ARTE - SPETTACOLO - PSICOLOGIA

INTERVISTA ALL’ARTISTA MIMICO-GESTUALE PATRIZIA BESANTINI

Dotata di volontà e determinazione per inseguire quell’orizzonte che si chiama l’arte dell’esprimere se stessa, dialogando apertamente con il proprio corpo. Il tutto in una dimensione di progettualità in cui l’essere “Donna” è consapevolezza di vita e di mestiere

di Ernesto Bodini


Signora Besantini, qual è stato il suo percorso accademico e professionale?

“Ho iniziato frequentando a Milano le scuole Teatro Del Sole e Quelli Di Grock e successivamente ho seguito maestri tra cui Marcel Marceau, Hal Yamanouchi, vere e proprie icone nell’ambito delle Arti Mimiche Gestuali. Oltre ad aver acquisito conoscenze e approfondimenti da questi grandi maestri, il mio percorso è proseguito accogliendo il mio Maestro Interiore e dando spazio, in un certo senso, ad uno spirito da autodidatta. Grazie alla grande passione e senso di ricerca sono giunta ad “esplorare” la mia persona, inventando la mia personale pedagogia e proponendomi per realizzarmi come artista secondo il mio stile e la mia personalità”

Ha fatto ulteriori progressi?

“Ho lavorato tanto e con tenacia, per molti anni sono stata un'artista di strada, ed è stata un'esperienza arricchente sotto moltissimi punti di vista.  Oggi sono diventata una mime performen, regista e docente di mimo e danza mimica, oltre che Direttrice del Centro Internazionale Arti mimiche e Gestuali”

Quindi, l’Arte gestuale e mimica come professione. Una scelta o una vocazione?

“Ambedue. Una vocazione come una forte “spinta” evolutiva per la mia vita, come “percorso terapeutico” per la mia personalità; e come scelta professionale perché questo mestiere la implica in forma deliberata e con grande forza interiore”

Non solo attrice e danzatrice, ma anche regista e coreografa delle proprie performance. Un mix di competenze e ruoli che le permettono di esprimere al meglio l’Arte mimica e gestuale?

“É proprio così. Ma ciò è avvenuto per gradi mettendo in gioco la mia competenza registica al servizio delle mie performance, scoprendo che l’occhio del regista rispetto alla dimensione attoriale, quindi parte attiva sul palco, mi permette di vedere le cose con maggiore distanza…, di fare valutazioni non in  funzione di me stessa ma ponendo invece in primo piano le esigenze dello spettacolo e  mettendo in secondo piano il mio Ego”

Lei potrebbe essere definita una professionista eclettica, tanto da rappresentare e ben esprimere il tema dell’immobilità e dell’improvvisazione. É così?

“Si. L’immobilità è stata una forma d'arte che mi ha accompagnata nella ricerca di una dimensione artistica di autodisciplina e di controllo del corpo. L’improvvisazione è dovuta al mio carattere artistico e mi permette di cogliere nel momento l'energia che arriva dal pubblico, consapevole dei rischi e dei vantaggi di questa scelta”

Donna e artista a tutto tondo. Come concilia questi due ruoli?

“É un altro grande lavoro che è stato fatto “da me e per me”, avendo dovuto integrare  la dimensione di una realtà femminile (la mia maternità, ad esempio), incontrando ad un certo punto una “disgregazione” della mia personalità, essendomi totalmente identificata per molto tempo prevalentemente nel mio ruolo di artista.  L'integrazione tra diversi  ruoli è un'avventura davvero arricchente per ogni donna”

L’essere donna quanto ha determinanto e determina le sue scelte di vita sociale e professionale?

“Ha determinato e influito su tutto, ma in maniera molto naturale ha comportato la ricerca di risorse e modalità utili per la mia arte, ha attivato in me lo spirito della tenacia per non rinunciare e non gettare la spugna…”



Da tempo sta affrontando il tema della donna “s-comoda” in riferimento alla sua condizione fisica e fisiologica, in particolare perché soggetta al suo periodo ciclico mensile. Perché questa attenzione?

“É successo che in prossimità del mio ciclo mestruale mettevo inspiegabilmente in dubbio le mie doti artistiche e la mia sicurezza vacillava. Così ho iniziato a pormi delle domande e a notare che tutto si riproponeva con una ricorrenza ciclica, che coincideva con l'andamento di una  fisiologia ormonale in stretta relazione con il ciclo mestruale. Questo è successo moltissimi anni fa e da quel momento ha preso il via una fervida ricerca che esprime i suoi risultati attraverso una  Conferenza-Spettacolo incentrata proprio su questo tema”

Per questa condizione fisiologica la donna è stata per molto tempo considerata “impura”. Un tabù oggi superato anche grazie alle diverse rappresentazioni scenico-teatrali nelle varie epoche?

“A mio parere questo tabù è ancora da superare, tant’é che di questo argomento se ne parla ancora troppo poco e solamente in determinati ambiti, come quello medico e scientifico, anche nelle culture più moderne. Le rappresentazioni scenico-teatrali sono ben lontane dall'affrontare di petto questo argomento. Pensate che in televisione il termine ciclo mestruale è bandito persino dai copioni dei comici. Il termine mestruazioni non è nominabile. Se ne parla di più tra donne perché c’é una sorta di  complicità che ci consente di condividere tale condizione”

Ma esiste ancora la donna che vive questo ciclico periodo come una sorta di conflitto? E il maschilismo incide ancora notevolmente?

“Io credo che il conflitto sia in parte insito nel “DNA” delle donne come eredità culturale, ossia quello che il nostro corpo ci rimanda sotto forma di “sofferenza o disagio” potrebbe essere il risultato di secoli di condizionamenti culturali talmente radicati nella nostra mente da condizionare anche la risposta del corpo e della psiche della donna. Per quanto riguarda la dimensione del maschile rispetto al tema penso che sia inevitabilmente imbevuta e nutrita ed è difficile da sradicare”

Il prossimo 19 maggio al Teatro Matteotti di Moncalieri (To) si terrà una conferenza-spettacolo dal titolo “Donne S-comode”, un Progetto prodotto dal Centro Arti Mimiche e Gestuali e promosso dall'Associazione DN-Art e che attualmente ha come partner l'Istituzione Musica e Teatro di Moncalieri, l’associazione Onlus Amore & Psiche e il Centro Armonia nell'ambito del Progetto Salute di Torino.  Con quali finalità?

“Anzitutto partendo dal titolo, DONNE(s)COMODE, in quanto tendenzialmente l’obiettivo è quello di togliere  dallo stesso la “S”, affinché le donne arrivino a definirsi comode. Comode in quella che è la loro naturale mutevolezza e capacità di trasformazione delle loro energie interiori ed esteriori. Questa comodità dell'essere mutevole e ciclica riguarda le donne ma è capace di influenzare gli ambiti nei quali la donna si confronta: affettivi, relazionali, professionali e sociali, proprio perché in reciproca e naturale relazione, sempre e in ogni dove”

Qual é il rapporto con il suo corpo al di fuori delle rappresentazioni teatrali? Ossia, non è mai entrata in conflitto con lo stesso?

“Sempre! Ed è per tale ragione che faccio questo mestiere. Si dice che “lo sciamano cura attraverso la propria ferita”, ed proprio il mio caso nel senso che il corpo è per me un campo di indagine personale costante… mi crea incertezze e desiderio di superarle essendo il corpo il mio strumento principale di espressione anche artistica, ogni volta è una scoperta e una vera esplorazione”

QUATTRO DOMANDE A ANTONELLA PEROSINO
                                                                                                 
Sociologa e counselor, ricercatrice e consulente presso Enti pubblici
e in ambito accademico. É socia fondatrice dell’Associazione DNART,
arte e scienza al servizio della società: informando e formando


Dr.ssa Perosino, Arte e Psicologia, in questo contesto, ossia per un “teatro libero”, è un binomio di sostegno per meglio imporsi, al di là della professione artistica, o più semplicemente una duplice espressione letteraria e culturale?

“Il progetto della conferenza-spettacolo è applicato ad una dimensione sociale e culturale in quanto la nostra Associazione è nata anche con questo intento, ossia avere strumenti mutuati dall’Arte e dall’espressività sino a consolidare una vera e propria dimensione progettuale con finalità di impatto sociale”

Ma vi sono anche altre ragioni?

“Anche la ricerca finalizzata a determinate tipologie di utenza comprendendo il punto di vista psicologico, ma in questo caso servono altri strumenti, e l’associazione lavora anche su questa dimensione attraverso gli strumenti del counseling in particolare, e in collaborazione con gli psicologi e psicoterapeuti per quanto di loro competenza”

Questa iniziativa artistico-teatrale quale ricaduta potrà avere nella società?

“Si può partire dall’esigenza di parlare di un tema di conciliazione fra tempi di vita  e tempi di lavoro, e questo argomento (“ciclo riproduttivo”) fa parte dei tempi di vita e parlarne da questa prospettiva ci consente di interrogarci, ad esempio, sui ritmi della nostra esistenza all’interno della nostra società. Oggi, del resto, la questione di genere, come ci ricordano le Organizzazioni sovranazionali, dalle Dichiarazioni sui diritti delle Nazioni Unite alle Istituzioni europee, non si pone più tanto, o solo, nei consueti termini di tutela delle diversità, quanto in termini di gestione e valorizzazione delle stesse; e ciò, per incidere positivamente non solo sullo stato dei diritti sostanziali, bensì anche sul piano della crescita economica, sociale e culturale del Paese. Altro elemento riguarda l’aspetto formativo cui vorremmo dare seguito a fronte della conferenza-spettacolo. Il tema infatti è ricco di spunti e a carattere fortemente interdisciplinare. Perciò vorremmo veicolare le stesse informazioni presso le scuole superiori e l’università attraverso “lezioni-spettacolo” seguite da un ciclo di incontri in forma laboratoriale che inviti i ragazzi a confrontarsi sul tema e a costruire il loro personale punto di vista. Quindi, informare per informare in modo condiviso e partecipato”

Dal punto di vista sociologico, al di là di ogni cultura, la donna di oggi com’é vista dall’uomo che quasi mai si avvede della cosiddetta sfera biologica femminile?

“Contrariamente a ciò che dicevo prima circa l’importanza della tutela e valorizzazione delle diversità, oggi, mi pare, si assista più che altro a un “appiattimento” delle qualità e delle caratteristiche in cui possiamo articolare la ricchezza del “maschile” e del “femminile” su un unicum: un soggetto indifferenziato sempre attivo, “connesso”, performante, operativo, tutto proiettato all’esterno di sé, costantemente informato, ma poco attrezzato alla conoscenza del proprio mondo interiore, così come di quello fisico investito da modificazioni biologiche, chimiche, ormonali appunto. C’é tutto un mondo di significati in noi che rischiamo di non vedere, dimenticare o baipassare, rischiando così di perdere l’occasione di dotarci, prima di tutto in noi stessi, di una seppur minima cassetta degli attrezzi utile a comrendere con maggiore autonomia e senso critico chi siamo in relazione all’ambiente di vita che ci circonda e agli input che ci invia. Anche per questo ci pare importante e stimolante lavorare con i ragazzi con un tema che li riguiarda tutti, in una fase delicata della loro vita, in un’ottica di sostegno all’autonomia, consapevolezza e crescita responsabile”


La vignetta è di Annalisa Arione, la foto in basso è di E. Bodini

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