a migliorare i flussi in sala
operatoria: ottenere, a parità di risorse, il miglior utilizzo degli spazi
operatori e quindi ridurre le liste di attesa con un organico di 17 anestesisti
e 30 infermieri, parte dei quali ruotano su tre turni nelle 24 ore». Di
notevole supporto il ruolo degli infermieri la cui competenza rientra in quello
che viene definito METal (Medical Emergency Team Alert), ovvero la risposta all’emergenza
intraospedaliera, con il compito di riconoscere una situazione critica, saper
attivare un sistema di risposta, conoscere le modalità di interazione e
collaborazione nelle emergenze ospedaliere sia da parte del medico che
dell’infermiere. Ma come in tutte queste aree ospedaliere locali e nazionali
non mancano le criticità come, ad esempio, la carenza di posti letto in terapia
intensiva che, in questo ospedale, potrebbero essere attivati per la
disponibilità di spazi (grazie al recente restyling) con l’assunzione di un
adeguato numero di infermieri... spending review permettendo.
Per avere un’idea del
notevole “impegno” che comporta l’attività della terapia intensiva il dott.
Parlanti mi illustra i casi ricoverati al momento. Nel primo letto il paziente
è un uomo di mezza età con gravi lesioni
da precipitazione, conseguenti pneumotorace, trauma addominale e shock
emorragico a causa delle lacerazioni delle arterie addominali con la
complicanza di una insufficienza respiratoria. Vi sono accanto la moglie e la
figlia che, costantemente, chiedono (e ottengono) ragguagli sulla evoluzione
del quadro clinico. Al letto 2 vi è una donna in coma post-anossico, il cui quadro
clinico è particolarmente grave, ed è seguita dalle amorevoli attenzioni del
marito e del figlio. La terza paziente è affetta da shock settico a causa di
una peritonite conseguente ad un infarto intestinale, quindi operata, e se
supera la degenza in questo reparto verrà trasferita in chirurgia. Anche questa
paziente ha sempre accanto il figlio. Al letto 4 è una donna anziana affetta da
broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) dovuta in gran parte a tabagismo
cronico, ed è stata sottoposta (in mattinata) a tracheotomia per facilitarne la
respirazione. Sono costantemente presenti le figlie che si alternano
vicendevolmemte. Il paziente del letto 5, perfettamente cosciente e attaccato
al respiratore (come pure i sopra descritti) è un uomo di 28 anni affetto da
una patologia neurologica autoimmune che consiste in un raro disturbo in cui il
proprio sistema immunitario attacca il sistema nervoso con relative complicanze
per la mobilità e soprattutto per la respirazione. Rimarrà in terapia intensiva
per alcune settimane e, in previsione di un miglioramento dal punto di vista
dell’autonomia, verrà trasferito nei reparti di Neurologia e Riabilitazione
funzionale. Anche questo giovane paziente ha il conforto dell’amorevole
vicinanza della moglie e dei suoi genitori.
Ma perché in questo
reparto è possibile la costante presenza dei famigliari accanto al letto del
loro congiunto? «Da diversi anni –
spiega il dott. Parlanti – la nostra è
una Rianimazione aperta, come del resto avviene ormai in quasi tutti gli
ospedali, in quanto i parenti dei ricoverati in terapia intensiva hanno
l’opportunità di stare accanto al loro familiare per molte ore, in taluni casi
anche di notte. La risposta che ne deriva non è soltanto una miglior “alleanza
terapeutica”, ma anche una maggiore ricezione del nostro lavoro da parte della
popolazione, ossia più consapevolezza di quanto siamo in grado di fare per i
loro congiunti, attraverso quindi una visione diretta e in tempo reale che dà
loro fiducia e conforto... Ciò ha ridotto, nel tempo, incomprensioni e casi di
contenzioso». Ed è anche per queste ragioni che
all’anestesista-rianimatore, quale referente per i prelievi di organi a scopo
terapeutico, è richiesta una determinata capacità di comunicazione ponendosi
nel modo più opportuno con la sensibilità che lo contraddistingue, soprattutto
nel delicato momento in cui informa i parenti dell’avvenuto decesso e,
contestualmente, la richiesta del consenso al prelievo di organi per garantire
ad altri pazienti la possibilità di... continuare a vivere. Ecco che la
“cultura” volta al più prolungato accesso nelle Rianimazioni ha una ricaduta
psicologica che ne facilita una maggior gestione dell’ansia e dell’emotività da
parte di chi il ricovero lo subisce da fuori: parenti e amici “testimoni” a
loro volta di un percorso di sostegno al proprio caro, anche se questo comporta
un particolare impegno da parte del personale medico e infermieristico, al quale
è richiesta una specifica competenza che va di pari passo con l’elevata
tecnologia nella cura del “paziente critico”, come pure una sensibile capacità
di relazione. Da questa esperienza, per quanto breve, ho potuto dedurre (ad
ulteriore conferma dei clinici in servizio) che umanizzare la terapia significa
condividere quelle che sono le scelte terapeutiche, soprattutto nel fine vita.
La presenza continuativa accanto al paziente permette di realizzare, sia come
trattamenti terapeutici che come nursing e come relazione, tutto quello che
viene messo in atto e che può portare a un risultato. Ancor meglio se in questa
Struttura si potessero attivare ulteriori posti letto, giacchè gli spazi sono
già predisposti... in attesa di assumere il personale necessario di
riferimento.
La foto in alto tratta dal sito Asl TO/3, la foto in basso
un scorcio della Terapia Intesiva tratta da La Stampa
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