NEL 2015 HANNO PERSO LA VITA 110 GIORNALISTI DURANTE IL LORO LAVORO,
ALTRI ANCORA PRIVATI DELLA LORO LIBERTÁ PERCHÈ DETENUTI IN VARI PAESI
Non stoicismo ma senso del
dovere per rendere ogni Paese
più libero attraverso
l’inalienabile diritto di informazione
di
Ernesto Bodini
Molte
volte si parla di giornalismo e di giornalisti, talvolta con seri apprezzamenti
tal’altra con punte di polemica, e più raramente con disprezzo… puntando il
dito verso una o più testate, a seconda della linea politica rappresentata. Ma
in sostanza, quanta reale considerazione si ha di questo mestiere (meglio
sarebbe definirlo professione) ormai considerato il “terzo potere” (soprattutto
nel nostro Paese)? A questo proposito il vate del giornalismo italiano Piero
Ottone (1924), alle affermazioni: «Voi
giornalisti, che avete il compito di educare la gente; voi che dovete formare
l’opinione pubblica…» ribadiva: «Niente
di più falso», una battuta il cui approfondimento lo si riscontra nel suo
libro “Il buon giornale – Come si scrive, come si dirige, come si legge”
(Ed. Longanesi & C., 1987), una pubblicazione un po’ datata ma certamente
ancora valida per chi intende cimentarsi in questa professione. L’autore
richiama, tra l’altro, l’attenzione sul ruolo degli inviati speciali, dei
corrispondenti in Russia, Algeria, Sudafrica, tutti professionisti di lungo
corso che nel tempo si sono avvicendati per farci conoscere il mondo e la sua
evoluzione: la cultura e le vicende dei popoli in tutti i contesti sociali e
politici. Ma è altrettanto doveroso sapere il “destino” di giornalisti che nel
corso del loro operato hanno messo a repentaglio la propria vita, talvolta
rimettendoci la stessa. E, a questo riguardo, secondo il recente Reporters san
Frontières (RsF, l’organizzazione che difende la libertà di stampa a livello
internazionale), sono 110 i giornalisti deceduti nel 2015, parte dei quali
hanno perso la vita in zone di guerra. Nel dettaglio 67 mentre svolgevano il
loro lavoro, e se nel 2014 i due terzi di essi operavano in zone di guerra, nel
2015 i due terzi sono caduti in aree di pace. A causa dell’attentato contro la
Redazione di Charlie Hebdo di Parigi, il 7 gennaio scorso, la Francia è balzata
al terzo posto della “classifica”. «A
quei 67 deceduti nel 2015 – si legge nel rapporto – ne vanno aggiunti 27 classificati come civici (in gran parte blogger),
oltre a 7 collaboratori di medio e vario genere. Inoltre, in 43 casi le circostanze della
morte restano indeterminate perché non ci sono state inchieste imparziali e
approfondite; inoltre si contano anche 27 vittime di giornalisti non
professionisti, i cosiddetti “citizen journalist”, e la perdita di 7 tecnici
tra cameramen, fonici e altri tipi di tecnici». Per questa “ecatombe” e per la cattiva
volontà degli Stati di fare giustizia, l’organizzazione RsF chiede la nomina di
un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti presso il
Segretario Generale dell’Onu.
Sempre in
riferimento ai 67 omicidi dello scorso anno Iraq e Siria sono ai primi posti,
ognuno con 9 morti, la Francia con 8; e in particolare viene ricordato
l’assassinio del giornalista giapponese Kenji Goto da parte dell’Isis. Nel
Rapporto RsF vengono citate anche storie meno conosciute come quella di Hindiyo
Haji Mohamed, una delle due donne tra le 67 vittime: era una giornalista della
televisione nazionale somala, vittima di un’autobomba a Mogadiscio lo scorso 3
dicembre, un vero e proprio attentato per mano della milizia islamista shabab.
Il marito di Hindiyo, anch’egli giornalista, fu assassinato nel settembre 2012.
Altro evento non meno cruento riguarda il fotoreporter Ruben Espinosa,
ritrovato senza vita con evidenti tracce di tortura in un appartamento di Città
del Messico. «Il suo assassinio – si
legge nel Rapporto – ha provocato
un’ondata d’indignazione e una presa di coscienza collettiva sull’assenza
incredibile di protezione dei giornalisti in Messico». Pochi giorni dopo
quell’assassinio è entrata in vigore una nuova legge in merito, ma applicata
solo nel distretto della capitale. Relativamente ai Paesi più colpiti, dopo la
Francia seguono lo Yemen, il Sudan merdionale, l’India, il Messico e le
Filippine. Ma va anche ricordato che restano ostaggi in tutto il mondo 54 giornalisti
contro i 40 di fine 2014, nonostante nel 2015 ci siano stati meno sequestri
rispetto all’anno precedente; e tra i reporter detenuti la maggioranza sono in
Cina, con 23 giornalisti reclusi. Cifre che fanno riflettere chiunque, compresi
i lettori, come l’aforisma riportato in quarta di copertina del ibro di Ottone:
“Nessuno decide di fare il giornalista
per migliorare l’umanità. Però un buon giornale la migliora”. Una ovvietà,
a mio avviso, che andrebbe “integrata” con quel credo che sta nel rispetto di
tutti i mestieri e tutte le professioni, a tutela di chi scrive e di chi legge,
proprio perché la verità non danneggia mai una causa giusta.
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