A centodieci anni dalla morte
Ricordo di Francesco Tamagno artista e filantropo
Famoso in tutto il mondo per il suo talento artistico e per l’imponente
Mausoleo nel cimitero
monumentale, ma anche per la sua generosità contribuendo alla nascita di
nuovi talenti
di
Ernesto Bodini
Lo chiamavano il “tenore dei lampadari”, ma anche “corista dai polmoni
d’acciaio”. Un vero portento della lirica che per molto tempo non ha avuto
eguali. Francesco Tamagno, che ho piacere di ricordare ai lettori, soprattutto
agli amanti della Lirica, per testimoniare in modo perpetuo il vissuto di un
artista dalle sublimi melodie che procurarono agli appassionati intense
emozioni. Sin dall’ “Esultate”, che aveva scandito con una voce
indimenticabile, Tamagno elettrizzò il pubblico e persino Giuseppe Verdi che,
precipitandosi sul palcoscenico con le lacrime agli occhi, lo baciò e disse: «Sei
un Otello più autentico del vero Otello! Quel “Miseria mia!” nessuno
lo potrà mai gridare come lo hai gridato tu». E Tamagno, modesto, rispose:
«Vede, Maestro, molti cantanti possono avere più talento artistico di me, ma
più cuore, no di certo!». Da questa semplice affermazione, come dal suo
rifuggire da qualsiasi manifestazione che potesse tacciarlo di vanità (non fece
nulla per avvicinare personaggi altolocati, o per ottenere onorificenze, tant’è che la Croce di Cavaliere gli venne concessa molto tardi), traspare l’intimo
del tenore. Di umili origini Francesco Innocenzo Tamagno nasce a Torino il 28
dicembre 1850 da Carlo e Margherita Protto, Conducevano la trattoria “Al
Centauro”, di loro proprietà, nei pressi di Porta Palazzo, quale unica fonte di
sostentamento della numerosa famiglia: quindici figli che, in poco tempo,
l’epidemia del 1857 decimò lasciando in vita Giuseppe, Domenico, Francesco,
Giovanni e la sorella Giovanna. I primi anni della sua vita li trascorse
aiutando i genitori nella trattoria, e fin da allora per la sua voce deliziosa
era sovente invitato dagli stessi suoi clienti a cantare. Verso i 15 anni
prende alcune lezioni di canto dal maestro Giuseppe Dogliani presso il vicino
oratorio di Don Bosco; successivamente assieme al fratello Domenico si accosta
al Liceo Musicale e, dopo aver frequentato il corso del maestro Pedrotti, si
diploma Corista al Teatro Regio di Torino. E sarà proprio il Teatro Regio a
fornirgli la storica occasione esibendosi, per la prima volta in pubblico (nel
giugno 1865), con il brano “Spazzacamino”; un’esperienza che
ripeterà poco dopo e che gli consentirà di conoscere Don Bosco.
Alla vigilia della rappresentazione del “Poliuto” di
Donizetti (1873) il tenore Masini si ammalò improvvisamente mettendo in seria
difficoltà gli organizzatori dello spettacolo. Fu il maestro Pedrotti che,
ricordandosi del corista dai “polmoni d’acciaio”, invitò Francesco a sostituire
il Masini in quella parte. Da quella esperienza Tamagno comprende che è
arrivato il suo momento. La sera del debutto si presenta in scena e, mantenendo
le parole del testo, sostituisce le note: al “Sol” scritto da Donizetti arrivò
al “Si” naturale con un acuto possente che inondò il teatro quasi
all’inverosimile, scalando da quel momento le vette della notorietà. Nel 1878
si esibì alla Scala di Milano con opere di Verdi, Massenet e Gomez;
successivamente nei teatri di Buenos Ayres e Rio de Janeiro, raggiungendo con
l’”Otello” l’apice dei consensi e della notorietà. «Il “Moro”
dell’Otello – fa notare Mario Ruberi, autore della biografia di
Tamagno – possedeva alcune caratteristiche similari allo stesso
Tamagno, come la forza e la prestanza fisica, la voce tonante, l’impeto
collerico e l’audacia estrema, tant’è che il pubblico sensibile, così lo voleva
e così l’applaudiva in tutto il mondo». Un successo che trova riscontro
nella prima dell’Otello alla Scala di Milano nel febbraio 1887 e nel giudizio
dei critici più famosi che identificarono il nuovo spartito in un “capolavoro
di potenza drammatica, di rara elaborazione musicale per una manifestazione
tenorile e forza vocale che sprigionano dall’umano vigore dell’artista
piemontese”. Si esibì nei principali teatri d’Italia, in quelli di mezza Europa
e di oltre oceano, soprattutto in Sud America, diffondendo un virtuosismo
accompagnato dalla potenza del suono particolarmente adatto ad esprimere
pensieri musicali e… il suo modo d’essere. Erede della laboriosità subalpina,
Tamagno lavorò moltissimo e l’aver cantato per trent’anni, non gli impedì di
essere un padre affettuoso, sempre cortese con tutti: aveva estrema
considerazione dell’amicizia e dei rapporti sociali. Fu anche appassionato
collezionista e filantropo (disponibile a numerose serate di beneficenza), ma
soprattutto umile poiché anche se molto ricco rimase semplice nei modi e negli
intendimenti.
Il Mausoleo di Tamagno nel cimitero monumentale di Torino
Per la sua generosità fu ribattezzato “Tenore Provvidenza). Aiutò parecchi
giovani cantanti che inserì nei cori e li aiutò nella carriera: nel 1877 al
Teatro Carignano di Torino tenne una serie di concerti per orfani e ragazzi
poveri. Volle essere accompagnato al pianoforte da una bambina di 10 anni e
dagli allievi di Carolina Malfatti per aiutare un giovane compositore di 23
anni, Michele Bozzelli. Per lui cantare era spesso un riempitivo della
conversazione, affermando più volte: «Cantare e parlare per me è la stessa
cosa; e la prima mi costa minor fatica della seconda. A volte, anzi, preferisco
cantare». Malfermo in salute, per l’intensa dedizione, il tenore uscì dalla
scene nel 1898 affermando: «Lascio l’arte perché non posso rassegnarmi al
pensiero che un giorno l’arte lasci me». tuttavia, cantò ancora nel 1900 a
Londra al Covent Garden l’Otello, ma in italiano; a Milano nel 1901, in
occasione della morte del suo amico Giuseppe Verdi per il quale cantò assieme a
900 coristi. A Venezia nel 1902, dopo la catastrofe del campanile di San Marco,
si aperse una sottoscrizione per riedificare il monumento. Tamagno ne venne a
conoscenza e corse a Venezia e contribuì con un cospicuo obolo; inoltre cantò
al Teatro La Fenice per la raccolta dei fondi, limitandosi a chiedere un
compenso simbolico (che ottenne): un mattone del vecchio campanile con su
incisa una sigla romana. Confortato dalla figlia Margherita, morì a 55 anni
nella sua villa di Varese nel 1905. Dopo il rito funebre tenutosi nel Duomo di
Torino, seguito da molti cittadini e da una folta rappresentanza di cantanti,
artisti e uomini di cultura, la salma venne tumulata nell’imponente mausoleo
(oggi di proprietà del Comune) di stile ellenistico nel cimitero monumentale,
fatto erigere dalla figlia a ricordo imperituro del padre. Gli sopravvive,
oggi, l’unica pronipote Margherita Talamona Tamagno.
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