Se
raccontare il proprio vussuto serve a trasmettere la
cultura
della donazione d’organo a scopo terapeutico
LA
STORIA DI ANITA SILETTO: UN FEGATO PER UNA NUOVA VITA
di Ernesto Bodini
In fatto di trapianti d’organo per scopo terapeutico il
calendario segna che è trascorso oltre mezzo secolo dai primi interventi “pionieristici”:
quello dello statunitense prof. Thomas Starzl (1926), per il primo trapianto di
fegato in essere umano nel 1963, e quello del sudafricano prof. Christian N. Barnard
(1922-2001) per il primo trapianto di cuore nel 1967. Due date storiche che non
sono solo da ricordare ma anche “annoverare” tra i più temerari progressi della
scienza medica e chirurgica a tutela della salute umana. Progressi che hanno
indubbiamente comportato sacrifici, rinunce, successi e fallimenti e il
coinvolgimento non solo di molti studiosi (ricercatori in particolare) ma anche
di animali che… loro malgrado e inevitabilmente, hanno aiutato l’uomo nei sui
progetti sperimentali affinando tecniche chirurgiche e farmacologiche. Ma alla
“resa dei conti”, quale il prezzo? Si potrebbero fare alcune considerazioni ma
qualunque esse siano, la stirpe umana (sta scritto nella Genesi) ha il dovere
di progredire nel rispetto, bene inteso, della dignità e del corpo di tutti gli
Esseri che la compongono.
Il progresso, però, incalza giorno dopo giorno, e per
essere recepito ed attuato necessita di una costante informazione, più cultura
e quindi più sensibilizzazione; ed anche se il trapianto è ormai considerato
una terapia medica di “routine”, resta ancora molto da fare per “incrementare”
le donazioni vincendo incertezze, riluttanze, indecisioni e quant’altro. È
evidente che un’informazione capillare (ma non assillante) e fruibile da
chiunque può contribuire, ma non sono certo gli eventi di cronaca (se non
eclatanti: vedi il “caso” di Nicholas Green) che possono favorire la crescita
culturale sull’argomento donazione si, donazione no; mentre, a mio avviso, la
citazione di qualche esperienza vissuta in “corpore vili” potrebbe essere di
stimolo e quindi presa ad esempio, e magari tramandata ad altri… Tra queste mi
sovviene l’esperienza di Anita Siletto, trapiantata di fegato a Torino nel 2010
(dal prof. Mauro Salizzoni), e che successivamente ha voluto raccontare la sua
lunga “odissea”, pubblicata nel 2012 con il contributo della Associazione
Italiana Trapiantati di Fegato (Aitf - onlus). Un vissuto raccontato in modo
discorsivo e di sicuro impatto socio-culturale che, sommato ad altri, io credo
possa contribuire a trasmettere più coraggio in chi deve sottoporsi ad un
trapianto, e più fiducia in chi deve dare quell’umano consenso all’atto di
donazione. A questo riguardo ripropongo uno stralcio della prefazione che ho
curato per la pubblicazione del suo volumetto, che ha intitolato Avanti tutta – Emozioni e ricordi di un
trapianto.
«Non
è certamente raro leggere storie di vita dal percorso tortuoso, specie se
l’ostacolo da superare è una lunga malattia. Tra queste fa capolino, con umiltà
e semplicità espositiva quella di Anita Siletto, una giovane madre di famiglia
di Torino che, durante la degenza (all’ospedale Molinette di Torino), ha
sentito “impellente” il bisogno di raccontare la sua esperienza di trapiantata
di fegato. Un excursus ricco di emozioni, durato oltre quattro anni; una sorta
di “appunti di viaggio” dai quali la parola riconoscenza per i famigliari e gli
operatori sanitari quasi si impone sino a diventare il filo conduttore della
sua storia. Pagine di un diario che vogliono essere anche di sostegno e speranza
per tutti i candidati ad un trapianto, sensibilizzando l’opinione pubblica
attraverso il concetto “un donatore moltiplica la vita”. Scorrendo le stesse si
delinea altresì la “saggezza del dopo” in cui stupore, fede e volontà di vivere
hanno avuto un ruolo determinante, avvalorato dalla professionalità di quelli
che lei chiama “angeli custodi e quasi amici” che le hanno somministrato non
solo farmaci ma anche la “terapia dell’animo”. Altrettanto presente nei vari
capitoli è il pensiero e forte legame per i suoi famigliari, una costante
luce-guida per meglio affrontare il dolore e il silenzio di una stanza, di un
“isolamento forzato”, di volta in volta illuminato dalla luce della speranza… I
pensieri della Siletto si sovrappongono senza interruzione, sono rivolti anche
al suo donatore che immagina e che vorrebbe conoscere, sapere di lui, sorridergli,
ringraziarlo…».
L’autrice, che oggi a distanza di sei
anni del trapianto è in perfetta forma fisica e psicologica, tanto da dedicarsi
al volontariato in seno all’Aitf, in più occasioni ha ricordato: «… ho cominciato a scrivere brevi frasi e dopo alcuni mesi di silenzio, tutto ha
preso forma in poche settimane. Come un fiume in piena, ero travolta dalle
emozioni e più scrivevo più era forte il mio desiderio che l’esperienza vissuta
rimanesse nella carta e non solo nella mia mente e nel mio cuore. Vorrei che i
miei “appunti di viaggio” potessero aiutare coloro che devono affrontare questa
esperienza o qualunque altra difficile prova della vita… E possibilmente poter
sensibilizzare le persone alla donazione degli organi: oggi, i tempi di attesa
per un trapianto sono ancora lunghi e c’è ancora molto da fare nel nostro paese
a questo riguardo». Un contributo con il quale in prima istanza ha voluto colmare il suo animo
inquieto e inappagato, tanto che affiora il desiderio-necessità di riconoscenza
per aver avuto il dono a “prezzo di una nuova vita”, sino a incorrere in quello
spasmodico voler conoscere l’identità del donatore, magari solo per
ringraziarlo attraverso il contatto con i suoi famigliari che hanno dato il
consenso al prelievo dell’organo. Un desiderio, quest’ultimo, lecito e
comprensibile ma che rientra in quel fenomeno che gli esperti definiscono “la sindrome del segugio”, ossia
il desiderio a volte incontenibile di conoscere l’identità del proprio donatore
(o della sua famiglia), ma che dal punto di vista legale e delle ovvie
deduzioni, non può trovare appagamento. Non un “vuoto da colmare” ma una presa
di coscienza sufficiente a comprendere che l’anonimato rappresenta di per sé
stesso il gesto ultimo, e forse più significativo, come un invito a donare e
quindi come inno alla vita.
Foto in alto: i proff. T. Starzl e C. Barnard; foto in centro di Pino
Argiolas; foto in basso della famiglia Siletto.
Commenti
Posta un commento