VIRGINIA APGAR
Ancora valido in tutto il mondo il "Metodo" che porta il suo nome
Ricordare una figura dalla notevole intraprendenza e sensibilità, non solo è un dovere ma anche contributo alla conoscenza dei progressi della Medicina per le future generazioni
di Ernesto Bodini
Sino alla metà degli ultimi anni ’30 negli Stati Uniti
mettere al mondo un figlio era uno degli eventi più rischiosi per la vita di
una donna: una gravidanza su 150 si concludeva con la morte della madre. Solo
verso la fine degli anni ’50 il rischio si era sensibilmente ridotto grazie a
normative più “rigide” e alla scoperta degli antibiotici. Risultati
indubbiamente confortanti ma non altrettanto per i neonati, giacché 1 su 30
moriva dopo il parto. Fu un medico di New York, la
dottoressa Virginia Apgar, a trasformare in modo radicale il parto e le cure
neonatali, e una delle prime donne medico della moderna storia della Medicina;
uno scienziato al “femminile” dalla personalità vivace e anticonformista che ha
dato lustro alla Ostetricia e alla Ginecologia all’inizio del Novecento. Nata
nel giugno 1909 a Westfield nel New Jersey, era imponente e dotata di un innato
entusiasmo, meticolosa e perfezionista. Frequenta le Scuole Superiori al Mt
Holyoke College per poi iscriversi, nel 1929, alla Columbia University College
of Physicians and Surgeons conseguendo la laurea nel 1933. Nonostante le
difficoltà economiche continua l’internato in Chirurgia (fu una delle prime
donne ammesse al tirocinio chirurgico), tra ostacoli e avversioni proprio
perché donna, scoraggiata dal suo stesso direttore di Dipartimento. Fermamente convinta di potercela fare inizia il training in
Anestesiologia nella stessa Università studiando con i pionieri statunitensi di
questa Disciplina, tra cui il dottor Rovenstine al Bellevue Hospital di New
York. In questo campo vi si dedica con particolare passione tanto che, nel
1938, torna alla Columbia University come direttore di Anestesiologia (prima
donna a diventare professore in questa sede) esercitando soprattutto
nell’ambito dell’Anestesiologia ostetrica e della rianimazione neonatale, dove
può sperimentare nuovi anestetici in gravidanza. In questo contesto è stata
anche la prima donna a incannulare l’arteria ombelicale.La “gestione” della
nascita ha coinvolto la professoressa Apgar non solo per ragioni di particolare
dedizione, ma soprattutto perché a quell’epoca l’ostetrico e l’anestesista si
occupavano maggiormente della puerpera, mentre al neonato prestavano minore
attenzione… in quanto veniva giudicato in buona salute se non presentava evidenti
difficoltà come l’insufficienza respiratoria o circolatoria che, se
sottovalutate, ne potevano provocare il decesso. Per queste ragioni
riteneva di poter contribuire a migliorare il trattamento riservato ai neonati,
spesso con malformazioni o sottopeso, e sovente con problemi di respirazione
che, a quell’epoca, si riteneva che fossero troppo malati per vivere. Si
rendeva quindi necessario prevenire il non corretto trattamento (o non
trattamento) dell’asfissia severa,e che i neonati in salute ricevessero
trattamenti e ossigeno non necessari, o comunque in eccesso. Infatti, sino ad
allora non esistevano misure standard per valutare le condizioni del neonato
alla nascita, e in modo troppo esiguo venivano definite le condizioni
neonatali. Sfidando con determinazione le convenzioni (il maschilismo era molto
in auge soprattutto in ambito anglosassone) pur non avendo una certa autorità,
nel 1949 con una intuizione analitica la Apgar realizzò la lista dei segni
obiettivi relativi alla condizione del neonato alla nascita, applicando i
cosiddetti cinque segni cardinali degli anestesisti (frequenza cardiaca,
respirazione, tono muscolare, riflessi e colore della cute). “Scelsi i 5 che mi
sembravano i più importanti – spiegò – e che potevano essere determinati con
facilità e senza interferire con l’assistenza al neonato. Il sistema prevedeva
l’assegnazione di un massimo di 2 punti a 5 variabili eterogenee. Ogni
variabile contribuiva con lo stesso peso alla somma finale. La procedura era
semplice da imparare e con un po’ di esperienza la si poteva eseguire
rapidamente. La frequenza cardiaca era misurabile con la palpazione, o a vista,
senza il fonendoscopio”.
Uno score perfetto di 10 è raro nella pratica, ma
uno score di almeno 7 garantisce un buon stato di salute; mentre uno score più
basso mette in all’erta l’ostetrico per la possibilità di problemi latenti come
l’emorragia e l’asfissia, che possono essere facilmente individuati e trattati.
Questo metodo, noto con il nome di Newborn Scoring Sistem (ma anche Indice o
Punteggio di Apgar) da quando venne presentato al meeting congiunto della
International Anestesiology Research Society e dell’International College of
Anesthetists, di Virginia Beach nel 1952. Tale metodo non era però perfetto,
come la stessa autrice ha ammesso, in quanto non sostituiva un completo esame
clinico ma identificava, a seconda del punteggio, i neonati che richiedevano un
immediato trattamento per la stima delle probabilità di sopravvivenza o di
morte. Tuttavia, pubblicato nel 1953 con effetti dirompenti, l’indice trasformò
una valutazione clinica fino a quel momento indefinibile e impressionistica dal
punto di vista delle cifre che gli operatori potevano comparare: il fatto
stesso di applicare l’indice imponeva un’osservazione e una documentazione più
accurata delle reali condizioni del bambino. Solo dal 1964 in poi fu chiaro che
lo score addizionale a 5 minuti si correlava meglio alla mortalità neonatale
rispetto a quello del primo minuto dopo la nascita, ossia si sapeva che l’Apgar
score non sempre identificava l’asfissia in quanto le anomalie congenite, i
parti prematuri e la somministrazione di farmaci alla madre potevano avere come
conseguenza un Apgar basso senza che questo significasse asfissia neonatale.
Nel soggetto prematuro inevitabilmente lo score di Apgar è più basso rispetto
al neonato a termine perché alcune componenti dello score (il tono muscolare,
la respirazione, i riflessi) sono correlati alla maturità del neonato; oltre ad
altri fattori che potevano indurre ad ulteriori errori. Secondo la professoressa
statunitense l’Apgar deve essere assegnato da un osservatore libero (non
impegnato), anche se comunemente esso viene dato dall’ostetrica la quale non è
solo un’operatrice con “interessi di parte”, ma è spesso impegnata nella terza
fase del travaglio per poter determinare il più accuratamente possibile ogni
componente dello score a 1 minuto e a 5 minuti. “Credo che questo
punteggio – osservò Virginia Apgar – abbia contribuito a salvare molti bambini”. Un suo collega in
quell’occasione ebbe ad affermare: “Ogni neonato negli ospedali moderni
di tutto il mondo viene visto alla nascita con gli occhi di Virginia Apgar”.
Testimonianza di un’innovazione che forse valeva il premio nobel, proprio
perché tale contributo medico-analitico ha contribuito allo sviluppo della
terapia intensiva neonatale e a salvare molti bambini. In tutto il mondo ogni
bambino nato in ospedale ebbe un punteggio Apgar 1 minuto dopo la nascita, e un
altro 5 minuti dopo. Ben presto si poté stabilire che un bambino con un indice
Apgar compromesso al primo rilevamento, spesso poteva essere rianimato mediante
l’ossigenazione e ottenere un punteggio decisamente migliore a distanza di
cinque minuti (da qui le Unità di terapia intensiva neonatale). Ma non solo. Il
punteggio influì anche sulle procedure del parto in quanto fu notato che con
l’anestesia spinale, e in seguito epidurale, i bambini nascevano con un
punteggio migliore rispetto all’anestesia generale.
Grazie a questa innovazione
e allo sviluppo delle metodiche ostetriche, oggi negli Stati Uniti muore un
bambino nato a termine su 500, mentre la mortalità materna è inferiore a una su
20 mila (le cifre potrebbero essere sovrastimate). Nel corso della sua vita professionale la Apgar, che è stata
presente alla nascita di oltre 17 mila bambini, aiutando la madre o il neonato,
somministrando oltre 20 mila anestesie, ha sempre portato nella sua borsa di
medico un bisturi e un tubicino, avendo in più occasioni creato in emergenza
una via respiratoria artificiale (tracheotomia). Per tutta la vita continuò a
studiare coinvolta dal fascino della curiosità e dell’apprendimento, rendendosi
disponibile per l’anestesia 24 ore al giorno. Ottima docente e comunicatrice,
anche se aveva un modo di parlare svelto, spesso si rivolgeva alle studentesse
con questo invito: “Evitate di guardare in basso e potrete avere molto”.
Concluse la sua carriera con l’incarico di professore clinico di Pediatria al
Cornell University Medical College di New York, dove Papanicolau aveva lavorato
per quarant’anni, e dove Mendelson aveva inventato l’omonima Sindrome, e dove
Vincent du Vigneaud aveva isolato la penicillina-G. Ma Virginia Apgar, affabile
e con un innato entusiasmo tale da rendersi simpatica a tutti, non era solo un
ottimo “clinico-donna” e una convinta perfezionista in tutto ciò che faceva, ma
aveva diversi hobby tra i quali la pesca, il giardinaggio e la cucina; amava
anche la musica tant’è che era una provetta suonatrice di viola, intrattenendo
gli amici con musica da camera. Era molto competitiva e le piaceva
vincere, ma solo con chi aveva delle reali possibilità. Lontana da ogni forma
di schematismo e di sotterfugi, questa straordinaria donna medico muore nel
1974 a 65 anni (in seguito ad un incidente aereo) lasciando ai posteri il
frutto di un progresso nella pratica clinica neonatale, e l’esempio della sua
particolare dedizione ai bambini e alle loro mamme.
Fonti bibliografiche consultate:
“Le donne medico nella storia”; E. Bodini – Panorama
della Sanità n. 31- 8/872005
“L’indice di Apgar””; Atul Gawande – Einaudi, 2007
“Virginia Apgar – Storia della Medicina”, E. Bodini – Il Nuovo Anestesista Rianimatore, 2-3/2009
“L’indice di Apgar””; Atul Gawande – Einaudi, 2007
“Virginia Apgar – Storia della Medicina”, E. Bodini – Il Nuovo Anestesista Rianimatore, 2-3/2009
Foto tratte dai siti: 1) nlm.nih.gov; 2) profiles.nlm.nih.gov; 3) slideplayer.it
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