QUANDO LE AZIONI DEL DOVERE CIVILE E PROFESSIONALE
SI CONFONDONO CON IL”REALE” CONCETTO DI EROISMO
di Ernesto Bodini
Sembra
essere imperterrita e non aver mai fine la tendenza a riconoscere “eroica” ogni
azione benevola e umanitaria (ancorché in ambito professionale) che viene
compiuta da chicchessia ed in qualunque contesto, ed ancor più è la tendenza ad
etichettare “eroe” questo o quel protagonista. Va precisato che quelli che
vengono individuati come eroi solitamente
hanno compiuto un azione di merito verso i loro simili (in taluni casi anche
verso gli animali, in altri casi a difesa di beni materiali comuni e/o privati)
e quasi sempre in funzione del loro ruolo professionale (pubblico o privato).
Un cittadino normale che compie il proprio dovere, che ha la sua dignità e che crede
nel suo lavoro dev’essere riconosciuto come eroe perchè gli è stata tolta la
vita? In questi decenni quante persone (con o senza una divisa) hanno perso la
vita durante lo svolgimento del proprio dovere, ma non per questo debbono
essere considerate “eroi”; del resto potremmo esserlo tutti in quanto
potenzialmente siamo nella condizione di compiere una buona azione nei confronti
del prossimo… anche a scapito della nostra stessa vita. Inoltre, non c’è da
dubitare che vi siano state persone anonime che con il loro agire hanno salvato
una vita e, scoperte per caso molto tempo dopo, non sono state “insignite”
dell’appellativo di Eroe. Alcuni anni
fa, su un bollettino di una Azienda sanitaria piemontese, lessi questo titolo: «“Intervista a P……. eroe dei due mondi»,
si trattava di un medico che per sua volontà aveva operato in Paesi poveri e in
conflitto; sul quotidiano La Repubblica del 28/7/2014 un titolo riportava: «Eroi del fango», richiamando con lo
stesso la copertina di un libro a ricordo del ventennale dall’alluvione del
novembre 1994 che dilaniò il Piemonte causando danni ad aziende, e che vide lo
slancio di solidarietà di molte persone in opere di recupero e riparazioni. E
per questa ragione i protagonisti andavano riconosciuti come eroi? A riguardo si
potrebbero citare molti altri esempi di cronaca come le 18 persone premiate dal
presidente della Repubblica nell’ottobre 2015: protagonisti ai quali sono stati
conferiti vari titoli onorifici in quanto si sono distinti per onestà e
altruismo e, nel citarli, l’articolo de’ La Stampa titolava: «Il premio di Mattarella agli eroi di tutti i
giorni».
Da quando faccio parte del tessuto sociale (italiano) ho sempre
saputo che onestà e altruismo non sono azioni di “merito”, bensì un dovere
civico comportamentale, pertanto non implicano necessariamente un
riconoscimento onorifico e tanto meno l’etichetta di ”eroe” perché, se così non
fosse, tutti coloro che svolgono il proprio dovere dovrebbero meritare tale
appellativo. È evidente che questo modo di intendere l’eroismo rispecchia
quanto è menzionato dai dizionari, ossia eroe è colui che dà prova di
abnegazione e di spirito di sacrificio per un nobile ideale: della fede, della
libertà, della scienza, della carità, etc. Per contro, vi sono stati alcuni
protagonisti di una particolare azione umanitaria che hanno rifiutato
l’appellativo di eroe impresso loro dai mass media, e a costoro vanno
riconosciute la modestia e l’umiltà… oltre che l’obiettività, probabilmente
perché nel loro inconscio rispecchiava il “vero” concetto di eroismo, ossia
quello espresso e praticato dal premio nobel per la Pace, Albert Schweitzer
(1875-1965): «Non esiste l’eroe
dell’azione, ma della rinuncia e del sacrificio». E se ben inteso quanto
allertava il poeta e drammaturgo tedesco Bertold Brecht (1898-1956) nella “Vita di Galileo”: «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi», va da sé che il
“reale” atto di eroismo è da intendersi senza riconoscimento alcuno.
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