La Sismed a Torino per un convegno multisciplinare
PIÙ
SINERGIA E PIÙ CULTURA PER IL SUPERAMENTO DELLE PATOLOGIE CRONICHE
VOLTE AL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA
di Ernesto Bodini
Ormai
le cifre sono certe: oltre 1 milione i pazienti “cronici” assistiti in
Italia in Rsa, con assistenza
domiciliare o in Centri per le cure palliative e strutture per il trattamento
delle post-acuzie/riabilitazione. Ciò a fronte delle persone non
autosufficienti (2,5 milioni) e dei 4 milioni, circa, di disabili. Un piccolo
esercito di malati che hanno richiamato l’attenzione del mondo sanitario e
scientifico, tant’è che a Torino si è tenuto nei giorni scorsi un convegno su “La qualità della vita nel paziente con
patologia cronica”, a cura della Sismed presieduta da Gabriele Catena
(cardiologo), e da Bruno Bertagna (sul
podio) medico di famiglia (d’ora in poi MMG), referente per la sezione
piemontese. Se i nostri doveri verso la salute implicano la prevenzione delle
patologie, altrettanto devono attendere ad un più mirato trattamento delle
cronicità, per il quale è auspicabile la multidisciplinarietà degli interventi.
«Oggi il medico – ha spiegato il
dott. Catena – tende a “disaggregare” il
paziente, ossia a non vederlo olisticamente sotto vari aspetti specialistici;
mentre, al contrario, deve fare il medico di medicina generale il quale a sua
volta è spesso... disorientato». Ma la cronicità delle patologie incombe
anche sulle ormai altrettanto (“croniche”) liste di attesa per una visita o per
un trattamento terapeutico riabilitativo, sia per gli effetti di molti casi di
inappropriatezza che per carenze organizzative e di risorse umane. «La Sismed – ha aggiunto il suo
presidente – sta cercando di lavorare sul
territorio e per il paziente, avendo in atto per i prossimi due anni il
progetto “Un anziano in famiglia”,
ponendosi per il paziente, i suoi famigliari e caregiver fornendo risposte che
vengono dalla classe medica sul trattamento delle patologie di cui è affetto».
Diverse le patologie croniche prese in esame da più specialisti come le
cardiopatie, il diabete, le malattie neurologiche, psichiatriche, andrologiche,
neurodegenerative ed oncologiche. Il diabete, ad esempio, sul quale è
intervenuto il dott. Alberto Bruno (ospedale Molinette di Torino) è la malattia
multisistemica più diffusa e sottovalutata, il quale ha inoltre precisato che
c’é spesso un ritardo diagnostico (10-20 anni), ed è molto complessa tanto da
coinvolgere più specialisti, e la cui prognosi non di rado è sfavorevole con
una notevole ricaduta sui costi sociali. Secondo il diabetologo, oltre alla
diagnosi tempestiva, per prevenire e/0 contenere gli effetti di questa malattia
utili sarebbero una dieta equilibrata, una attività fisica ed un comportamento
“educazionale” in armonizzazione con le terapie medico-farmacologiche
appropriate. Ma non meno importanti le malattie cardiovascolari, sulle quali è
intervenuto il dott. Paolo Angelino (ospedale di Rivoli – To), che ha evidenziato
le più ricorrenti sia dal punto di vista dell’approccio diagnostico che
terapeutico, in particolare come personalizzare l’intervento medico per il
controllo dei sintomi nella cardiopatia ischemica cronica volto ad una migliore
qualità di vita. Altrettanto dicasi per le malattie psichiatriche per le quali
è intervenuto il dott. Catena sottolineando che, dalla depressione al disturbo
della personalità e del comportamento, vi è un sensibile aumento di mortalità
sino a quattro volte la popolazione in generale. «Poiché in non pochi casi tali patologie insorgono in età giovane-adulta
– è stata la sua esortazione – è
opportuno che il medico di famiglia ponga maggior attenzione per una diagnosi
precoce, ed un invio agli specialisti di riferimento».
Sulle
patologie oncologiche è intervenuto il dott. Alessandro Comandone (nella foto), direttore della S.C. di
Oncologia Medica ospedale Gradenigo/Humanitas di Torino, richiamando
l’attenzione sul concetto interpretativo della qualità di vita, non di facile
interpretazione in quanto la concezione è molto soggettiva. «Nell’ambito dei tumori – ha sottolineato
–, proprio perchè non sono tutti uguali e non tutti hanno la
stessa prognosi, tra il massimo di speranza di vita e il minimo di speranza di
sopravvivenza sta la qualità di vita, e questo perché cambia il tipo di
atteggiamento a seconda del tipo di patologia». Il relatore ha richiamato
anche il concetto di cronicizzazione, che ha fatto il suo ingresso in oncologia
da circa un ventennio... «Oggi – ha
sottolineato l’oncologo – le diagnosi
sono più tempestive e più ampia è la disponibilità di cure che vengono epletate
in trattamenti pluridisciplinari e, a questo riguardo, la funzione del curante
(sia esso specialista MMG) deve saper colloquiare e, quando il caso lo
richiede, decidere autonomamente». Quindi, l’era attuale ci offre un vasto
panorama di terapie, per lo più personalizzate i cui effetti trovano ulteriore
riscontro nelle migliori condizioni igienico-sanitarie e nella maggior
consapevolezza dei risvolti sociali. Di questo passo il futuro ci prospetta la
cosiddetta “terapia di precisione”, ossia il medico potrà curare un paziente
sulla base delle sue caratteristiche genetiche e della patologia di cui è
affetto. Nel ribadire il concetto di qualità il dott. Comandone sostiene che la
stessa è subordinata al concetto di fatalismo, ovvero la razionale capacità di
accettare la propria condizione patologica e la sua cronicizzazione, inclusa la
capacità di svolgere i propri ruoli quotidiani psicologici e sociali... «anche se tutto sommato – ha concluso –, la qualità di vita se la crea il soggetto
stesso quando si propone di ottenere determinati obiettivi che, se non
realizzati, tale esito compromette o potrebbe compromettere la stessa».
Invitato
quale relatore, sono intervenuto sulla relazione tra il MMG e il caregiver,
precisando che oltre ad essere in aumento le patologie croniche, in non pochi
casi è scarsa la competenza del caregiver tale da non poter garantire una
adeguata assistenza continuativa al proprio congiunto; trattandosi, quindi, di
una nuova emergenza sanitaria e del welfare. A questo riguardo utile sarebbe da
prendere in considerazione l’esempio dell’Emilia Romagna che, con la legge
regionale n. 2 del 28/3/2014), ha dettato le norme per il riconoscimento e il
sostegno del caregiver familiare. Nel citare un caso “emblematico” di caregiver
rappresentato dal signor Domenico C. di Torino, che da circa 30 anni assiste con
“provata” capacità (sia dal punto di vista gestionale che da quello delle
relazioni con il personale sanitario ed infermieristico del territorio) la
moglie affetta da una grave forma di Parkinson, lo stesso puntualizza: «Non di rado il modo di intervenire del
caregiver, o voglia di fare, è lasciato alla sua... intuizione, magari con interventi
non del tutto appropriati. E ciò significa che di volta in volta deve
rivolgersi al MMG, piuttosto che andare alla ricerca di uno specialista in
quanto possono presentarsi comorbilità e relative necessità di intervento.
Pertanto riterrei utile, se non essenziale, provvedere a mettere in atto un “Protocollo”
da applicarsi nei confronti del malato e del suo caregiver». In sostanza,
secondo il signor Domenico, a capo del Protocollo dovrebbe esserci il MMG il
quale, essendo il capofila, con precisa periodicità deve visitare il malato
assistito domiciliarmente alla stessa stregua di un medico ospedaliero che
quotidianamente (o quasi) visita i pazienti del suo Reparto. Sarà lui,
eventualmente, a decidere se il malato avrà necessità di analisi cliniche o di
visite specialistiche domiciliari. E poiché tali specialità sono tutte presenti
presso le Asl di riferimento, il medico di MMG, “motu proprio”, provvederà a
richiedere le visite che meglio rispondono all’episodio clinico che possa
presentarsi di volta in volta. In sintesi, se attuata questa forma di
“protocollo”, il caregiver potrebbe così assolvere al proprio compito in modo
più congruo e con meno dispendio di energie psico-fisiche, senza rischiare di
cadere in forme depressive o di scoramento a danno della sua ed altrui salute e
benessere. Nell’ambito della cronicità la cura volta come healing (intesa come guarigione) da parte del MMG, può aiutare il
paziente ad affrontare la minaccia della “disintegrazione”, recuperando il
senso di connessione con il suo mondo e, per quanto possibile, il contatto su
di esso. Intesa in questo senso la cura non perde il suo significato; anzi, lo
rafforza proprio nei casi di malattie croniche o terminali.
Foto
di Rossella Campanella
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