IN AMBULATORIO di OTORINOLARINGOIATRIA

VISITE E MEDICAZIONI IN ORL ALLE MOLINETTE DI TORINO

Meno sofferenza, minor giorni di degenza in un reparto dove i tumori
sono le patologie di maggior impegno chirurgico e infermieristico

di Ernesto Bodini



La “routine” di una attività medico-ospdaliera a mio avviso non è mai totalmente ripetitiva e men che meno banale, nemmeno per gli stessi addetti ai lavori, figurarsi per i “profani” come me  che, pur praticando tali ambiti per ragioni divulgative, vado acquisendo di volta in volta nozioni e concetti nelle più svariate discipline. Non ultima, quale “ospite-osservatore” nella mattinata di martedì 5 aprile scorso in Medicheria del reparto di Otorinolaringoiatria (diretto dal prof. Roberto Albera, nella foto), dell’A.O.U. Molinette Città della Salute e della Scienza di Torino. In programma una serie di medicazioni a pazienti (in ricovero ed esterni) recentemente operati tutti per neoplasie importanti. Responsabile del servizio infermieristico è il coordinatore Antonino Lombardo, coadiuvato dall’infermiera Loredana Reina (entrambi diplomati ICWS: Italian Certified Wound Specialist presso Italian Accademy Wound Care, Scuola Superiore Italiana per le lesioni Cutanee) e da una giovane studentessa al II anno del Corso di Laurea in Infermieristica, che alle 9.05 fanno entrare il primo paziente, un uomo di 80 anni in trattamento per un tragitto fistoloso faringo-cutaneo in esiti di laringectomia totale, per rimuovere il sondino naso-gastrico con un procedimento medicale che sembra essere un “rituale”, ma che tale non è in quanto ogni paziente si atteggia e risponde spesso in modo soggettivo. «Si tratta di un procedimento metodologico – spiega Lombardo – volto alla totale guarigione della ferita nel più breve tempo possibile. Tale metodica, solitamente attuata, è definita “Wound Bed Preparation” di Vicent Falanga, un approccio completo alla gestione del paziente con lesioni cutanee che consiste nella preparazione accurata del letto della ferita chirurgica complicata e, come in questo caso, si vanno a stimolare i processi di riparazione dei tessuti, e trarre nello stesso tempo il massimo beneficio da tale tecnica. Ma si tratta anche di motivare il paziente e il suo caregiver (in molti casi è la moglie) che oltre a mantenere l’igiene del suo assistito e dell’ambiente dove vive, lo gestisce anche dal punto di vista nutrizionale». Questo paziente, operato circa un anno fa, è stato sottoposto in seguito a più interventi di ricostruzione della lesione chirurgica, e con la medicazione odierna gli infermieri osservano che la lesione si è notevolmente ridimensionata; un esito “facilitato” dal coinvolgimento di altri operatori del gruppo multidisciplinare. Verso le 10.00 viene accolto un paziente di 45 anni, da poco operato di laringectomia totale per una neoplasia dell’organo, cui è seguita una recidiva, ossia a distanza di poco tempo il tumore si è riformato nella stessa sede, per cui è stato sottoposto a cicli di chemio e radioterapia. «Come effetto secondario – spiega il responsabile dell’ambulatorio di medicheria – si è manifestata una lesione cutanea a livello mediano del tragitto fistoloso, che si è poi chiuso con appropriate medicazioni; mentre al momento  è solo presente una modesta lesione cutanea che si va riducendo  ed evolvendo verso la guarigione. Ma va precisato che ogni medicazione va rinnovata soprattutto quando la ferita presenta essudati in eccesso (secrezioni di pus, siero, sangue, etc.) e, nel caso di stati infettivi, può essere richiesta la consulenza dell'infettivologo. Questi processi medicamentosi sono la base di partenza per la cura della ferita chirurgica, ma come fanno notare gli operatori sanitari, non è meno considerevole il rapporto empatico che si viene ad instaurare tra il paziente e i curanti (medici, ma più sovente gli infermieri), oltre naturalmente ai famigliari la cui collaborazione è spesso determinante in quanto prima delle dimissioni del congiunto vengono “istruiti” sul come gestirne la cura e l’assistenza.


Alle 10.30 è la volta di un anziano di 82 anni, iperteso, che presenta evidenti lesioni cutanee al braccio e alla mano, presenza apparentemente incompatibile con questo reparto ma che in realtà le sue lesioni sono la conseguenza di una pregressa patologia del distretto oro-faringeo. La medicazione dura pochi minuti, per lasciare entrare in ambulatorio, un altro paziente per una medicazione di più “modesta” entità. Verso le 11,45  viene accolto un paziente di circa 70 anni, con una evidente lesione latero-cervicale in quanto sottoposto nei giorni scorsi alla asportazione parziale della laringe, e ora sottoposto alla sostituzione del sondino naso-gastrico e della cannula tracheale che gli permette di respirare, il cui posizionamento nel suo caso è solo temporaneo in quanto in seguito la fessura (stomia) verrà chiusa e il paziente potrà respirare normalmente come prima dell’intervento. Sono le 12.10 quando viene fatto entrare l’ultimo paziente della mattinata. È un uomo di 50 anni, operato 15 giorni prima per un tumore esteso del cavo orale che ha richiesto la ricostruzione della parte asportata con un lembo di  gran pettorale. In questi casi la scelta tra le varie metodiche è condizionata dall’entità, dalla forma e dalla funzione del tratto da ricostruire considerando la necessità di ricostruzione ossea, dei tessuti molli (lingua, palato) o le finalità riempitive della ricostruzione. In questo caso si è manifestata una necrosi parziale del lembo che viene rimossa; inoltre il professor Giancarlo Pecorari procederà  ad effettuare la sutura di una piccola area della pelvi orale. «C’è stata una sofferenza del lembo donatore – fa notare Lombardo – e una necrosi parziale del lembo ricevente; conseguenze causate dalle sedute di chemio e radioterapia che, come in questi casi, sono effetti collaterali “pesanti” e in parte controllabili…». La medicazione, che è proceduta con estrema delicatezza da parte del medico e degli infermieri, ha richiesto maggior tempo sia per la particolare situazione clinica che per la, sia pur “controllata”, sofferenza del paziente il cui atteggiamento collaborativo non ha avuto alcun cenno di stoicismo, ma una ottima collaborazione con i curanti che a turno si lasciavano stringere la mano; una sorta di collaborazione che il paziente ha “invocato” per meglio contenere il dolore, senza sottoporsi ad anestesia locale. Sono ormai le 13,15 quando l’ultimo paziente torna nella sua stanza con la prospettiva di una sia pur lenta guarigione, ma confortato anche dal fatto che l’attenzione, la professionalità e l’apporto empatico degli operatori hanno lasciato il necessario spazio alla considerazione del malato, ma ancora prima alla Persona in quanto tale.

(Nella foto in basso di E. Bodini, una sequenza delle medicazioni)


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