Sacco & Vanzetti:
due protagonisti
contro l’ingiustizia
d’oltreoceano
La storia insegna oppure la coscienza “aiuta” a dimenticare?
di Ernesto Bodini
Non c’è stagione per apprezzare un bel film, o per seguire una ricostruzione storica, specie se
la trama ci riporta alla “rivalutazione” dei diritti e al rispetto della
dignità e della vita umana. In questi giorni di dicembre RAI STORIA ha rievocato la Storia di Sacco & Vanzetti, i due nostri connazionali che furono protagonisti contro l'ingiustizia americana. Se è vero che all’inizio del secolo scorso in America gli italiani
immigrati erano considerati ladri, ignoranti e sporchi, forse è bene ricordare,
sia pur sinteticamente, la vicenda dei due sfortunati italiani (ritenuti anarchici) la cui
vicenda ha ispirato il film italo-francese del regista Giuliano Montaldo del 1971, con l’ottima
interpretazione dei principali protagonisti Gian Maria Volonté e Riccardo
Cucciolla, e colonna sonora di Ennio Morricone; ma anche pagine di articoli, riproponendo nel contempo le molteplici
tematiche legate alla in-giustizia (americana) per una sana e doverosa
riflessione. Ferdinando Nicola Sacco, pugliese, classe 1891, e Bartolomeo
Vanzetti, piemontese, classe 1888, emigrarono in America rispettivamente nel
1909 e nel 1908. Nonostante la precarietà dovuta alla non conoscenza della
lingua e delle loro modeste origini, si prestarono a diversi lavori, il primo
alle dipendenze di un calzaturificio, il secondo mettendosi in proprio come
pescivendolo dopo molte esperienze lavorative di vario genere. “Nick” e “Bart”
(così erano chiamati dagli americani), si conobbero solo nel 1916 entrando a
far parte di un gruppo anarchico italoamericano, sostenitori del principio di
fratellanza universale su cui dovrebbe basarsi la convivenza umana. Dopo la
guerra tornarono dal Messico dove si erano “rifugiati” per evitare la chiamata
alle armi, non per codardia ma perché per un anarchico non c’è nulla di peggio
che uccidere o morire per uno Stato. Non sapevano però di essere inclusi in una
lista di sovversivi redatta dal Ministero di Giustizia, tanto meno di essere
pedinati dagli agenti segreti americani.
Nel maggio del 1920 vennero arrestati perché in possesso
di volantini anarchici e alcune armi. Dopo alcuni giorni di estenuanti
interrogatori vennero accusati dal procuratore Gunn Katzamann anche di
una rapina avvenuta a South Braintree, un sobborgo di Boston, quasi un mese
prima del loro arresto (15 aprile 1920), in cui erano stati uccisi il cassiere
della ditta “Slater and Morrill” e una guardia giurata. Vanzetti fu accusato
anche della rapina ai danni di un furgone che trasportava le paghe degli operai
di un calzaturificio, avvenuta il 24 dicembre 1919 a Bridgewater. Per questi
fatti i due italoamericani vennero mandati a processo (in realtà i processi
furono tre) e condannati a morte. In tutte le fasi processuali non vennero mai
chiarite le vere responsabilità in quanto non è mai esistita alcuna prova
inconfutabile della loro responsabilità; un giudizio che non fu mutato
nonostante la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che
ammise di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto né Sacco né
Vanzetti. Nel corso delle numerose e “tumultuose” udienze, a parere di molti,
vi furono da parte di polizia, procuratori distrettuali, giudice e giuria
(compreso il clero) una accesa volontà di perseguire politicamente i due
imputati e mandarli alla sedia elettrica serviva palesemente come esempio a
tutti i militanti della sinistra (schierati o meno). Una vera e propria
politica del terrore (che ci ricorda, per certi versi, quella instaurata nel
periodo della Rivoluzione Francese) voluta dal ministro della Giustizia Palmer
e culminata nella vicenda delle deportazioni. Un verdetto condizionato, quindi,
tanto da considerare Sacco e Vanzetti due “agnelli
sacrificali” utili per testare la nuova linea di condotta contro
gli “avversari” del governo, come sono stati considerati i due imputati,
ancorché immigrati italiani con scarsissima comprensione della lingua inglese.
Vanzetti, rivolgendosi al giudice Thayer, disse: «Quando le sue ossa non saranno che polvere, e
i vostri nomi e le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato
maledetto, il nostro nome sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo
ringraziarvi. Senza di voi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon
calzolaio e un bravo pescivendolo… E mai in tutta la nostra vita avremmo potuto
sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della
comprensione fra gli uomini… Però se voleste ripensarci non sarebbe male».
Nicola Sacco, probabilmente per certi versi più “rassegnato”, o forse perché
non in grado di sostenere le sue interiori considerazioni di fronte alla Alta
Corte, si limitò a rivolgersi al giovanissimo figlio con una breve lettera: “Possono bruciare i nostri corpi oggi, ma non
possono distruggere i nostri corpi, non possono distruggere le nostre idee,
esse rimangono per i giovani del futuro, per i giovani come te…». A
nulla servì la massiccia manifestazione popolare che si tenne per dieci giorni
e dieci notti davanti al palazzo del governo di Boston. Anche il governo
italiano (allora fascista) prese posizione attivandosi a sostegno dei due
connazionali, nonostante le loro idee politiche. Persino Mussolini pare
ritenesse il tribunale statunitense “ostile” per ragioni di pregiudizio, e per
questo sia i funzionari del Ministero degli Esteri e l’ambasciatore italiano a
Washington che il Console italiano a Boston si prodigarono presso le autorità
degli Stati Uniti per ottenere prima una revisione del processo e poi la grazia
per i due italiani, senza successo. E nemmeno servì una campagna con la
raccolta di 50 milioni di firme in tutto il mondo che comprendevano anche
quelle di intellettuali come Albert Einstein, Bertrand Russell, George Bernard
Shaw.
La condanna fu irrevocabile e, dopo circa sette anni di
detenzione (nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1927), fu eseguita mediante
scarica elettrica nel penitenziario di Charlestown nello Stato del
Massachusetts. La loro esecuzione innescò rivolte popolari sia a Londra che a
Parigi e in diverse città della Germania. I corpi dei due anarchici furono
cremati e oggi le loro ceneri si trovano nel cimitero di Villafalletto (Cuneo),
paese natale di Vanzetti. È almeno significativo, ma non certo consolante, il
fatto che il 23 agosto 1977 ossia 50 anni dopo, il governatore del
Massachusetts, Michael Dukakis, emanò un proclama che assolveva i due uomini
dal crimine, affermando: «Io
dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti». Della vita dei due
protagonisti-innocenti e dell’intera vicenda giudiziaria che li riguarda, ne
parla Lorenzo Tibaldo, che raccoglie le loro “Lettere e
scritti dal carcere” (Edizioni Claudiana, 2012, pp. 324, € 28.00). Si
potrebbero fare innumerevoli considerazioni, anche piuttosto incisive, ma
personalmente ritengo sia sufficiente affermare che spesso le Amministrazioni
di giustizia di molti Paesi sono (ancora) utilizzate da gruppi di potere per
eseguire assurde vendette politiche, rendendo sudditi i propri connazionali. E
ciò, costruendo false accuse e false testimonianze contro le persone che si
vogliono colpire (soprattutto se deboli ed inermi), e non è certo difficile
trovare giudici disposti a emettere la sentenza di condanna; tant’é che a
tutt’oggi in 33 Stati americani esiste ancora la pena di morte. Ai lettori
lascio ogni ulteriore considerazione, affinché si prodighino per diffondere il
mantenimento dei valori inalienabili della dignità umana, e quindi il rispetto
della vita dell’Essere… che vuole vivere.
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