A proposito
di amianto forse non tutti sanno che…
IL
LUNGO E COLPEVOLE SILENZIO SULLE CONOSCENZE
LIMITI
E CONFINI DELL’ETICA IMPRENDITORIALE E SOCIALE
Le problematiche
derivanti il perpetuo e “sconsiderato” uso dell’amianto, sia in Italia che nel
resto del mondo, pongono tuttora inquietanti considerazioni. Oggi, la società
si trova a dover pagare conseguenze che si potevano prevenire o ridurre al
minimo. Ma l’esigenza del progresso ancora una volta è chiamata a rispondere in
una Assise in cui compaiono inevitabilmente figure di
“correo”, quali l’ignoranza (attiva), l’indifferenza, lo scarso senso civico,
la irresponsabilità e gli assurdi ed infondati timori… La rivoluzione
industriale ha procurato notevoli progressi dal punto di vista tecnologico ed
economico, ma ha pure favorito esposizioni molto diffuse ad agenti patogeni nei
luoghi di lavoro (silice, piombo, asbesto, etc.). Solo in questi ultimi anni
iniziative di tipo legislativo hanno ridotto queste esposizioni. Quando
attraverso la ricerca si scoprì che l’asbesto era cancerogeno, questa
informazione fu tenuta nascosta un po’ ovunque, in particolare negli USA;
mentre in Italia il problema è stato per molto tempo sottovalutato più o meno
volutamente… L’industria dell’amianto si sviluppò senza conoscenze specifiche
tra il 1850 e il 1927. Questo inizio di certezza è dato dal fatto che tra la
fine dell’800 e l’inizio del ‘900 i rischi dell’esposizione professionale
riguardavano la silice, ma era il manufatto asbestoso ad interessare
maggiormente: la coibentazione era necessaria per un uso efficiente del’energia
e per prevenire il degrado del calore e della combustione. Verso la fine
dell’800 erano in molti a ritenere che l’amianto poteva essere utilizzato
ovunque e, sia pur inconsapevolmente, la rapida crescita di questa industria
ebbe gravi conseguenze poiché già negli anni ’20-’30 la comunità medica
individuò uno stato fibrotico polmonare,
simile alla silicosi, in conseguenza all’esposizione all’amianto.
Il
riconoscimento della silicosi e della sua origine professionale, come pure
dell’elevato tasso di malattie, determinò tra il 1910 e il 1930 la
promulgazione di normative per l’indennizzo dei lavoratori. In questo stesso
periodo l’asbestosi venne individuata
come una malattia a sé a causa dell’esposizione all’amianto. Il primo caso
riconosciuto di cancro associato all’asbestosi e il sospetto della relazione
tra esposizione professionale all’amianto e tumore del polmone, è stato
stabilito dal dott. Lynch nel 1935, e che nel 1939 la Cassa Nazionale delle
Assicurazioni (CNA) in caso di incidenti ha immesso per la prima volta un caso
di asbestosi come malattia professionale. Le industrie non si allarmarono
nonostante fosse già palese il rischio rappresentato dall’esposizione, ma si
volle sapere, attraverso la Compagnia Assicuratrice Metropolitan Life Insurance
Company, se l’asbestosi causasse la tubercolosi
dal momento che l’amianto presente nell’industria non predisponeva alla
tubercolosi. Ma già dai primi del ‘900 l’asbestosi veniva individuata come una malattia
a sé, causata dall’asbesto, ed in seguito ad alcuni eventi le aziende non si
resero subito conto (o non vollero) del rischio rappresentato dall’esposizione
all’amianto. Nel 1931 il dott. Anthony J. Lanza (dal 1920 consulente della
Metropolitan Life Ins Company) raccomandava di includere l’asbestosi tra le
malattie soggette ad indennizzo, ritenendo la stessa l’unica protezione di cui
disponeva l’industria…, ossia evitare che questa malattia restasse fuori dalle tabelle di indennizzo in quanto
avrebbe incoraggiato avvocati e medici privi di senso etico e fomentare
rivendicazioni.
Nel
1932 la Johns-Manville, presente in Canada (nella foto del 23/9/2002) la cava di amianto all'aperto di Sangueny nello Stato del Quebéc), Manhattan, California, dovette
affrontare numerose cause intentate dai lavoratori colpiti da asbestosi,
cercando di mettere in dubbio la diagnosi di malattia polmonare, tant’é che il
vice presidente S.A. Williams cercò di “respingere” i risultati di queste
ricerche ed evitare una eventuale pubblicità negativa: il medico aziendale
aveva diagnosticato un caso di asbestosi e suggerì di spostare il lavoratore
interessato ad altra mansione. Verso la fine del 1933 alcune ditte erano
coinvolte in cause riguardanti l’asbestosi tanto da minimizzare l’impatto
economico ad esse collegate, e ciò nonostante nel 1936 dvettero liquidare alcuni
casi di richiesta di indennizzo… Negli USA, il noto “processo del secolo”
(quasi 300 mila denunce depositate, una inezia se si considera che dal 1940 al
1979 sono stati 27.500.000 i lavoratori esposti all’amianto), non ha avuto
alcun seguito e nel 1982 la Johns-Manville e alcune altre Compagnie hanno
dichiarato bancarotta e creato un fondo di risarcimento; ma tale fondo si
esaurì rapidamente per il gran numero delle vittime. Anche in Francia, tra il
1996 e il 2000, su iniziativa della Associazione nazionale di difesa delle
vittime dell’amianto (ANDEVA), sono state avviate oltre 1.000 cause civili o
penali. A Londra, altrettanto: nel 1999 circa 2.000 lavoratori hanno fatto
denuncia contro la ditta britannica Cape Ltd (datore di lavoro). Questa ha
risposto con una campagna di stampa, rilanciata dai media conservatori che
hanno denunciato il “costo scandaloso”, per i contribuenti britannici,
dell’eventuale indennizzo a questi lavoratori. Anche in Svizzera negli anni ’70
a Niederurnen nel Cantone di Glarona, 7.000 persone (tra le quali anche
italiani) hanno lavorato l’amianto.
In
Brasile, ancora oggi tra i maggiori produttori nel mondo, Eternit e
Saint-Gobain hanno sfruttato l’amianto grazie alle premure della dittatura
militare, che ha censurato ogni informazione riguardante la salute sul lavoro e
i rischi industriali. L’Associazione brasiliana degli esposti all’amianto
(ABREA) creata nel 1997, si è attivata per rifiutare il principio che in
Brasile l’amianto, in tutte le sue forme, possa avere una considerazione
diversa rispetto alla UE e reclamando l’estensione ai Paesi extra europei
(Brasile compreso) della proibizione di attività di estrazione, manifattura,
commercio e esportazione dell’amianto e dei prodotti contenenti lo stesso. Su
iniziativa dell’Abrea centinaia di lavoratori (e dei familiari delle vittime
decedute) hanno sporto querela. Nel 1998 Eternit è stata condannata ad
indennizzare un ex dipendente. A questo punto, Eternit e Brasilit (filiale
brasiliana della Saint-Gobain) hanno proposto ai loro ex operai un accordo
amichevole, secondo il quale gli operai avrebbero rinunciato ad ogni azione
giudiziaria in cambio di un eventuale indennizzo forfettario in caso di
malattia. Da qui in poi la letteratura medica ha continuato ad accumulare dati
sugli effetti nocivi dell’asbesto, grazie anche alle ricerche di L.U. Gardner,
direttore medico del Saranac Laboratory (Sanatorio per la tubercolosi e
Istituto di Ricerca di New York) affermando: «…il problema della predisosizione al cancro sembra ora più significativo
di quanto avessi immaginato in precedenza». Per contro, il 14 dicembre 1948
il dott. Lanza scriveva: «…è volere del
Gruppo (le Comagnie interessate alla produzione dell’amianto) che tutti i
riferimenti al cancro o al tumore siano omessi… Il Gruppo desidera che siano
incluse nelle “Conclusioni” riferimenti al carattere progressivo della fibrosi…».
Ulteriori istruzioni di Lanza imponevano: «Bisogna
attirare l’attenzione là dove i risultati sperimentali indicano che le fibre di
asbesto producono un’azione differente da quella causata dalle fibre della
silice… Ogni informazione sull’asbestosi umana deve essere inclusa in esso».
Alla luce di queste affermazioni viene da domandarci: quante persone avrebbero
potuto essere salvate se le osservazioni del dott. Gardner, comprese sulla
relazione tra cancro polmonare e asbesto, fossero state pubblicate senza
censura?
Nel
corso di un convegno (1949) del Quebec Asbestos Mining Association (l’azienda
che ha sostituito la Quebec Asbestos Products Association) il dott. Smith, direttore medico della Johns-Manville
canadese, osservò: «Per quanto riguarda
la Johns-Manville, sono a conoscenza di due rischi presenti nei nostri impianti
che potrebbero causare delle malattie polmonari, e cioè la silicosi e
l’asbestosi. Attualmente, dalla letteratura medica risulta sempre più marcata
l’evidenza che queste sostanze provocano il cancro del polmone». Occorreva
dunque procedere ad uno studio in proposito, perché andava sempre più prendendo
coscienza che l’inalazione per lunghi periodi delle fibre di amianto poteva
essere dannosa. Si consigliava che il materiale doveva essere utilizzato in
modo da non produrre polvere o, in caso non fosse possibile, gli addetti
dovevano disporre di mezzi adeguati. Ma ciò non avvenne praticamente quasi mai,
un po’ ovunque… Nel 1952, al VII Simposio del Saranac venne discusso il
rapporto asbesto-cancro e fu osservato il potenziale cancerogeno di ciascun
tipo di fibra. Dibattito che contemporaneamente proseguiva negli ambienti
dell’industria dell’amianto. Sebbene dall’inizio del ‘900 l’asbesto fosse stato
riconosciuto nocivo per la salute e la malattia polmonare fosse stata
individuata nel 1927 dal medico britannico W.E. Cooke, mentre la silicosi era
conosciuta sin dall’antichità, in entrambi i casi (asbesto e diatomee)
l’industria continuò ad opporsi al loro riconoscimento come malattie
occupazionali rimborsabili, nonostante gli studi confermassero queste patologie
nelle ricerche sugli animali sperimentali e negli studi sull’uomo. Tutto questo
accadeva negli USA, in Canada ed in altri Paesi come l’Australia dove pare
negli anni ’60 esistesse una miniera di amianto e vi abbiano lavorato 7.000
persone, un migliaio delle quali erano italiane.
MA QUALE LA
SITUAZIONE IN ITALIA?
Emblematica,
ad esempio, la realtà dell’Eternit di Casale Monferrato (AL), ribattezzata dai
mass media la “fabbrica del cancro”, creata nel 1902 dall’austriaco Ludwig
Hatscheck, resa attiva dal 1905, e fallita nel 1986. La prima vittima per
mesotelioma è stata accertata nel 1947, ed oggi la “strage” continua
inesorabilmente. Particolarmente toccante la testimonianza di una ex
lavoratrice: «…ci mandavano dei medici
aziendali per tranquillizzarci… dicevano
che andava tutto bene per la nostra salute, ma erano pagati dal padrone».
Lo stesso vale per i cantieri di Monfalcone (GO), costruiti nel 1907, e nel
1937 l’apertura a Trieste della raffineria “Aquila”; oltre ad altre realtà
quali la Cementifera Italiana Fibronit S.P.A. di Broni, attiva dal 1919 sino al
1993. Per non parlare poi del comparto ferroviario e di tutti i mezzi rotabili,
altrettante fonti di palese nocività. Nel 1939 il patologo torinese Giacomo
Mottura (1906-1990) riuscì a far riconoscere l’asbestosi come malattia
professionale, la cui assicurazione per i lavoratori divenne obbligatoria nel
1943 ma operativa solo nel dopoguerra. Significativo è il monumento intitolato
alle vittime dell’amianto (dello scultore Alberto Tonet e dello scrittore
Massimo Carlotto che porta la scritta: «Costruirono
le stelle del mare, li uccise la polvere, li tradì il profitto». Ma forse
non tutti sanno, o non hanno avuto modo di verificare, che è da quasi un secolo
che si conosce la pericolosità dell’amianto (e non solo dagli anni ’70 come
spesso è riportato più volte dalla cronaca). È quindi interessante sapere che
risale al 1906 (all’epoca di Sua Maestà Vittorio Emanuele III) il primo
processo nel quale il giudice, condannando un’azienda che lavorava amianto,
aveva scritto di fronte al «non sapevo»
dell’imprenditore, che una persona dotata di mediocre cultura doveva essere a
conoscenza della pericolosità dell’amianto (sentenza prodotta dal pretore di Raffaele
Guariniello in occasione di uno dei tanti processi a Torino).
A
partire dal 1935 la comunità scientifica internazionale ha più volte ipotizzato
un collegamento fra amianto e carcinoma polmonare e, nel 1965, ha ufficialmente
confermato l’esistenza di effetti cancerogeni del manufatto asbestoso. Anche
verso la fine degli anni ’60, nel nostro Paese, con la rottura del ’68 e la
nascita di una nuova generazione di medici e di ricercatori, si sono spezzati i
circuiti “riservati” favorendo la circolazione di informazioni sulla reale
entità dei rischi cui erano esposti i lavoratori, molti sono rimasti lontani
dalla cultura mediocre invocata dal giudice del 1906, o meglio, in forza dei
loro interessi continuano a fare virtù dell’ignoranza attiva… A mio parere, se l’amianto
in molti Paesi è stato messo al bando (in Italia dal 1992), restano da
bonificare molti siti in cui ancora è presente sotto varie forme e con diversi
gradi di pericolosità espositiva. Infatti, secondo il periodico Internazionale del 21/11/2014 sono 33.610 i siti inquinati con l’amianto in
Italia, se si considerano solo i siti censiti, ma mancano informazioni sulla
Calabria, la Sicilia e la Campania. La mappa del Ministero indica che solo 832
siti sono stati bonificati, 339 sono stati parzialmente bonificati e sono ancora
da bonificare 30.309 siti. Alla luce di questi dati è necessario un ulteriore
censimento allargato degli ambienti a rischio (pubblici e privati), la
valutazione delle situazioni e la scelta del processo più adeguato di bonifica.
Pagine di storia che purtroppo non hanno ancora una fine e, in attesa di essere
lette dalle ultime generazioni, è bene che politici e amministratori pubblici
comincino a “scrivere” l’ultimo capitolo…”
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