ORATORIA

L’ARTE DEL RELATORE E DEL MODERATORE IN PUBBLICO

Ruoli apparentemente di facilità scontata, ma che in realtà
implicano competenza e soprattutto umiltà e intelligenza

di Ernesto Bodini



Va da sé che seguire relazioni ad un convegno o ad una “semplice” conferenza da parte di uno o più relatori implica non solo interesse per la materia (o le materie) in programma, ma richiede un minimo di conoscenza e partecipazione per meglio recepirne i contenuti. Ma organizzare e condurre un dibattito comporta determinati “atti preparatori” come l’individuazione dei partecipanti e del moderatore, predisporre lo scenario (location) che deve essere confortevole e di buona acustica; mentre la pianificazione dello stesso comporta la conoscenza degli obiettivi, la durata del dibattito e i relativi tempi di ciascun intervento. Altrettanto importante, se non determinante, é il ruolo del moderatore che deve prodigarsi nel far accomodare il pubblico in modo omogeneo e non sparso per la sala, presentare velocemente ciascun partecipante con il proprio nome e cognome, eventuale qualifica professionale e il tema del suo intervento. Al “nocchiero” della comunicazione spetta anche il compito di coinvolgere il pubblico sin dall’inizio, e in sede di dibattito invitandolo a “qualificarsi”, spronandolo ad intervenire in modo sintetico, non dispersivo e senza “personalizzare” la propria realtà (soprattutto se si tratta di temi di carattere medico e sanitario o giuridico);  invitare i relatori ad attenersi ai tempi loro assegnati nel rispetto del programma stabilito: spesso si iniziano i lavori con ritardo, ed ancor peggio, quasi sempre si prolungano i tempi del cosiddetto coffee break, ossia la pausa tra una sessione e l’altra.
Il ruolo del relatore non solo richiede ovviamente la conoscenza dell’argomento assegnatogli ed evidenziato in programma, ma anche avere egli stesso una buona dizione e capacità di sintesi, oltre ad un adeguato atteggiamento che sappia far fronte in modo intelligente (con un pizzico di diplomazia) alle obiezioni qualora venisse interrotto, “mal apostrofato”, se non addirittura schernito od offeso da parte del pubblico. Ecco alcuni suggerimenti che mi sembrano utili da mettere in pratica. Se il relatore viene interrotto è bene che non si scomponga mantenendo il proprio autocontrollo, perché reagire con “aggressività” o divagando non si fa altro che “stuzzicare” l’interlocutore; se l’interruzione è isolata è bene ignorarla, mentre se i commenti sono molteplici spetta al moderatore prendere in mano la situazione; se l’obiezione di uno più degli astanti è “faziosa” si può prendere tempo affermando di ritornare più tardi sull’argomento; ed è indice di trasparenza e di buona comunicazione  invitare sempre l’interlocutore di platea (meglio ancora da parte del moderatore) di alzarsi in piedi e di dire prima di tutto il suo nome e la sua posizione, in quanto tale invito può avere una sorta di effetto “tranquillante”; se invece l’osservazione è pertinente e razionale è bene ringraziare la persona che l’ha fatta e completare insieme il concetto esposto; se l’obiezione appare retorica (e logorroica) si può rispondere affermando di conoscere gli aspetti della stessa, ed eventualmente la possibilità di tornare sugli stessi in un secondo tempo, evitando il contatto visivo per non dare adito ad ulteriori e inopportuni approfondimenti. Per quanto riguarda il moderatore, é bene avviarsi alla conclusione del dibattito affermando che i tempi sono stati rispettati e che l’incontro ha suscitato l’interesse e la partecipazione di tutti, ringraziando per la partecipazione senza inutili enfasi. Una ultima osservazione. É  noto, ormai da tempo, che nella cultura comunicativa italiana nel maggior parte dei convegni e delle conferenze non vengono quasi mai rispettati i tempi del programma prestabilito e ciò, a mio parere e in base alla mia esperienza ormai trentennale, la maggior parte dei relatori cattedratici e delle persone “comuni” invitate ad esporre in pubblico, non hanno molta dimestichezza con la sintesi e spesso tendono a divagare ostentando il proprio sapere (con il rischio di peccare di saccenza), nella convinzione di essere più apprezzati dal pubblico, ed ancor peggio se si esprimono con termini particolarmente forbiti mentre è motivo di intelligenza esprimersi in modo semplice e comprensibile a tutti. E a questo riguardo Galileo Galilei (1564-1642) osservava: «Parlare oscuro lo san fare tutti, ma chiaro pochissimi».


Commenti