Per ricordare il
dott. Giancarlo Gariglio un incontro
tra medici oncologi e
la popolazione nichelinese
LA CULTURA DELLA SANA ALIMENTAZIONE E DEL
SUPPORTO
PSICONCOLOGICO A SOSTEGNO DEL MALATO DI
TUMORE
Ernesto Bodini
Si dice che quando muore
un amico è come assistere alla caduta di un pino gigante. Un “credo” che
rispecchia lo spirito della Associazione di volontariato La Speranza – Gli
amici di Giancarlo, di Nichelino (To), voluta dalla moglie dott.ssa Carmen
Bonino (nella foto) e dai figli Beatrice e Federico. Costituita poco più di un
anno fa, l’associazione intende ricordare il dott. Giancarlo Gariglio
(scomparso nell’agosto 2014 per una rara neoplasia), apprezzato medico
odontoiatra, con iniziative volte all’informazione e alla cultura delle
neoplasie, coinvolgendo la popolazione con incontri-dibattito, affinché si
sappia e si abbia coscienza che chi è colpito da un tumore non perda mai la
speranza perché, oggi, in molti casi si può guarire o condurre una vita più dignitosa
e meno sofferente… L’incontro di venerdì 18 marzo si è tenuto nella rinnovata
sede della Croce Rossa nichelinese, sul tema “Orientamento dietetico-alimentare e supporto psiconcologico al malato
di tumore”, per il quale sono intervenuti il dott. Oscar Bertetto,
direttore della Rete Oncologica piemontese, e vice presidente della F.A.R.O.; e
il dott. Alessandro Comandone, direttore della S.C. di Oncologia Clinica
dell’ospedale Gradenigo del Gruppo Humanitas (Torino), e presidente del Gruppo
Italiano Tumori Rari – Gruppo Piemontese Sarcomi. Le relazioni sono state
precedute da un breve intervento della dott.ssa Bonino che, oltre a ricordare
il marito, ha richiamato l’attenzione sui valori del volontariato e
dell’associazionismo come azioni di solidarietà, soprattutto nell’ambito della
sofferenza e del disagio; a non perdere mai la speranza facendosi sostenere
dalle relazioni sociali e, nel bisogno, rapportarsi con il proprio medico
curante in quanto primo riferimento (oltre ai propri famigliari) per “confidare”
sintomi, timori, incertezze… proprio perché il più delle volte l’unione fa la
forza ma anche la cura.
Numerosa la platea alla
quale si è rivolto il dott. Bertetto esponendo con fare semplice e al tempo
stesso magistrale i vari aspetti della alimentazione in genere, e in
particolare per i malati di tumore. Il primo imperativo è cibarsi più di frutta
e verdure, ma meno di carni rosse soprattutto perché nei grassi di origine
animale ci sono molti radicali liberi, mentre frutta e verdura contengono molte
sostanze antiossidanti. «In alcune
regioni del Centro Italia – ha spiegato il relatore – i casi di tumori gastrici sono superiori rispetto ad altre regioni, e
questo perchè in quelle zone vengono cucinate in abbondanza carni alla brace e
maggiore è il consumo di salumi, ed è nella combustione di questi cibi che si
sprigionano sostanze potenzialmente cancerogene. Tuttavia, va precisato che il
tumore gastrico in tutto il mondo
occidentale è in diminuzione, sia perché gli alimenti vengono conservati
refrigerandoli alienando l’helycobatter pylori (che annidandosi nello stomaco
può essere causa di mutazioni e favorire l’insorgenza del tumore gastrico), sia
perché maggiore e più corretta è l’informazione». Se ci si attiene, dunque,
ad una dieta ricca di antiossidanti si protegge maggiormente il nostro
patrimonio cellulare, ma se al contrario è ricca di ossidanti lo stesso viene
danneggiato…, e il rischio di contrarre patologie tumorali aumenta se i cibi
sono trattati con sostanze chimiche di cui il mercato produttivo ne è piuttosto
ricco. «Il mio consiglio – ha suggerito il clinico – è quello di attenersi il più possibile alla dieta mediterranea, già di
per sé molto protettiva, ma contestualmente va ricordato che il rischio di
avere un tumore aumenta con l’obesità, soprattutto quando il grasso si deposita
a livello dell’addome; pertanto è opportuno evitare l’incremento di insulina
consumando meno zuccheri a rapido assorbimento, peraltro molto presenti in
quasi tutti i frutti (banane, uva, cachi, fichi, pere, etc.). Inoltre è utile,
se non necessario, fare più movimento: siamo diventati troppo sedentari, e
camminare per alcuni tratti tutti i giorni non può che favorire la riduzione di
calorie e nel tempo un calo del peso corporeo». Il relatore ha affrontato
anche il problema dei tumori del seno e della prostata, due aspetti di grande
interesse generale, cui sono seguite molte domande da parte del pubblico,
ricordando che nel mondo occidentale il tumore della mammella è in aumento nella
misura di 1 donna ogni 12, e la cura ha effetto su 8 donne ogni 10; risultati
favoriti non solo per una adeguata alimentazione ma anche perché oggi, rispetto
ad anni fa, la fase mestruale è più precoce anticipando di circa quattro anni
l’attività ormonale che stimola la mammella, oltre al fatto che la prima
gravidanza che interromperebbe la produzione eccessiva di ormoni avviene
attorno ai 30 anni di età, come pure favorente è l’allattamento materno in
quanto risulta essere protettivo. «Per
gli uomini – ha concluso il dott. Bertetto – è il caso di non preoccuparsi eccessivamente in relazione al problema
prostata, in quanto casi di tumore di questa ghiandola se ne riscontrano
maggiormente perché si fanno più biopsie rispetto ad un tempo: soltanto un tumore
prostatico diagnosticato ogni 18-20 evolve in forma aggressiva e, se si facesse
un esame prostatico a tutti gli uomini con più di 80 anni di età, il tumore di
questa ghiandola sarebbe presente nell’85% dei casi; ciò significa che la
maggior parte degli uomini morirà con un tumore prostatico ma non a causa dello
stesso».
Altrettanto
“coinvolgente” e sempre di grande attualità il tema della Psicologia affrontato
dal dott. Comandone, ricordando che tale branca umanistico-scientifica si fonde
in modo ricorrente con l’Oncologia. Un tempo si moriva spesso per le diverse
malattie infettive, ed ancora oggi si muore (un po’ meno) per problemi cardiaci
e/o cardiovascolari. Nel caso delle patologie tumorali in quasi tutti i
pazienti che ne sono colpiti si innesca l’angoscia, una reazione interiore che
rigetta quello che può essere definito lo “sconosciuto”, ossia il tumore che
improvvisamente ha preso possesso dell’organismo. L’angoscia del possibile
avvicinarsi della morte, che il più delle volte si manifesta sin dalla prima
diagnosi per poi subire diverse fasi di comportamento. E a questo proposito il
clinico torinese ha citato la psichiatra svizzera Elisabeth Kubler-Ross
(1926-2004), fondatrice della psicotanatologia, ed uno dei più noti esponenti
di “Death Studies”. «Questa autrice –
ha ricordato il relatore – nei suoi testi
evidenzia un percorso molto preciso, spiegando che gli esseri umani di fronte
ad una diagnosi di tumore, in particolare, hanno delle reazioni che si
riproducono più o meno allo stesso modo: inizialmente la prima reazione è
quella dello shock e qundi della domanda: “Cosa mi sta capitando?”, in seguito subentra la rabbia, che può
sfociare verso l’esterno, oppure soffocata nel proprio interno; il terzo
momento è quello della disperazione, dell’autoabbandono, e qui è importante il
ruolo di chi sta loro vicino (famiglia, amici, colleghi, etc.); infine subentra
la fase del “riequilibrio”, ossia i pazienti si riprendono e diventano
ottimisti e più collaborativi nel farsi somministrare le terapie». Ma
perché il tumore fa più paura di una malattia cardiaca, ad esempio, o di un
infarto? Nel nostro immaginario personale e sociale il cancro crea angoscia e
ansia, a cominciare dal sentire pronunciare la parola stessa con riferimento
all’etimologia: dal latino cancer,
(granchio, che attanaglia), e la conseguente paura che la malattia possa avere
il sopravvento, anche in caso di recidiva, toglie tranquilllità pur sapendo dei
notevoli progressi della chirurgia nel trattamento di alcuni tumori… «Il
percorso del paziente con neoplasia – ha aggiunto il clinico – è spesso molto lungo: la vittoria sul cancro
è sempre più in salita ed impegna pesantemente la persona e non di meno la sua
famiglia. Dal punto di vista psicologico la terapia chirurgica solitamente è
ben accettata dal paziente, in quanto intravede una possibile guarigione, o
comunque la rimozione del suo male, pur non comprendendo (o non sapendo) del
possibile instaurarsi delle metastasi cui segue un periodo di terapie mediche
(chemioterapia, radioterapia, etc.) che non sempre accetta perché ancora si
pone il perché della sofferenza…».
Ed è in questo processo
terapeutico, lungo ed estenuante, che subentra l’aspetto relazionale quasi a
giustificare di non star bene per via degli effetti collaterali, e come
conseguenza viene meno la progettualità, ovvero la sicurezza del domani… E per
quanto il paziente si attenga ai consigli e alle terapie riaffiora nella sua
mente il pensiero che il male si ripresenti o peggiori; situazione, questa, che
necessita della vicinanza dei suoi cari preposti a sostenerlo ed assisterlo, e
ciò comporta l’esigenza di un forte rapporto umano da parte del malato che al
tempo stesso diventa “egoista” e bisognoso della massima affettività. Ma
l’esigenza va oltre in quanto è data dal desiderio di essere seguito sempre
dallo stesso medico, condizione questa che per ovvie ragioni non è sempre
possibile. «Ma c’è poi il momento della
ricaduta – ha concluso Comandone –, ossia
un momento in cui tutte le certezze svaniscono, come la stessa fiducia nei
confronti del medico…, un profondo scoramento con la tendenza a lasciarsi
andare tanto da lasciare il posto alla depressione e il rapporto
medico-paziente diventa più difficile. Per non parlare poi del fatto che anche
il medico e l’infermiere possono incorrere in uno stato di provazione, che si
identifica nella sindrome del burn-out, ossia a quel processo di stress e di
“difesa” che si caratterizza improvvisamente, rendendosi talvolta meno
disponibili…, un vero e proprio tracollo professionale e della persona. Ed
anche in questi casi è utile la psiconcologia». Va quindi ribadito che il
rapporto con la famiglia è a volte drammatico, se non conflittuale, che
necessita un grande sostegno, ancorché in presenza di minori, tant’é che in
Piemonte è nato il Progetto Protezione Famiglia a supporto psicologico e
sociale per le famiglie fragili. Iniziato nel 2002, grazie ad un contributo
della Compagnia San Paolo, che ha consentito la nascita e lo sviluppo per i
primi quattro anni, è poi proseguito con l’impegno organizzativo della
Fondazione F.A.R.O. onlus con un significativo finanziamento della Rete Oncologica,
raggiungendo i previsti obiettivi con risultati molto apprezzati dai fruitori.
Nell’ultimo anno si è assunto, in modo sperimentale, l’attuazione del progetto
direttamente da parte del Dipartimento funzionale interaziendale interregionale
rete oncologica Piemonte e Valle d’Aosta. Il progetto è attualmente rivolto a
pazienti oncologici in cura presso l’A.O.U. Città della Salute e Scienza di
Torino, IRCCS di Candiolo (To), Asl/To2, Asl/To4, Presidi Sanitari
Gradenigo/Humanitas, Fondazione F.A.R.O. e Associazione SAMCO.
La foto al centro è di Ernesto Bodini (da sinistra la
dott.ssa Bonino, i dott. Comandone e Bertetto)
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