Di
fronte alla malattia cancro un giovane neurochirurgo si racconta
UN AUTORE CHE HA SAPUTO AFFRONTARE LA
MALATTIA E LA MORTE CON INTEGRITÁ E
DIGNITÁ
di Ernesto Bodini
Medici che si ammalano, medici che scrivono,
che raccontano la loro esperienza professionale, e di sofferenza sino
all’exitus… Oggi non è poi così raro imbattersi in autobiografie di autori
giovani, “coraggiosi” e portatori di messaggi, non solo di speranza ma anche di
spunti di riflessione sul ruolo del medico “votato” ai suoi pazienti, dividendo
il proprio tempo e i propri spazi con la famiglia, fonte “ultima” ma
determinante per la realizzazione della propria esistenza. É il caso, ad
esempio, del dottor Paul Kalanithi che, prima di morire all’età di 37 anni, per
una neoplasia al polmone (al IV stadio), ha voluto far conoscere il suo vissuto
con la pubblicazione “Quando il respiro si fa aria – Un medico, la
sua malattia e il vero significato della vita” (pagg. 149, € 18,00; Ed.
Mondadori, 2016); uscita postuma con l’epilogo della moglie Lucy. Il dottor
Kalanithi, neurochirurgo e ricercatore americano di origine indiana, specializzatosi
brillantemente alla Yale University, e che ha ricevuto il più alto riconoscimento
per la ricerca da parte dell’American Academy of Neurological Surgery, sia
durante il suo “breve” exursus professionale che durante la malattia, racconta
con grande determinazione e umiltà un percorso ricco di soddisfazioni e
lodevoli prospettive di brillante chirurgo, intriso di toccanti e profonde
riflessioni ma anche di un uomo vicino alla morte. Pur trovandosi dalla parte
opposta continua a prendersi cura dei suoi pazienti, instancabilmente in lunghe
ore di sala operatoria, in perfetta sintonia con colleghi ed altri
specializzandi, senza cedimenti e con la dignità di chi sa come affrontare gli
impegni, le difficoltà, gli imprevisti… Un divulgare per far conoscere, senza
retorica, nonostante la “devastante” diagnosi e un iter terapeutico particolarmente
impegnativo, sia pur accompagnato dai suoi colleghi e dai suoi famigliari con
la compostezza che è propria di chi non conosce quel mero pietismo che spesso è
fine a se stesso.
La forma elegante ed al tempo stesso
austera della prosa denota nell’autore un’ottima cultura umanistica, tant’é che
a riguardo confidò in una intervista: «… non
so cosa starò facendo tra cinque anni… forse ci sarò, forse no… Se mi avessero
chiesto quando avevo 17 anni cosa avrei voluto fare nella vita avrei detto lo
scrittore. Poi ho scoperto che la medicina era in effetti il mestiere perfetto
per me». Ma cosa rende la vita degna di essere vissuta quando ci si
confronta con la morte? É questo il quesito che fa da “guida” all’autobiografia
del dottor Kalanithi, ed altri che seguono, come affrontare il futuro il cui
orizzonte si va allontanando sempre più, soprattutto lasciando la figlia Cady
di pochi mesi che, con la sua tenerezza ne ha allietato lo spirito nella
“illusione” di un conforto effimero ma appagante. Il giovane Paul, ci coinvolge
nella sua esistenza più intima in cui il
dramma della precarietà e della sofferenza si fa sempre più pressante, in tutte
le sue dimensioni fatte di speranze, di illusioni e di disperazione ma con
cosciente razionalità. E a questo riguardo ha affermato: «Da quando Cady è nata il mio tempo con lei è stato molto particolare e
intenso. Non ho altra possibilità, non vivrò abbastanza perché lei possa
ricordarsi di me e quindi il presente è tutto ciò che ho. Se non pensi al
peggio allora la tua fine sarà molto dura per te e per la tua famiglia; ma se
non pensi al meglio perderai l’opportunità di trarre il massimo dalla vita e del
tempo a disposizione».
L’amorevole Lucy, amata sin dagli anni
dell’università, ha esaudito il desiderio del marito “completando” alla sua
morte questa pubblicazione con un capitolo che non vuole essere solo l’epilogo,
ma anche se non soprattutto la testimonianza di momenti gioiosi pur nel pieno
rispetto del loro dolore. Nel ripercorre sinteticamente alcune tappe per descrivere
la breve agonia fatta di respiri esitanti e irregolari. Ma non manca di
rievocare la sua grande dedizione nel portare a termine i suoi capitoli, tra
una terapia e l’altra, tra una fitta e l’altra e in continuo contatto con il
suo editor. Non ha mai distratto i suoi occhi dalla morte, passando gran parte
della sua vita a chiedersi come vivere una vita significativa, la cui risposta
sta proprio in queste pagine intrise di integrità e umiltà. Nei suoi ricordi e
nelle sue convizioni questa giovane sposa ipotizza che se il marito fosse
sopravvissuto, avrebbe dato un contributo notevole come neurochirurgo e
neuroscenziato; avrebbe aiutato molto i pazienti e le loro famiglie con le
capacità e la dedizione che gli erano proprie. Per la giovane Lucy e la figlia
Cady la scomparsa (marzo 2015) di Paul rappresenta una grave perdita, che dire
incolmabile sarebbe mero eufemismo; ma che a ragione richiama quanto sosteneva
lo scrittore britannico Clive Staples Lewis (1898-1963): «La perdita della persona amata non è il troncamento dell’amore
coniugale, bensì una delle sue fasi normali, come la luna di miele. Quello che
vogliamo è vivere bene e fedelmente il matrimonio anche in questa fase».
Una perdita che anche i lettori sapranno comprendere dopo aver apprezzato
queste pagine di testimoniale saggezza.
Nella foto in basso Paul e Lucy Kalanithi
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