Dopo
oltre un secolo di vita
RICORDO
DI RITA LEVI-MONTALCINI
Una
scienziata illuminata e di grande valore umano che ha lasciato
una
grande eredità: il suo sapere per il futuro delle nuove generazioni
di Ernesto Bodini
É
stata una grande scienziata che ha dato lustro all’Italia nel mondo. Dopo 103
anni vissuti per la scienza, per il rispetto dei diritti delle donne e il
grande impegno per i giovani, Rita Levi-Montalcini si è spenta a Roma nella sua
casa il 30 dicembre 2012. É stata senatrice a vita e premio nobel nel 1986
(condiviso con il collega Stanley Cohen) per la Medicina e la Fisiologia per le
sue ricerche sul “Fattore di crescita dei
nervi” (NGF), e prima donna a rivestire l’incarico di presidente
dell’Enciclopedia Italiana (1993-1998). Nata il 22 aprile 1909 a Torino, fin da
bambina ha cercato di imporre la sua passione per lo studio e il forte senso di
indipendenza contro la severità del padre e l’austerità delle tradizioni
familiari. Nel 1938, in quanto ebrea, è stata costretta dalle leggi razziali e
dal regime fascista ad emigrare in Belgio dove ha continuato le sue ricerche,
rifugiandosi durante la guerra a Firenze, aderendo alla lotta partigiana e
aiutando i compagni nel falsificare i documenti. Alla fine del conflitto è
tornata a Torino all’Istituto di Anatomia diretto dal prof. Giuseppe Levi
(Trieste 1872 – Torino 1965), accanto ai colleghi Salvatore Luria e Renato
Dulbecco (futuri nobel rispettivamente nel 1969 e nel 1975), e in seguito
invitata a continuare i suoi studi a Saint Louis (Stati Uniti) dove è rimasta
per oltre vent’anni. Sull’esperienza relativa alle leggi razziali, in una delle
tante interviste aveva raccontato: «In
quel periodo ero una giovane donna, appassionata alla ricerca, ma ostacolata
nelle mie possibilità di continuare perché, come “razza” inferiore, non potevo
andare all’università. Ho creato il mio laboratorio in camera da letto: ho
fatto quelle scoperte, quelle ricerche che molti decenni dopo mi avrebbero
portato gli onori di Stoccolma per la scoperta fatta. In quel periodo ero molto
amica dei partigiani, partecipavo con loro non come attivista perché mia madre
e la mia famiglia non erano in condizioni… e io non potevo abbandonarli, però
ero tutti i giorni in contatto, quindi sapevo quanto capitava, sapevo degli
orrori di Auschwitz. Miracolosamente siamo sfuggiti, ci siamo salvati con un
altro nome a Firenze, dove ho vissuto in contatto con i partigiani…». Dopo
l’intervista che mi ha rilasciato a Torino il 19 ottobre 1991 ho rivisto
l’ultima volta la professoressa Rita Levi-Montalcini il 22 aprile del 2009 in
occasione dei festeggiamenti per il suo 100° compleanno, cerimonia che si è
tenuta a Roma nella sede del Consiglio Comunale (Palazzo Senatorio – Aula
Giulio Cesare). Una ricorrenza particolarmente significativa e da una
comprensibile eco, e forse anche insolita per un convegno scientifico a livello
internazionale in suo onore, che ha avuto per titolo “The Brain in Health and Disease”, al quale hanno partecipato altri
scienziati esperti in Neuroscienze tra i quali lo statunitense biochimico prof.
Stanley Cohen, il prof. Ezio Giacobini, neuurofarmacologo e psichiatra,
titolare della Cattedra all’University of Geneva Medical School; il prof.
Anders Bjoklund, ricercatore al Wallenberg Neuroscience Center Lund University
in Svezia; il prof. James Fawcett, clinico e ricercatore al Cambridge Center
for Brain Repair in Gran Bretagna (anche questi ultimi da me intervistati). In
quella occasione la scienziata torinese così si è espressa: «I miei cent’anni trovano in questo giorno la
risposta alle preoccupazioni, ma anche la certezza di quello in cui ho sempre
avuto fiducia, ossia nella ricerca e negli uomini…».
In
altre occasioni ha rilasciato numerose interviste, soprattutto relativamente
alla sua età e al potenziale sviluppo del cervello umano e, a riguardo, ha
affermato: «Faccia quello che vuole il
mio corpo, io sono la mente»; e al suo pensiero sul futuro, ha precisato: «Penso solo al futuro… Bisogna guardare
sempre avanti, disinteressarsi di sé stessi, ma interessarsi degli altri»; una
massima, questa, che l’ha accompagnata per tutta la vita: dagli studi in
Medicina intrapresi sull’onda del trauma per la morte improvvisa della sua
governante, sino alla laurea, rocambolescamente acquisita con un sonoro 110 e
lode, negli anni bui del fascismo e delle leggi razziali. Parte del premio
nobel finì alla Comunità ebraica di Roma per la costruzione di una nuova
Sinagoga. Era il 1986 e la Montalcini era da nove anni di nuovo stabilmente in
Italia; un ritorno carico di premi, lauree, onori e scoperte, riconoscimenti ai
quali si è aggiunto quello dell’allora presidente della Repubblica, Carlo
Azeglio Ciampi, che l’1 agosto del 2001 l’ha nominata senatore a vita, proprio
nel momento in cui il governo di centro sinistra, per “sopravvivere”, doveva
appoggiarsi al voto suo e degi altri senatori a vita. Per quest’ultimo
riconoscimento la professoressa Levi-Montalcini è stata più volte oggetto di
attacchi che avevano il sapore più di una goliardata che di un vero affronto
politico, ma proprio per la sua compostezza etico-morale e coerenza, non amava
le goliardate: il fascismo, le leggi razziali, la fuga dall’Italia, il rientro,
le difficoltà della ricerca, gli studi in America e la passione per i giovani
(nei quali ha sempre posto la massima fiducia per la loro crescita morale,
culturale e professionale) l’hanno resa superiore ad ogni sorta di
“provocazione”, peraltro assai strumentale e non certo intelligente… «La scienza – è stata una delle sue
ultime dichiarazioni pubbliche – non può
avere il lucchetto anche se nessuno può prevedere come saranno utilizzate le
scoperte. Ma questo, non è compito dello scienziato ma della politica». Nei
molteplici incontri con i giovani ha sempre cercato di comunicare le
consapevolezze che ha tratto dalla sua intensa esperienza di vita: «La prima di queste – ha sottolineato – è la consapevolezza che ognuno dovrebbe
sempre avere presente che la vita è una esperienza unica di straordinaria
importanza, che dovrebbe essere vissuta in profondità traendo da questa gli
elementi positivi, anche se questi al momento nel quale sono vissuti non
appaiono come tali».
Unico caso al mondo
TRE NOBEL ITALIANI A TORINO DEL PROF. GIUSEPPE LEVI
Salvatore Luria
(Torino 1912-1991) – Insignito del premio nobel nel 1969 per la Medicina e la
Fisiologia, condiviso con il tedesco Max Delbruck e con lo statunitense Alfred
Day Hershey, per le loro scoperte sul meccanismo di replicazione e sulla
struttura genetica del virus. Luria aveva lavorato con Enrico Fermi, e
applicava la fisica allo studio delle molecole; credeva nella collaborazione
tra specialisti di discipline diverse, ed era convinto che per stanare i geni
fosse necessario studiare la genetica dei virus.
Renato Dulbecco
(Catanzaro 1914 – California 2012) – Insignito del premio nobel nel 1975 per la
Medicina e la Fisiologia, condiviso con gli statunitensi David Baltimore e Howard Martin Temin, per le loro scoperte
sulle interazioni tra virus tumorali e materiale genetico della cellula. Pur
addentrandosi nel sempre più infinitamente piccolo, non perdeva di vista il
grande sogno di Salk di integrare e correlare i problemi di questo mondo “molecolare
con quelli più concretamente umani: «A
mano a mano che il lavoro con i virus del polioma e SV 40 si avviava verso un
prevedibile completamento – ha scritto in seguito – diventavo sempre più consapevole dell’utilità di quei risultati per la
ricerca clinica sul cancro, ed era forse la mia preparazione medica a spingermi
in questa direzione».
Rita Levi-Montalcini
(Torino 1909 – Roma 2012) – Insignita del premio nobel nel 1986 per la Medicina
e la Fisiologia, condiviso con lo statunitense Stanley Cohen, per la loro
scoperta dei “fattori di crescita”. Nella frase da lei pronunciata: «Rimasi incantata dalla bellezza degli aloni»,
l’intima ineffabile emozione di una grande scoperta. Un alone da cui si
dipartivano tante sottilissime fibre, proprio come i raggi del sole. Un ganglio
nervoso con tante spicule a raggiera. Attonita, guardandolo con i suoi grandi
occhi chiari, la giovane ricercatrice avrebbe voluto immortalare l’immagine su
di una lastra fotografica.
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