Incontro alla Accademia
di Medicina di Torino
La Cardiopatia
Ischemica sotto i riflettori: prevenzione e terapie
essenziali per la
riduzione della morbilità e della mortalità
di Ernesto Bodini
Anche le patologie cardiache, come quelle
oncologiche, sono costantemente sotto i riflettori sia degli operatori sanitari
(clinici e ricercatori) che del pubblico in genere. Due ambiti in cui le
incidenze di morbilità e mortalità inducono sempre più alla prevenzione e, nel
contempo, a migliorare le strategie terapeutiche. Se ne è parlato martedì 4
ottobre alla Accademia di Medicina (presieduta dal dott. Alessandro Comandone),
e precisamente sul tema della Storia
della cardiopatia ischemica per il quale sono intervenuti il prof. Fiorenzo
Gaita (nella foto), direttore del
Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della
Scienza (ospedale Molinette); il dott. Sebastiano Marra, direttore del
Dipartimento di Cardiologia al Maria Pia Hospital (To); e la dott.ssa Patrizia
Presbitero, Senior Consultant Cardiology della Clinica interventistica presso
il Gruppo Humanitas di Rozzano (Mi). Nell’introdurre le relazioni il prof.
Gaita (nella foto) ha ricordato che sino a non molto tempo fa la cardiopatia ischemica (d’ora
in poi C.I.) è considerata la causa di morte più frequente, ma grazie alla
prevenzione eliminando o riducendo i fattori di rischio oggi si è visto
diminuire sensibilmente il numero dei
pazienti affetti da C.I. «Relativamente
alle terapie per il trattamento dell’evento acuto di questa patologia – ha
sottolineato il cattedratico – c’è stata
una altrettanta evoluzione, come pure si è evoluta la prevenzione secondaria
dello scompenso cardiaco».
Più “storico” e al tempo stesso
dettagliato l’intervento del dott. Marra volto soprattutto al concetto di prevenzione
cardiologica in generale. Ma che cosa si intende per prevenzione? È noto che è
un insieme di azioni coordinate della popolazione che possono eliminare i
fattori di rischio e/o “minimizzare” la sintomatologia dell’infarto e delle
malattie cardiovascolari in genere. «Ma
la malattia cardiovascolare, seppur in diminuzione – ha precisato il
clinico – resta a tutt’oggi la causa
principale di morbilità e morbilità, e ciò nonostante i miglioramenti
terapeutici a disposizione. In Inghilterra, ad esempio, l’incidenza di
mortalità dagli anni ’70 al 2000 era di 800 casi per 100 mila abitanti,
percentuale però dimezzata in diverse città europee». Ma a cosa attribuire
i maggiori vantaggi dati dalla riduzione dei fattori di rischio o alle
migliorate terapie? «Nel 90% dei casi
– ha spiegato Marra – l’infarto
miocardico acuto (IMA) è dovuto ai principali fattori di rischio che dovrebbero
essere a tutti noti: fumo, ipertensione, dislipidemie, obesità, diabete, scarsa
attività fisica, etc., e il 50% di questi fattori include una non corretta
alimentazione. In effetti la prevenzione cardiovascolare ha delle notevoli
potenzialità nella riduzione del rischio di mortalità». Sempre secondo
l’esperienza inglese la riduzione di questi fattori riduce del 71% l’evento
mortalità, e del 42% l’apporto terapeutico. Dati che secondo il clinico
torinese possono essere però migliorati. In questi ultimi anni i trattamenti hanno
avuto un’efficacia del 40% e la correzione dei fattori di rischio del 50%.
Ma quale il futuro? «Se i fattori continuano ad essere considerati – ha spiegato Marra (nella
foto) – si contribuirà a ridurre
ulteriormente il tasso di mortalità a causa delle malattie coronariche in
genere, soprattutto se non in presenza di diabete e obesità. Ma è indubbio,
come dimostrato in questi ultimi anni, che la prevenzione dei fattori di
rischio è più efficace della terapia, e su questo versante bisogna agire
“invocando” il supporto delle Istituzioni, delle Associazioni di volontariato,
e in particolare coinvolgendo i medici di famiglia, oltre al contributo dei
mezzi di informazione evitando però campagne allarmistiche». Un dei fattori
di rischio, oggetto di particolare attenzione, è l’abuso del tabagismo
soprattutto tra i giovani e i giovanissimi; ma anche l’ipertensione che
interessa il 50% degli uomini e il 39% delle donne, percentuali che tendono ad
aumentare con l’avanzare dell’età e la sedentarietà. Dati che interessano anche la
regione subalpina, dove le donne pare abbiano maggior coscienza del concetto di
familiarità per queste patologie.
Per quanto riguarda la terapia, rispetto
ad un tempo, oggi si ha un po’ meno paura di sottoporsi al trattamento delle
patologie cardiovascolari, in particolare dell’infarto miocardico acuto (IMA),
e ciò è dovuto ai notevoli progressi di questi ultimi decenni: si è passati dal
30% nell’era pre-unità coronarica al 3-4% di oggi. Ma che cosa ha determinato
la diminuzione di mortalità? Secondo la dottoressa Presbitero (nella foto) un primo successo lo si è
avuto con l’istituzione delle Unità Coronariche e con il defibrillatore, e in
seguito con la terapia riperfusiva per via endovenosa e per via endovascolare
(riapertura della coronaria occlusa), e ciò grazie al ruolo della
fisiopatologia che sta a dimostrare che
l’occlusione del vaso arterioso è provocata dalla trombosi. «In quest’ultimo ventennio – ha spiegato la relatrice – la terapia riperfusiva miocardica si è andata affermando sempre più
come terapia ottimale di elezione nel trattamento dell’IMA, ma la terapia
endovascolare per la rimozione del trombo con l’ausilio dei cateteri, e quindi
per la riapertura della coronaria occlusa con il posizionamento degli “stent”,
è migliorata rispetto alla terapia infusionale (trombolisi per via endovenosa).
Tale procedimento favorisce sensibilmente la diminuzione del rischio di
occlusione e quindi minore è il rischio di emorragia intracranica». È
dunque importante giungere in tempo per
la terapia riperfusiva: secondo gli esperti entro 90 minuti sarebbe l’ideale
dall’ingresso in ospedale al trattamento vero e proprio; e va da sé che è
altrettanto importante ridurre i tempi dal manifestarsi dei sintomi al
ricevimento della terapia perché ciò ridurrebbe il tasso di mortalità. «Il tempo di riperfusione – ha insistito
la dott.ssa Presbitero – resta l’aspetto
più importante da perseguire per effettuare il trattamento endovascolare
dell’infarto. E sempre in fatto di terapia innovativi sono i vari tipi di
“stent” per il trattamento medicato, come quelli che “catturano” le cellule
progenitrici in modo da endotelionasizzarsi più rapidamente. Altr tipi tipi di
stent sono quelli autoespandibili che si adeguano opportunamente alla parete
del vaso arterioso; ma anche quelli di tipo riassorbibile dopo aver svolto la
sua funzione, ossia il ripristino della vasomotilità della coronaria».
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