IL CITTADINO TRA OSPEDALE E TERRITORIO

La comunicazione sociale tra ospedale e territorio
doveri e diritti del cittadino-paziente

di Ernesto Bodini


Ogni qualvolta si intraprendono argomenti come l’acuzie, la cronicità e l’assistenza (temporanea o permanente), solitamente ci si riferisce non solo al paziente in quanto tale ma alla Persona affetta da una patologia e/o invalidità più o meno gravi. Situazioni che implicano i concetti di etica e deontologia per il rispetto dei suoi diritti e il mantenimento degli stessi. Ma non esistono diritti cui non corrispondano altrettanti doveri, né viceversa. Anzi, si potrebbe dire che se in ogni campo (la famiglia, la scuola, il lavoro, gli affari, la società nel suo insieme, etc.) questi due concetti venissero sempre resettati congiuntamente, la vita sarebbe probabilmente migliore sotto ogni aspetto. E come tanti altri concetti fondamentali della vita moderna, il rapporto fra diritti e doveri subisce nel tempo una evoluzione lenta ma costante, anche se non siamo ancora certamente vicini a quella società ideale in cui i cittadini vedono tutti i loro diritti rispettati e assolvono a tutti i loro doveri senza eccezione. Probabilmente proprio come avrebbero voluto i “padri” della Costituente, la cui celebrazione dei “Diritti e Doveri” venne affidata alla Sottocommissione presieduta dall’avv. Umberto Tupini. Ed è sempre più ricorrente la necessità di adeguare riforme e provvedimenti soprattutto in tema di diritto alla salute e all’assistenza e, a mio parere, quando c'è di mezzo la salute e quanto ne consegue, non c’è spending riview che tenga; a meno che si voglia “soprassedere” sul II° capoverso dell’art. 3 della Costituzione che testualmente recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e politica, economica e sociale del Paese”, dopo aver rispettato, bene inteso, l’art. 32 che tutti conosciamo.

Il dovere di sapere

Il nostro Paese, soprattutto dal 1971 ad oggi, si è dotato di leggi all’avanguardia e quindi in linea coi tempi, tant’è che sotto l’aspetto normativo l’Italia ha sempre “sofferto” di iper-legislazione. E a questo riguardo Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, sostiene che un considerevole numero di leggi non può coesistere e per rispettarne una si finisce immancabilmente per violarne un’altra. Come in tutti i campi del Diritto in Italia esistono ancora leggi che sono obsolete e che andrebbero abrogate, poiché risultano essere in controtendenza con le esigenze della collettività; ossia l’eccessivo carico di una vecchia normativa a volte “ostacola” l’applicazione in concreto della nuova. E forse è anche per questo, ad opera dell’Ufficio per la fattibilità amministrativa e per l’analisi d’impatto degli Atti in itinere, per volere del Ministero della Funzione Pubblica, che con la legge 9/2009 sono state abrogate quasi 29.000 leggi (emanate dal 1861 al 1947) perché ritenute obsolete. Da notare che in Gran Bretagna sono operative soltanto 3.000 leggi, in Francia 7.000 e in Germania 5.500. Tale verificarsi è un fenomeno che il sociologo e antropologo francese Èmile Durkeim (1858-1917) aveva definito “anomia”, ossia assenza di una legge, o quando esiste la stessa non viene applicata. Ma ancora prima, Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu (1585-1642) sosteneva: «Promulgare una legge e non farla rispettare, è come autorizzare la cosa che si vuole proibire». E in ambito sanitario (come anche in altri) malattia, miseria e ignoranza costituiscono una triade penalizzante che per porvi rimedio a volte non bastano le risorse dei singoli e della collettività. Sovente il sapere e il n on sapere fa la differenza… Per non parlare poi della elefantiaca burocrazia. Ma questo è un altro capitolo che richiederebbe una sessione dedicata.

Ma come espletare la comunicazione?

L’uomo comunica in svariati modi in ogni istante della sua vita: dalla nascita fino al momento in cui muore. Solitamente intendiamo la comunicazione (oltre a quella scritta) come sinonimo di “comunicazione verbale”, fatta di discorsi articolati e con senso compiuto, ma in realtà non è così in quanto è importante ampliare questa definizione ricomprendendo anche tutte quelle strategie e forme comunicative di tipo non verbale: espressioni del viso (mimica), un suono, un gesto della mano, o una particolare postura del corpo; tutti modi di comunicare agli altri uno stato d’animo, un modo di pensare, esprimere un’opinione, un giudizio, e ovviamente anche per chiedere qualche cosa. Per quanto riguarda la comunicazione in ambito medico e sanitario desidero citare il prof. Michele Olivetti (recentemente scomparso); medico di famiglia e per anni presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Torino, e giornalista (direttore responsabile del mensile “Torino Medica”, con il quale ho collaborato per diversi anni. Nel ricordarlo con un articolo, intitolavo: “Ricordo del prof. Michele Olivetti, medico e umanista dalla forte impronta comunicativa – Cattedratico e fulgido esempio dell’etica medica, che ha saputo porsi sempre nel giusto modo  sia nei confronti della categoria che nei riguardi del paziente”. Proseguivo sottolineando: «… professionista di grande onestà intellettuale, dal notevole dinamismo nell’espletamento della professione medica, ma anche nella comunicazione scientifica dall’inconfondibile stile divulgativo di immediata e facile comprensione, come pure altrettanto diretto e schietto nella comunicazione verbale: sia nel dialogo personale che in sedi congressuali…».
Per comportarsi da cittadino, l’individuo deve sapere, conoscere e quindi informarsi… Già Alexis De Tocqueville (1805-1859), filosofo e politico francese, sosteneva che i cittadini devono comportarsi come tali, subordinando la loro condizione di individui. L’individuo inteso come persona nella sua singolarità, tendenzialmente pensa solo a sé stesso; mentre il cittadino, inteso come membro di una collettività, tende ad agire nel sociale e ad operare prima nell’interesse generale e, subordinatamente, come individuo. Quindi la persona che fa parte di un tessuto sociale, con doveri e diritti, ha bisogno di letture, di confrontarsi con gli altri e di essere aggiornato su temi seri come la sanità e l’assistenza; di riflettere molto per cercare di capire quali sono i meccanismi della vita e quelli che tengono insieme le persone, soprattutto in tema di salute, universalmente inteso come bene prezioso. Quindi, far parte della collettività significa avere la responsabilità personale, seppur parziale, della collettività stessa. Nel corso della Audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato del 26 giugno 2013, riferendo sulle politiche sanitarie del Semestre  italiano di Presidenza UE, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin affermava: «È nostra intenzione avviare un percorso che miri a raggiungere  con il contributo di tutti, alcuni risultati fondamentali, quali la tutela delle parti più vulnerabili della popolazione, il miglioramento delle cure primarie e del rapporto ospedale-territorio. Nel fare ciò, si terrà conto degli importanti mutamenti demografici, sociali, economici e comportamentali della nostra società, dell’incremento delle malattie croniche, dello sviluppo tecnologico che offre nuove opportunità di diagnosi e cura, delle aspettative dei pazienti e della esigenza di sostenibilità dei sistemi sanitari».
Tali propositi, del resto, il ministro Lorenzin li aveva anticipati nell’aprile scorso a Roma in occasione degli Stati Generali della Salute, soffermandosi appunto sulla programmazione dei territori, in quanto la norma divide il sociale dal sanitario, quando invece bisogna fare un lavoro di integrazione socio-assistenziale, ossia unire l’assistenza sanitaria a quella del territorio. «In questi anni di crisi economico-finanziaria – ha spiegato – intere fasce della popolazione rinunciano alla prevenzione o rimandano per indisponibilità economica. Al Patto della Salute c’é un tavolo parallelo organizzato dalle Regioni su un progetto di revisione dei ticket, cercando di riequlibrarli all’interno delle fasce sociali più deboli…». Nell’ambito della sanità va da sé che comunicare per sapere e per avere è un fatto oggettivo e razionale, al fine di raggiungere il proprio bene. E due sono le fonti a cui rivolgersi: l’ospedale e i servizi sanitari e socio-assistenziali del territorio. Quanto più l’ospedale tende a definire e specializzare il proprio ruolo nell’alta intensità di cure tecnologiche, tanto più questa  caratterizzazione non può essere perseguita solo attraverso investimenti mirati a una riorganizzazione dei processi interni. È quindi indispensabile aprire la prospettiva ad altri soggetti sul territorio per stabilire le sinergie necessarie ad una efficace gestione del rapporto cura, come ad esempio dopo il superamento della fase acuta della malattia. Fondamentale il ruolo del medico di famiglia (MMG) e del pediatra di libera scelta (PLS) per comunicare (vicendevolmente) con i loro pazienti ed eventuali caregiver, quali interlocutori professionali preliminari per la consulenza nella scelta del percorso di assistenza in quanto erogatori di servizi diagnostici (e terapeutici) di I° livello, anche in forma associata (Gruppi di assistenza primaria). Ed è proprio sul livello post-ospedaliero che il rapporto con il territorio assume valenza strategica, con la possibilità di sviluppare nuove configurazioni di servizio che riproducano all’esterno un determinato grado di intensità di cure, principale aspetto di riorganizzazione dei percorsi interni dell’ospedale. Infatti, come tutti sappiamo, o dovremmo sapere, ciò che mette in crisi l’ospedale per acuti non è tanto la pressione della domanda all’ingresso, quanto invece l’impossibilità di trovare (in tempo reale) spazi alternativi per concludere il ciclo di una cura una volta superata la fase di acuzie. Tenendo presente che le esigenze dei cittadini-pazienti sono sempre più pressanti, non solo perché la tecnologia offre di tutto e di più in tema di diagnosi e cura, ma anche perché sono sempre di più coloro che hanno bisogno, e ciò è comprovato dall’aumento dell’età media e dalle innumerevoli patologie ad essa corrrelate, e non.

Ad ulteriore considerazione di questo dettame è significativamente incisivo il contributo della dott.ssa Bice Previtera, autrice del corposo volume (che ho recentemente recensito) “L’integrazione ospedale-territorio nel Sistema Sanitario Nazionale – Dalla Legge 833 del 23 dicembre 1978 ad oggi” (Curcio Editore, 2013), che in particolare precisa: «… la riduzione dei posti letto ospedalieri e la nuova caratterizzazione dei ospedali, volti sempre più, giustamente, a cura l’acuzie e le patologie complesse, hanno post in drammatica evidenza la necessità di prestazioni integrative sul territorio. Tra queste l’educazione all’auto-medicazione e la creazione di e la creazione di strutture di RSA riabilitazione, lungodegenza e hospices, sono però a tutt’oggi carenti per l’assenza di un vero disegno che coinvolga in modo organico il MMg, il PLS, il medico di continuità assistenziale e dell’emergenza (Ex Guardia Medica), lo specialista ambulatoriale, il medico dirigente… L’investimento sul territorio, alla luce delle evidenze mostrate, si rivela positivo per il sistema, poiché contribuisce a una riduzione dei costi complessivi e delle inappropriatezze. Non può tuttavia essere dettato da motivi ideologici o rivolgersi in maniera indistinta a tutti gli ambiti assistenziali nell’ottica di un generico loro potenziamento, se manca una prospettiva strategica. È infatti indispensabile agire secondo un disegno strategico generale di riprogettazione: riclassificazione delle strutture, riorganizzazione dei servizi, razionalizzazione delle risorse, rimodulazione delle funzioni e riqualificazione del personale, seguendo la logica di semplificazione e di arricchimento degli assetti relazionali…».
Se si vuole che i concetti doveri e diritti siano da intendere in “simbiosi”, lo sono altrettanto i concetti del sapere e della conoscenza. Secondo la mia esperienza di divulgatore in tema di sanità, avendo seguito in diverse città molti convegni, congressi, giornate di studio e fatto molte interviste, più volte ho recepito la necessità di potenziare le strutture del territorio, pur considerando i diversi periodi di crisi e quindi di carenza di risorse materiali ed umane. Ma questa esigenza i cittadini sono in grado di comprenderla? E quanti di essi sono a conoscenza delle difficoltà applicative (e in taluni casi di mancanza di volontà politica per realizzare)? Ed ancora. Quanti sanno, ad esempio, cosa sono i LEA  e cosa prevedono, comprese quelle prestazioni “fuori Lea” ma garantite da apposite Delibere o Determinazioni come, ad esempio, quella della Giunta Regionale del Piemonte (n. 43-1979 del 29/4/2011) che prevede la fornitura degli ausilii sanitari per gli stomizzati, e che alcune Asl stentano ad applicare? Purtroppo (a mio avviso) due sono i “nemici” da affrontare: il “Federalismo sanitario” (che non è solo nazionale ma anche regionale, e che come stiamo da tempo constatando si è rivelato un fallimento), e il cosiddetto “raggiungimento degli obiettivi”. Nel primo caso ogni cittadino deve vedersela con la propria Regione (e Asl di appartenenza), il secondo caso consiste nel fatto che bisogna fare i conti con il valore economico dei beni sanitari calcolati in funzione dei consumi effettuati ad ogni semestre per ciascun anno, peraltro inteso come elemento utile alla programmazione dei consumi per l’anno successivo… Ma è proprio qui che nasce il problema: alcune Asl, per non “sforare” il budget loro assegnato e rispettare il raggiungimento dei propri obiettivi, tergiversano nei confronti dei loro concittadini-residenti (ignari dei loro diritti, o parzialmente a conoscenza degli stessi) nell’autorizzare quanto loro dovuto. La legge, ricordo, stabilisce che se un funzionario pubblico si astiene (ingiustificatamente) dal dare informazioni od erogare prestazioni al cittadino avente diritto, commette il reato di omissione in atti di ufficio (art. 328 C.P.). Ed è su quest’ultima osservazione che concludo il mio intervento invitando i miei concittadini ad essere più informati sui loro doveri e sui loro diritti, osservando sia gli uni che gli altri con la massima onestà intellettuale. Anche se ancora oggi, in molti cittadini, si riscontra un atteggiamento che ricorda quanto sosteneva Alessandro Manzoni (1785-1873): «Noi uomini siamo fatti così: ci rivoltiamo sdegnati contro i mali mezzani, e ci curviamo sotto gli estremi».




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