TRA DOVERE E DIRITTO

LA CORSA AL “POTERE” ACCOMPAGNA L’UMANITÁ
NELL’INUTILE VIAGGIO DEL BENESSERE COMUNE

Sono sempre di più coloro che sono disposti a porgere
lo sgabello quando c’é da spostare un pianoforte


di Ernesto Bodini



Durante una campagna elettorale l’aria è satura di discorsi e viceversa, alimentata da dispute, rincorse, affanni, dibattiti, confronti ed altri atteggiamenti ancora per “onorare” il cosiddetto diritto-dovere (ma è più un diritto che dovere) di votare. Un ruolo che tra incertezze e ballottaggi riconduce all’eterna domanda che in realtà nessuno fa mai pubblicamente: quali sono le reali ragioni per candidarsi ad un ruolo politico di “comando” e quindi di decisioni del futuro di una popolazione? Si potrebbe ottenere una varietà di risposte, più o meno razionali, ma nel contempo un dubbio ha ragione di esistere: il candidarsi politicamente per occupare una poltrona non è quasi mai stato dimostrato essere una “grande” e reale dedizione per il benessere della collettività. E questo, non solo perché molti eventi che si sono succeduti nei secoli ne sono stati una conferma, ma anche perché in realtà l’ambizione del potere, e quindi del comando e della supremazia, hanno sempre accompagnato le menti di molti esseri umani di qualunque epoca storico-culturale. Personalmente non ho mai creduto nella spontanea “generosità” di chi ambisce a tale ruolo sociale, anche se è evidente che un popolo (fondato sulla democrazia) non può restare senza un coordinamento (non comando) e una gestione del suo vivere in comunità; ed è lecito, a parer mio, diffidare delle improvvise dedizioni (generose?) che di certo non hanno odore di filantropia, atteggiamento quest’ultimo, che sta ad indicare il reale voler bene ai propri simili. Sinora potrei essere letto come anticonformista, od ancor peggio come… anarchico, ma in realtà non è così perché se si vuole essere veramente onesti, bisogna ammettere che nessuno al mondo ha tutte le caratteristiche complete ed inopinabili per dirigere e comandare con razionalità e competenza i propri simili; ammettere il contrario sarebbe non solo utopia ma, per certi versi, anche un’eresia. Ciò di cui si ha veramente bisogno è la consapevolezza di conoscere ed ammettere i propri limiti, giacché siamo tutti mortali e non certo privi di difetti: la perfezione fa parte degli arroganti e presuntuosi, come pure l’eccessiva ambizione che sono a discapito della libertà, anche interiore, dell’essere umano. 


Ma tant’é. Da che mondo è mondo dal punto di vista morale l’umanità ha sempre fatto due passi avanti e tre indietro e, su argomenti di politica, alcuni saggi ci hanno lasciato in eredità il loro credo semplice ma convinto ed anche razionale, tanto che vale la pena citarne alcuni. Il premio nobel francese per la Letteratura, Albert Camus (1913-1960) sosteneva:  «La politica e il fato dell’umanità vengono forgiati da uomini privi di ideali e di grandezza. Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica»; lo statista tedesco Otto L. von Bismark (1815-1898) affermava: «Non si mente mai tanto quanto prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia»; mentre un anonimo riporta: «Quando un uomo è candidato al Parlamento, per lui tu sei un amico; quando è stato eletto sei un suo elettore; e quando è nel pieno delle sue funzioni sei solo un contribuente». Esempi di saggezza che fanno parte del passato? Non credo, perché possono cambiare gli eventi, ma l’indole umana resta immutata poiché l’esperienza ha sempre dimostrato che mai procedono le cose che dipendono da molti, e che l’accesso al potere dev’essere limitato agli uomini che non ne nutrono la passione. E mi verrebbe da concludere affermando che, se tutti (o quasi) i politici parlassero soltanto quando sanno bene di quel che parlano, un silenzio di tomba scenderebbe sulla terra.



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