ONCOLOGIA IN AMBITO GASTROENTERICO

All’Accademia di Medicina di Torino

CONVEGNO SUI TUMORI RARI DELL’APPARATO GASTROENTERICO
a cura del Gruppo Italiano Tumori e Gruppo Piemontese Sarcomi

Dalla diagnosi clinica al trattamento farmacologico e chirurgico: una strada ancora in salita, nonostante i progressi compiuti. Fondamentale il ruolo delle terapie di supporto, la migliore conoscenza della malattia con il coinvolgimento diretto dei famigliari e il ruolo svolto dalla Rete Oncologica nella ricerca dell’appropriatezza e dell’efficacia delle prestazioni mediche e socio-assistenziali


di Ernesto Bodini



Tra le molteplici attività scientifico-divulgative promosse dal GITR, spicca quella dedicata alla “Seconda giornata sui tumori rari del tratto gastroenterico” che si è tenuta il 17 ottobre scorso nella sede dell’Accademia di Medicina di Torino, presieduta dal presidente dott. Alessandro Comandone. Il programma è stato fitto e ricco di interventi dei quali si riporta una sintesi. È stato innanzitutto ribadito l’impegno delle Rete Oncologica sulla tematica dei Tumori Rari (TR): attualmente ne sono classificati ben 198 tra sarcomi, tumori neuroendocrini, mesoteliomi, tumori cerebrali, etc. Si tratta di mantenere in atto un processo culturale «in quantoè stato spiegato nell’introduzione – a differenza delle Malattie Rare i TR non hanno ancora un preciso riconoscimento giuridico. La complessità e la pluridisciplinarietà sono due caratteristiche fondamentali dei TR.» I dati epidemiologici della rete Oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta riportano 250 casi di sarcomi ogni anno. Meno certi i numeri relativi ai tumori neuroendocrini. Fondamentale è la redazione da parte di uno specifico Gruppo di Lavoro Regionale coordinato dal dott. Comandone di protocolli diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA) sui sarcomi dei tessuti molli e sui tumori neuroendocrini per dare uniformità all’azione dei clinici nei confronti di queste neoplasie nelle due Regioni. Particolarmente approfondito l’intervento del prof. Sergio Sandrucci, chirurgo oncologo all’ospedale Molinette, sul ruolo della Società Europea di Chirurgia (ESSO). Il relatore ha ribadito alcuni punti fondamentali che caratterizzano i TR: sporadicità dell’evento, scarsa esperienza degli operatori, necessità di concentrare i casi in Centri di eccellenza ma anche di diffondere la conoscenza della materia. «L’Italia – ha sottolineato il cattedratico – è assai avanzata sull’argomento, mentre in alcune Nazioni d’Europa la difficoltà alla diagnosi e l’inappropriatezza dei trattamenti rendono ancora molto pesante la prognosi di queste neoplasie rispetto ai tumori più frequenti». Ma qual’è l’atteggiamento del chirurgo di fronte al TR? «In questi casi – ha precisato – il chirurgo è in prima linea quanto l’oncologo clinico: due pazienti su tre con TR dell’apparato gastroenterico ricevono un trattamento chirurgico, ed un altro 30% di essi può essere operato dopo un trattamento preoperatorio con farmaci o radioterapia. Ma molta strada deve ancora essere percorsa per diffondere la conoscenza di queste malattie tra la popolazione e approfondire la cultura nel mondo chirurgico». Quali concrete prospettive di miglioramento di questi risultati? Certamente il riconoscimento di Centri di Riferimento è fondamentale, ma va anche implementata la conoscenza di queste patologie nei Centri Periferici e tra i Medici di Medicina Generale. «La soluzione – ha suggerito il prof. Sandrucci – potrebbe essere la Rete nella quale un Centro di riferimento (Hub) è in costante contatto con i Centri periferici (spoke). In particolari momenti della terapia quando è richiesta un’alta specializzazione i pazienti vanno riferiti al Centro di Eccellenza. Nelle fasi meno complesse o ordinarie di trattamento il malato può ricevere cure adeguate vicino alla propria residenza, in un centro “spoke”.». La dottoressa Racca, oncologa della Città della Salute (ospedale Molinette di Torino) ha riportato l’argomento su aspetti più propriamente clinici trattando dell’adenocarcinoma del piccolo intestino, tumore assolutamente raro. «L’adenocarcinoma del tenue – ha spiegato – rappresenta una neoplasia dalla diagnosi spesso tardiva: la maggior parte dei casi viene individuata ad uno stadio ormai avanzato di malattia, e i risultati dei trattamenti sono peggiori rispetto a quelli ottenuti negli adenocarcinomi del colon, sia nella fase di terapia adiuvante sia nella malattia metastatica, con un tasso di sopravvivenza mediana di 19 mesi dopo chirurgia radicale. Proprio per la bassa incidenza di questo tumore mancano dati clinici provenienti da studi prospettici randomizzati di fase tre. Per queste neoplasie non ci sono fattori prognostici o marcatori tumorali che siano validati con certezza e che possano portare all’identificazione di gruppi di rischio da trattare con intensità e modalità differenti». I tumori primitivi dell’intestino tenue rappresentano lo 0,3% di tutte le neoplasie, e l’1-3% di tutte le neoplasie del tratto gastroenterico. L’incidenza dell’adenocarcinoma del tenue sembra essere in aumento: i nuovi casi ogni anno negli Stati Uniti e in Europa sono rispettivamente 5.300 e 3.500, con una mortalità stimata rispettivamente di 1.200 – 1.100 decessi per anno. «Per l’adenocarcinoma del tenue – ha proseguito la dott.ssa Racca – sono negativi lo stadio avanzato di malattia, l’età avanzata, la sede duodenale, i margini chirurgici interessati e il coinvolgimento linfondale. A seguito della diagnosi, se la neoplasia è localizzata, la chirurgia è l’unica modalità terapeutica potenzialmente curativa, e anche se radicale oltre la metà dei pazienti presenta una recidiva a livello sistemico entro un anno dalla chirurgia. Discutibile è tuttora il ruolo della chemioterapia adiuvante in quanto mancano studi definitivi. Quando la malattia è metastatica l’indicazione è la chemioterapia utilizzando per convenzione schemi ideati e studiati nei tumori del colon. La chirurgia palliativa mantiene il suo ruolo per il trattamento dei sintomi acuti (ostruzione, perforazione, sanguinamento intestinale, etc.), ma è gravata da pesante morbilità». Molto diversa è la situazione nei GIST, come ha spiegato il dott. Giovanni Grignani, oncologo dell’IRCCS di Candiolo (To). «Pur nella rarità dei casi in questa neoplasia – ha spiegato – , grazie alla disponibilità di farmaci molto attivi come Imatinib, Sunitinib e Regorafenib sono stati realizzati degli studi randomizzati che hanno reso possibili delle acquisizioni certe in campo terapeutico». Sia la terapia adiuvante con Imatinib, sia la terapia in fase avanzata con i tre farmaci sovracitati grazie alle conoscenze di biologia molecolare, hanno permesso importanti avanzamenti nel controllo e cura dei GIST. Ma il quesito di fondo è: può la terapia medica guarire sempre e definitivamente i casi di GIST? «Al momento – ha precisato il clinico – la terapia sembra essere definitivamente guaribile in una percentuale significativa di pazienti, ma in altri casi si assiste solo ad un rallentamento della ripresentazione della malattia». Sulla terapia della malattia metastatica è intervenuta la dott.ssa Patrizia Lista precisando che il trattamento con Imatinib dei GIST ha rivoluzionato l’aspetto clinico di questa patologia. «Il beneficio clinico – ha spiegato l’oncologa – è stato dimostrato da numerosi studi: nell’85% dei casi trattati il 54% ha dato risposte obiettive, il 25-30% di stabilizzazione della malattia e solo il 15% dei pazienti non sono stati responsivi al trattamento per resistenza primaria al farmaco… Fondamentale nella terapia dei GIST è l’aderenza al piano terapeutico con costanza nell’assunzione della terapia e questo risultato è ottenibile solo se vi è piena collaborazione tra medico, paziente e famiglia». Non meno importante l’intervento sul problema delle cure simultanee di supporto nei malati con TR, illustrato dal dott. Ferdinando Garetto e dall’infermiera Antonietta Palumbo dell’Oncologia medica dell’ospedale Gradenigo (Torino). Si tratta della integrazione tra terapie oncologiche attive e cure per il controllo dei sintomi legati alla malattia o al trattamento sin dal momento della presa in carico del paziente oncologico. Le cure di supporto, è bene ricordare, devono iniziare precocemente nella storia di malattia, riducendo in tal modo la sofferenza del malato e migliorandone la qualità di vita «In questo modello di cura – ha precisato Palumbo – collaborano varie figure: dagli operatori sanitari ai famigliari e ai caregiver. L’approccio multiprofessionale e assistenziale verso questi pazienti consente di identificare i loro bisogni sanitari e socio-assistenziali e di predisporre un eventuale progetto mirato di assistenza…». Per i malati di tumore raro, c’é sempre bisogno di un approccio integrato fra i vari operatori, per giungere ad una terapia globale che consideri gli aspetti fisici, psichici e spirituali del malato. «Un impegno verso il paziente, ma anche nei confronti delle famiglie – ha sottolineato il dott. Garetto –. Presso la S.C. di Oncologia del Gradenigo c’è un’integrazione costante tra medici, infermieri e psicooncologi per cercare di affrontare in modo globale le problematiche della malattia. Caso unico in Piemonte al Gradenigo esiste un progetto di supporto psicologico per Famiglie colpite in un componente da TR. Tale progetto di rete oncologica definito “Protezione Famiglia” è economicamente supportato dal GITR». Per quanto riguarda la terapia medica, è intervenuta la dott.ssa Maria Pia Brizzi ricordando che fare ricerca sui TR è molto complicato. La mancanza di studi numericamente elevati, di modelli statistici soddisfacenti per piccoli numeri di pazienti, la ristrettezza di armi terapeutiche e infine la mancanza di prove di evidenza di efficacia di una terapia, espongono il paziente a trattamenti non completamente validati. È pertanto indispensabile creare Gruppi di Ricerca specificamente dedicati che possano raccogliere su base nazionale o continentale un numero sufficiente di casi per giungere a dare risposte definitive. Se tali studi non sono realizzati, inevitabilmente si corre il rischio di aumentare l’incertezza e l’impiego non appropriato dei farmaci (off label).

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