UN PIONIERE DELLA RICERCA IN ONCOLOGIA

RICORDO DI JUDAH FOLKMAN, OGGI SCOMPARSO, FU INSIGNE CLINICO
NELL’AMBITO DELLA CHIURURGIA PEDIATRICA E DELL’ONCOLOGIA

Un vanto per l’Università degli Studi di Torino che nel 2006 lo ha insignito della laurea Honoris Causa in Medicina e Chirurugia. Fondamentali sono stati i suoi studi e le sue ricerche sull’angiogenesi, lo sviluppo dei vasi sanguigni che alimentano il tumore. Prima delle scue scoperte si pensava che il cancro fosse un insieme di cellule impazzite votate soltanto alla duplicazione. Dopo le sue scoperte sulle modalità con cui il tumore riesce a “parassitare” le rete vascolare dell’ospite è sempre più difficile definire un tumore maligno semplicemente massa…

di Ernesto Bodini


Dieci anni fa (27 marzo 2006) a Torino, nell’Aula Magna del Rettorato, all’illustre chirurgo pediatra e ricercatore, per anni dedito in campo biomedico, gli veniva conferita la laurea Honoris Causa in Medicina e Chirurgia, con la seguente motivazione: “Pioniere degli studi sperimentali sulla angiogenesi e della loro applicazione clinica, ha aperto la strada a terapie dirette contro i vasi neoformati dal tumore”. Nato a Cleveland nell’Ohio nel 1933, si laureò all’Università di Harvard a Boston nel 1957, con specializzazione in Chirurgia al Massachusset General Hospital, e successivamente professore di “Cell Biology” alla Harvard Medicine School e direttore del Vascular Biology Programm del Children’s Hospital di Boston. Il prestigioso riconoscimento a coronamento del fatto che nel suo laboratorio è stato scoperto il primo inibitore naturale dell’angiogenesi e dimostrata l’attività anti-angiogenetica della talidomide (oggi introdotta in terapia per alcuni tumori), e scoperti due frammenti anti-angiogenetici del collagene: l’angiostatina e l’endostatina. Nel 1995 Folkman (nella foto, di unito.it) supervisionò il primo studio per l’utilizzo dell’Interferon gamma quale inibitore dell’angiogenesi negli emangiomi (neoformazioni benigne circoscritte, dovute ad anomalie di sviluppo dei vasi sanguigni) in pazienti pediatrici. Lavori che hanno portato il ricercatore ad intraprendere trials terapeutici rivolti al blocco dell’angiogenesi il cui campo di applicazione riguarda sia le neoplasie che le malattie neoplastiche. La laurea honoris causa conferita a Folkman dall’Ateneo torinese, è stata parimenti riconosciuta al prof. Donald David Sisson (oggi 66enne), nativo della California e laureatosi in Medicina alla University of California di Santa Barbara, specializzandosi in Medicina Veterinaria alla School of Veterinary Medicine alla University of California. Autore di numerosi lavori di ricerca e pubblicazioni nel campo della medicina cardiovascolare animale, al prof. Sisson è stato conferito il prestigioso riconoscimento per aver fornito un considerevole contributo al progresso delle scienze veterinarie, in particolare al settore della Cardiologia veterinaria. Ulteriori studi hanno riguardato e riguardano i meccanismi fisiopatologici dell’insufficienza cardiaca nel cane e nel gatto. A questo riguardo Sisson è stato responsabile di progetti di ricerca pura e applicata che lo hanno portato alla pubblicazione dei primi lavori, condotti secondo gli standard delle Good Clinical Practice Guidelines sull’efficacia della terapia con gli Ace-inibitori nel trattamento dell scompenso cardiaco del cane. Da anni ricopre l’incarico di direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche all’Oregon State University, dove continua la sua attività di clinico e ricercatore.
Tornando al prof. Folkman (nella foto in basso con l'autore dell'articolo), rammento la sua conoscenza a Roma il 10 maggio 1999, in occasione del convegno su “La brevettabilità del materiale vivente: tra scienza ed atica”, nel corso del quale gli fu conferito il Premio Chirone dall’Accademia Nazionale di Medicina per il notevole contributo portato alla comprensione dei meccanismi molecolari dell’angiogenesi, e allo studio di possibilità terapeutiche legate alla inibizione o stimolo dell’angiogenesi per la cura dei tumori, malattie cardiovascolari, etc. Il suo lavoro divenne celebre nel 1998 grazie ad un articolo di Gina Kolata sul New York Times, con il risultato di un media frenzy che fece di Folkman una sorta di star. Ho un bel ricordo di Folkman, sia per l’intervista che mi rilasciò in quell’occasione “romana”, sia per averlo rivisto alla cerimonia all’Ateneo subalpino. In questo secondo incontro non ebbi l’opportunità di avvicinarlo, ma di seguire la sua Lectio Doctoralis, che ripropongo (tralasciando i “doverosi convenevoli”) come esempio di dotta cultura e lungimirante progresso scientifico.


«I miei studi sull’angiogenesi, il processo di crescita dei vasi, cominciarono a metà degli anni ’60. Nel 1971, sono stato in grado di pubblicare l’idea che il tumore deve assolutamente reclutare i propri vasi… altrimenti non può crescere, metastatizzare e uccidere il suo ospite. Durante i 10 anni successivi, abbiamo sviluppato il metodo per studiare come crescono i vasi dei tumori. Ad esempio, nel 1973 eravamo in grado di mantenere le cellule dei vasi vive al di fuori del corpo, e di farle crescere, cosa prima non possibile. Quindi abbiamo sviluppato dei test biologici per valutare l’angiogenesi, che ci hanno permesso di scoprire il primo fattore angiogenetico, cioé una proteina che stimola la crescita dei vasi. Ma per dimostrare inequivocabilmente che il tumore era dipendente dall’angiogenesi, bisognava far regredire i suoi vasi. Questo significava scoprire proteine o molecole che potessero inibire l’angiogenesi. Queste sostanze non esistevano prima del 1980. Il rifiuto di una mia richiesta di finanziamento recitava: “L’esistenza di un inibitore dell’angiogenesi è solo nella mente di questo ricercatore”. Così abbiamo iniziato il nostro lungo viaggio. Nei 20 anni successivi, dal 1980 al 2000, abbiamo scoperto undici inibitori dell’angiogenesi, che hanno inibito un largo spettro di tumori sperimentali nell’animale. Cinque di questi sono ora in trial clinici, o approvati. Ad esempio, l’interferon-alfa è attualmente usato per i tumori testa-collo, eliminando la necessità di radioterapia e le sue complicazioni sfiguranti. Lo steroide 2-metossi-estradiolo è ora utilizzato in trial clinici per il carcinoma della prostata, e l’endostatina è ora approvata in Cina per il tumore del polmone. Questi tre inibitori dell’angiogenesi, così come altri, sono normalmente presenti nel nostro corpo. La scoperta di questi primi inibitori dell’angiogenesi ha catturato l’attenzione dei colleghi ricercatori. Molti laboratori nel mondo hanno iniziato a fare ricerca nel campo dell’angiogenesi. Nel 1971 c’erano solo tre lavori sull’angiogenesi in letteratura. Oggigiorno, più di 70 lavori sono pubblicati in questo campo ogni settimana, e dal 1971 vi sono più di 2.600 pubblicazioni.
Questa grande comunità di scienziati ha contribuito a molte scoperte eccitanti sull’angiogenesi. Ricercatori a San Paolo ed a Boston hanno dimostrato che individui con sindrome di Down hanno una copia extra di un gene che codifica per l’endostatina, con risultante aumento dei livelli di questa proteina. Questo potrebbe spiegare in parte perché questi individui sono più protetti dai tumori di noi. Ventisette altri inibitori dell’angiogenesi sono stati scoperti, che potrebbero orchestrare una attività naturale di soppressione. Se una sola di queste, ad esempio l’endostatina, è regolata negativamente nel topo, i tumori crescono 300 volte più velocemente. Se due inibitori sono repressi, ad esempio, trombospondina-1 e tumastatina, i tumori crescono 500 volte più rapidamente. Il princiale di tutti i geni ati-tumorali, lap53, blocca l’angiogenesi tumorale attraverso tre differenti meccanismi, incluso l’aumento della trombospondina-1. Un nuovo campo farmaologico sta quindi emergendo grazie alla scoperta che piccole sostanze a basso peso molecolare assunte per os aumentano i livelli di specifici inibitori dell’angiogenesi. Ad esempio, la doxaciclina, e basse dosi di ciclofosfamide, un agente chemioterapico, aumentano i livelli di trombospondina-1. Diversi tipi di tumori umani ed animali rilasciano enzimi che mobilizzano inibitori endogeni dell’angiogenesi. Questo spiega perché la rimozione di un tumore primario può essere spesso seguita dalla crescita esplosiva di metastasi secondarie.
Negli anni ’90 è stato scoperto che molte patologie ematologiche, tra cui il mieloma multiplo e la leucemia, erano in realtà dipendenti dall’angiogenesi, come i tumori solidi. A quel punto fu anche riconosciuto che altre patologie, oltre i tumori, erano angiogenesi-dipendenti, e potevano potenzialmente essere trattate con terapia anti-angiogenetica. Tra queste, sono incluse l’aterosclerosi, l’endometriosi, la degenerazione maculare, la retinopatia diabetica, l’artrite reumatoide, l’ipertrofia prostatica benigna e molte altre patologie. A metà degli anni ’90, le Case Farmaceutiche cominciarono a credere che farmaci anti-angiogenetici potessero essere prodotti e testati in trial clinici. Il cambiamento di opinione dell’industria era dovuto dai continui rapidi progressi nell’angiogenesi e dall’esistenza di un ampio spettro di molecole che erano state purificate. Oggigiorno, nove differenti inibitori dell’angiogenesi sono stati approvati dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti, e in più di altre nazioni, inclusa l’Unione Europea. L’Avastin, un anticorpo che blocca la proteina angiogenetica VEGF è stato il primo inibitore approvato per l’utilizzo nell’uomo. L’Avastin ha aumentato in maniera significativa la sopravvivenza in pazienti con tumori al colon, polmone o mammella. Sette altri inibitori sono in trial di fase III e sedici in trial di fase I e II. La più inaspettata applicazione della terapia antiangiogenetica è stato il trattamento della degenerazione maculare correlata all’età. In questa patologia, vasi sanguigni anormali crescono dal retro dell’occhio e causano cecità dovuta a stravaso di liquidi ed a emorragie. Dieci milioni di americani soffrono di questo disturbo, ed un milione di questi è cieco. I pazienti hanno ricevuto una goccia di Lucentis, un frammento dell’Avastin, nei loro occhi mensilmente. Un trial randomizzato di fase III recentemente completato ha rivelato che la progressione della patologia è stata bloccata nel 95% dei pazienti. Sorprendentemente, in attesa dell’approvazione di Lucentis, gli oftalmologi hanno utilizzato piccolissime quantità di Avastin, al costo di solo 50 dollari per trattamento. Oggigiorno, l’Avastin intraoculare è utilizzato in tutto il mondo per il trattamento della degenerazione maculare. Colleghi oftalmologi mi hanno detto che questa è la prima volta che possono somministrare ai pazienti un farmaco in grado di aumentare la vista. 
Quali sono gli indirizzi futuri? Il prossimo gal dell’industria farmaceutica dovrebbe essere la creazione di un ampio spettro di farmaci anti-angiogenetici disponibili per gli oncologi. Mentre inibitori che bloccano solo il VEGF sono un’importante avanzamento ed hanno dato risultati nei tre principali tipi di tumori, e un utilizzo a lungo termine di questi farmaci potrebbe sviluppare tumori che producono grandi quantità di fattori pro-angiogenetici. Solo il 60% dei tumori produce il VEGF come principale fattore angiogenetico, mentre molti tumori producono 4-5 altre proteine. Endostatina e Caplostatina (un analogo sintetico della fumagillina) bloccano tutte queste proteine. Inoltre, in futuro, potrebbe essere auspicabile trarre beneficio dai bassi effetti collaterali degli inibitori dell’angiogenesi. Questi inibitori non danno soppressione midollare, né causano caduta dei capelli, nausea o vomito. L’endostatina non ha mostrato effetti collaterali in pazienti in cura per 3 anni e mezzo. Sono inoltre in corso di sviluppo marcatori biologici che valutino l’angiogenesi in piastrine, sangue e urine per la detenzione della ricorrenza di tumori a livello microscopico, possibilmente anni prima che i tumori siano diagnosticabili coi metodi convenzionali. Quindi potrebbe essere un giorno possibile liberare la terapia tumorale dalla dipendenza della posizione anatomica, e trattare un marcatore in aumento con un inibitore non tossico dell’angiogenesi. Questo approccio potrebbe anche favorire la cura di donne con una mutazione del gene del tumore della mammella (BRCA 1). Nel febbraio 2004, Mark McClellanil, commissario della FDA americana, ha annunciato: «La terapia anti-angiogenetica può essere considerata il quarto trattamento per i tumori». Nel maggio 2004, l’Istituto per la Salute americano ha annunciato la formazione del Trans-Institute Angiogenesis Research Program (Programma di Ricerca Trasversale  sull’Angiogenesi), dal momento che l’angiogenesi è diventata la base per la ricerca in molti Istituti di Ricerca, incudendo Cancer Institute, Eye Institute e Hearth, Lung and Blood Institute. Nel dicembre 2005, Peter Carmeliet ha scritto sulla rivista Nature: “La ricerca nell’angiogenesi cambierà probabilmente la faccia della medicina nei prossimi anni, con più di 500 milioni di persone che potrebbero beneficiare di trattamenti pro o antiangiogenetici”. Riassumendo, durante i lunghi anni di lavoro in laboratorio che ha condotto ai risultati qui illustrati, ho iniziato a ponderare una questione: “Come fa una persona a capire quando continuare ad anadare avanti, o quando è ora di lasciar perdere, e prendere una nuova direzione? Come mai una persona prende una decisione di persistere in una ricerca quando gli esperti sostengono che sia futile?
Si direbbe che via sia un confine sottile tra perseveranza e ostinazione nella ricerca, o nel lavoro creativo di qualsiasi tipo, o in altre attività professionali e lavorative. Come fai a sapere quando hai passato questo confine? Cosa capita se una lunga serie di esperimenti non h successo nel tempo di una sovvenzione di ricerca (3-5 anni), o in tempo-limite prima che il ricercatore sia giudicato per la sua conferma (7-10 anni), o in maniera occasionale nella vita di uno scienziato? Allora, la stessa tenacia che abbiamo ammirato nel ricercatore di successo, è ora biasimata per il fallimento del ricecatore frustrato, che è chiamato ostinato, poco flessibile, testardo, sposato ad una teoria o “testa di cavolo” (l’insulto peggiore!). La chiave per evitare questo destino sembra il dover scegliere un problema che meriti uno sforzo persistente! Edwin Land, il fondatore di Polaroid, ha efficacemente espresso questo concetto, quando ha detto: “La mia filosofia personale è di non intraprendere un progetto a meno che non sia manifestatamente importante e pressoché impossbile”. Questo è precisamente il modo in cui mi è apparsa angiogenesi quando ho iniziato questo lungo viaggio. Quindi, sono profondamente grato ai colleghi dell’Università di Torino per la loro fiducia, e per il fatto che hanno dato il loro imprimatur al valore della mia perseveranza nel cercare di provare un’idea».



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