QUANDO UN TUMORE COLPISCE E FRENA UNA GIOVANE VITA
La recente scomparsa di Sharon Prestileo, una ventitrenne
spensierata, sportiva, amante del lavoro e soprattutto della vita, tanto da
esortare amici e famigliari ad apprezzarne i valori perché la vita va vissuta
intensamente e con dignità
A colloquio con la mamma Michela Tranchitella
di
Ernesto Bodini
Il vasto mondo della
sofferenza (fisica e/o psicofisica) non ha mai risparmiato l’umanità sin dai
suoi esordi in questa vita terrena. Affermazione, questa, che può sembrare a
dir poco retorica, ma al tempo stesso induce sempre a costanti riflessioni sul
perché di tale “pedaggio” che ogni essere umano è costretto a pagare. E va da
sé che ogni evento rappresenta una storia che però non tutti amano raccontare,
a differenza di Michela, una signora semplice, umile e madre di quattro figli che,
oggi, a distanza di pochi mesi, piange la terzogenita Sharon (nella foto), scomparsa a soli 23 anni
per una neoplasia: un osteosarcoma scapolo-omerale. «Era una ragazza brillante nel modo d’essere e di vivere la sua vita
– racconta –, proprio come tanti giovani
della sua età. Ha frequentato la Scuola
Alberghiera di Gallarate (Va)
diplomandosi (nel luglio 2012) con onore, con l’intento di esercitare la
professione di cuoco, una specializzazione che le avrebbe permesso di girare il
mondo, fare nuove conoscenze, e arricchirsi di esperienze che avrebbero dato il
senso più totale alla sua esistenza». Ma questa bella giovane atleta amava
anche lo sport in quanto giocatrice di pallavolo, una disciplina tra le più
comuni in molti suoi coetanei, che richiede riflessi e agilità ma che non esime
dal rischio di qualche caduta… E proprio durante un allenamento Sharon è scivolata
e cadendo ha battuto la spalla sul pavimento lamentando dolenzia, alla quale
non ha dato però molta importanza, soprattutto per continuare serenamente il
suo percorso accademico. «Ma con il
passare dei giorni – spiega la madre – non
riusciva a muovere il braccio e, dietro mia insistenza, al ritorno di un suo
breve viaggio, ho insistito perché si facesse visitare nel vicino ospedale di
residenza. Ed è così che, da un esame radiografico è stata evidenziata una
porosità alla testa dell’omero, cui è seguita una risonanza magnetica presso un
altro ospedale dalla quale è emerso un sospetto osteosarcoma scapolo-omerale».
Ha qui inizio l’odissea di Sharon, che viene ricoverata in un ospedale
ortopedico, sottoposta ad un’altra risonanza magnetica e ad una biopsia (che ne
hanno confermato la diagnosi) e alle terapie del caso.
E come ha reagito sua
figlia a questa ipotesi di diagnosi? «Inizialmente
– spiega – la ragazza ha avuto una reazione
di sgomento, paura, rabbia, ma anche di pianto e di rifiuto: “Perché
proprio a me?”, è stata la sua prima
domanda alla quale non ho saputo rispondere perché non avevo una risposta da
dare, ma ho cercato di farla “reagire” e
a sforzarsi di continuare a vivere con la stessa intensità… Superata questa
prima fase di abbattimento è stata ricoverata all’Istituto Tumori di Milano e
sottoposta ad ulteriori esami, che hanno evidenziato le dimensioni della neoplasia
e conseguentemente prescritto un ciclo di chemioterapia con lo scopo di ridurre
la massa tumorale in previsione di un intervento chirurgico per la rimozione
della stessa». Un percorso clinico particolarmente “impegnativo” per la
giovane paziente, ma confortata dal fatto di non essere sola e di avere
l’appoggio morale e materiale della sua famiglia, alla quale non ha mai fatto
pesare le sue condizioni, pur essendo perfettamente cosciente della gravità
della malattia. Ma anche gli amici e i compagni di scuola inizialmente le sono
stati vicini, un sostegno morale per attenuare il pensiero e la paura che a
periodi alterni mettevano a dura prova la sua serenità e il suo coraggio… E
come ha vissuto nei mesi successivi il decorso della malattia? «Mia figlia – racconta la signora Michela
con un tono di voce ancora tremante – ha
continuato a vivere nel modo più semplice possibile: guidava la macchina (anche
con una sola mano), sbrigava le faccende domestiche, andava al lavoro, ed ha
pure viaggiato; ma nello stesso tempo ha approfondito ricerche sulla sua
malattia e, individuando casi simili al suo, ha appreso che le sue aspettative
di vita sarebbero state molto modeste».
Non passa molto tempo che
la situazione precipita. Sharon viene operata in un ospedale milanese e
sottoposta alla applicazione di una protesi e adeguate terapie, e quindi
dimessa. Il reperto operatorio analizzato all’Istituto Rizzoli di Bologna ha
confermato ulteriormente la diagnosi e, come in questi casi, non era possibile
stabilire con certezza la possibilità di una guarigione e, anche in caso
positivo, se la patologia potesse andare incontro ad una recidiva. Ad un
successivo controllo radiografico sono stati individuati dei “noduli” ai
polmoni di natura calcifica, quindi, si è reso necessario un altro ricovero per
essere sottoposta a tre cicli di chemioterapia, dai pesanti effetti
collaterali. La paziente si è ripresa bene tanto da godersi una vacanza, ma al
suo ritorno l’amara sorpresa: da un controllo radiologico la necessità di un
altro intervento chirurgico e 16 sedute
di radioterapia, che le hanno causato importanti effetti collaterali. Ma
Sharon non demorde, affronta questo ennesimo “impegno” con sopportazione e
magari anche con una buona dose di ottimismo, tanto da progettare un breve viaggio
di piacere in Germania. Al suo ritorno prende coscienza che la malattia si è
nuovamente manifestata con segni di peggioramento, con l’indicazione di un
ulteriore ciclo di chemioterapia. «A
marzo di quest’anno – prosegue la mamma - una TAC ha rilevato una lesione al pericardio, che i medici hanno
definito essere un ulteriore aggravamento comunicandolo alla paziente nel modo
più “delicato” possibile. Si è reso quindi necessario un intervento
cardiochirurgico all’ospedale di San Donato Milanese, e relativa terapia
palliativa in quanto la patologia tendeva a peggiorare a causa del manifestarsi
di metastasi polmonari con conseguenti emorragie. Vista la situazione una
psicologa ha consigliato a mia figlia di farsi ricoverare in un hospice, ma lei
non ha accettato ed ha preferito tornare a casa propria».
Dal medico di famiglia è
stata così attivata l’assistenza domiciliare integrata (ADI), ma nello stesso
tempo la situazione andava ulteriormente peggiorando a causa del manifestarsi
di una tosse stizzosa, inappetenza, ipertermia, difficoltà respiratorie, etc.
Portata al P.S. del vicino ospedale, il medico ne ha constatato la gravità
affermando che anche la somministrazione di morfina non avrebbe giovato in
alcun modo… In queste condizioni, che facevano presagire un imminente exitus,
la mamma, il papà e i suoi fratelli si sono stretti a lei con apprensione ma
anche con grande apporto affettivo, oltre a quello dello zio Pietro (nella foto) che, in quanto psicologo di
professione, ha cercato di sostenerla nel modo più adeguato possibile. «Prima di spirare – aggiunge la signora
Michela, – la mia Sharon ha voluto lo
smalto sulle unghie che mia sorella Doriana le ha messo con una comprensibile vena
di “civettuola complicità” e tanto amore. Poco dopo ha esalato l’ultimo respiro
abbandonandosi su stessa, lasciando trasparire quel velo di serenità che ha
segnato la fine di una sofferenza». Ma Sharon, nei suoi pochi anni di vita
ha lasciato un esempio di di grande attaccamento alla vita, esortando sino
all’ultimo chi l’ha avvicinata e confortata ad apprezzarne i valori, affinché
una esistenza vissuta intensamente non si disperda tra i beni materiali e di
poco valore umano. «Sharon – conclude
la mamma Michela, con due lacrime che le rigano il viso, segnato da stanchezza
e grande costernazione, e che ancora non si rassegna – ci ha lasciati con un messaggio non privo di quella umiltà volta a
valorizzare al meglio la nostra vita, lasciando sempre grande spazio alla
speranza anche nei confronti di certe malattie come l’osteosarcoma, un male che
ha sopraffatto la mia figliola nel fisico, ma non nel suo spirito e nella sua
anima sempre propositivi sino all’ultimo, poiché un “nemico” della salute non
potrà mai ledere la dignità di nessuno. Ecco, questa è l’eredità che Sharon ha
lasciato a tutti noi».
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