CICERO PRO DOMO SUA: UN “VEZZO”
DI ANNUALE TRADIZIONE
Se “l’anticonformista” Jean-Paul
Sartre non fa testo, quanto meno fa riflettere…
di
Ernesto Bodini
Ci risiamo. Anche quest’anno, per quanto lodevole
l’iniziativa, si è svolta la 37a edizione del Premio
Ischia Internazionale di Giornalismo. Nulla di personale con i designati
premiati (che peraltro non conosco personalmente), che possono aver meritato, o
meno, il riconoscimento in questione. Quindi lungi da me un possibile giudizio
sia perché non sono a conoscenza dei lavori svolti dagli interessati, sia
perché non intendo ergermi a “giudice” nemmeno previo invito…; oltre al fatto
che sarei “parte in causa” per la professione e quindi a rischio di conflitto
di interesse. E proprio qui sta il nocciolo del problema in quanto, come si
evince da notizia Ansa del 3 luglio scorso, la Giuria, per quanto degna di
competenze, era interamente composta da addetti ai lavori, ovvero giornalisti
di professione e/o addetti alla comunicazione, fatta eccezione per il
presidente della Fondazione Premio Ischia, e del Consigliere alla Cultura della
Regione Campania. A mio modesto parere, come ebbi modo di “disquisire” lo
scorso anno (36a edizione dello stesso Premio) è duro a morire il classico “cicero pro
domo sua”: i candidati vincitori premiati dai loro stessi colleghi. Non mi pare
proprio il massimo dell’essere al di sopra delle parti, poiché la razionalità
vuole che una Commissione giudicante (per essere totalmente imparziale) sia
eterogenea e quindi composta da professionisti in diverse discipline
tecnico-scientifiche, politiche, accademiche, umanistiche, etc.
Inoltre, pongo il seguente quesito: in cosa
consiste premiare un professionista in funzione del suo dovere, peraltro
solitamente ben remunerato per esercitare eticamente e deontologicamente il suo
mestiere? Sarebbe come se si dovesse premiare un chirurgo che ha eseguito un
ottimo intervento, un anestesista che ha ben anestetizzato un paziente, un
sacerdote che ha ben officiato un rito religioso, o un docente che ha ben
svolto una lezione didattica, etc. Questi ed altri esempi che inducono a
riflettere sul fatto che riconoscere ai professionisti una buona ed equa
retribuzione è più che sufficiente, oltre alla considerazione che ogni altro
riconoscimento “extra contrattuale”, a parer mio, nulla aggiunge e nulla toglie
alla consapevolezza di svolgere bene la propria professione, sia essa
giornalistica o di altra natura. Semmai, si potrebbe aggiungere, da questi
professionisti della comunicazione si possono eventualmente acquisire utili
suggerimenti in base alla loro esperienza, e questo, va da sé, non implica
necessariamente un valore aggiunto da meritare un premio sia nazionale che
internazionale. Per estensione, fulgido è l’esempio di Jean-Paul Sartre
(1905-1980), non tanto per il fatto di aver rifiutato il Premio Nobel per la
Letteratura (1964), quanto invece per la convinzione (opinabile o meno) che
tale riconoscimento andrebbe assegnato a posteriori, sostenendo il concetto che
solo post-mortem sia possibile esprimere un giudizio sull’effettivo valore
letterario, e ciò nel rispetto delle proprie volontà testamentarie. Del resto,
nel 1945 aveva già rifiutato la Legion d’Onore e, in seguito, la Cattedra al
Collège de France.
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