INTERVISTA ALLA DOTTORESSA ELENA CERUTTI

Cinquantenne, piemontese, è medico internista in un ospedale di Torino. Di raffinata formazione accademica e di buona cultura, lascia trasparire un’indole non solo umanistica ma anche umana, per il suo amore verso tutto ciò che è vita e cultura. Di animo nobile e semplice, sta riscuotendo discreti successi a seguito della prima pubblicazione con il suo romanzo autobiografico, un felice esordio in cui emerge il coraggio di mettersi in gioco per difendere la sua dignità di donna, madre e medico. Il suo spontaneo e costante sorriso è una “componente” non solo mimica ma soprattutto della sua psicologia comunicativa, capace di trasmettere serenità e coinvolgimento per tutto ciò che fa parte del vivere quotidiano con saggezza e… determinazione.


di ERNESTO BODINI



 Dottoressa Cerutti, perché medico?

“Ho scelto di fare il medico sin dalla più tenera età (almeno questa ritengo essere stata la mia indole), perché proveniente da una famiglia di medici (nonno, padre e zio), e il mio obiettivo nel corso degli anni si è andato sempre più delineandosi: un vero e proprio sogno che si è poi realizzato”.

Lei oggi è anche scrittrice e il suo recente esordio con un’autobiografia romanzata sembra promettere un futuro in ascesa. Come intende proseguire questo secondo impegno?

“Il mio primo lavoro, pubblicato nel 2014, è nato per un repentino desiderio-bisogno di far conoscere una “storia”, anche se la realizzazione ha richiesto molto tempo tanto da renderla un romanzo vero e proprio, sino a diventare per me addirittura una sorta di contributo terapeutico. Il secondo libro, a cui sto lavorando, richiede ancora più tempo e lo considero un ulteriore impegno letterario di altrettanto piacevole lettura di narrativa, per la verità un divertissement ma più completo e non meno coinvolgente”

Quale è stata la sua “musa” ispiratrice dal punto di vista letterario?

“In realtà non mi sono ispirata a nessuno, anche se mi coinvolge soprattutto la scrittrice cilena Isabel Allende per il suo particolare stile narrativo, e questo perché la sento a me più vicina quando leggo i suoi romanzi molto profondi e determinati nell’abbinare mito a realismo, come ad esempio la sua prima opera “La casa degli spiriti” del 1983. Una caratteristica, la sua, capace di coinvolgere e rendere partecipe il pubblico tanto che ha anche insegnato letteratura in vari College statunitensi”

Il suo talento umanistico-letterario, che va di pari passo con la sua sensibilità per tutto ciò che è vita e amore, è in qualche modo “sostegno” ai suoi impegni professionali e famigliari?

“Da un lato certamente è anche sostegno e dall’altro è un impegno perchè scrivere assorbe energie e tempo, non tanto al lavoro (che va comunque svolto), quanto invece alle relazioni sociali e soprattutto alla famiglia e, per questo, in un certo senso mi sento un po’ in colpa…”

In tema di letteratura e musica quali sono i suoi autori preferiti?

“Per la musica classica, ad esempio, prediligo Mozart; per la letteratura prediligo autori sud americani (come Isabel Allende, appunto). Sin dall’inizio del mio percorso scolastico ho sempre letto i classici, per poi orientarmi verso la letteratura moderna, anche se in me c’è il desiderio di tornare ai classici e magari leggere anche le poesie di Eugenio Montale, nobel per la Letteratura nel 1975”

Cosa significa per lei farsi “assorbire” dalla passione letteraria? È solo scrivere per comunicare, oppure anche altro?

“È certamente più piacevole per me scrivere e dedicarmi alla letteratura, e quindi alle materie umanistiche, oltre naturalmente a svolgere al meglio la mia professione, anche perché credo che oggi sono sempre di più i medici che si dedicano contemporaneamente ad attività culturali. A questo riguardo, ritengo sia un bisogno quello di evadere intellettualmente e, non a caso, da molti anni esiste l’Associazione Medici Scrittori Italiani (AMSI)”

C’é un episodio della sua vita che meriti essere ricordato?

“In verità ce ne sarebbero molti. Il primo che mi viene in mente, soprattutto per l’aspetto affettivo, riguarda il giorno della mia laurea in Medicina e Chirurgia, in occasione del quale mia nonna mi presentò con particolare orgoglio come sua nipote al presidente del Corso di Laurea (professor Guido Filogamo); la sua è stata una manifestazione incontenibile tanto che fu particolarmente recepita con simpatia dal docente accademico”

Secondo lei, Medicina e Letteratura è un felice “binomio” o, per qualche ragione, si impone una certa dicotomia?

“È sicuramente un binomio perfetto e, non a caso, esistono dei filoni di medici-scrittori (e medici-artisti in senso lato); una realtà che fa parte non solo della attuale generazione ma anche di epoche passate, tant’è che alcuni hanno lasciato la professione medica per dedicarsi totalmente alla letteratura o all’arte in varie discipline”


Oggi va sempre più imponendosi la cosiddetta Medicina Narrativa. Ritiene che il medico letterato sia particolarmemte incline nel doverla praticare?

“È ormai scontato che la “narrazione” è una terapia soprattutto per i nostri pazienti. La Medicina è la Facoltà tra le più umanistiche e forse è anche per questo che noi medici siamo più inclini (anche per dovere) a relazionare con il paziente e considerare la sua malattia non come una mera “fonte statistica”, ma piuttosto e soprattutto per averne una visione olistica. Quindi, la sua narrazione è molto importante oltre che determinante per una buona compliance”

C’é stato un momento in cui avrebbe voluto essere prima scrittrice  e poi medico?

“No, perché anche se mi è sempre piaciuto scrivere non ho mai pensato di fare la scrittrice; questo mio interesse per lo scrivere è venuto molto dopo”

Le donne-medico oggi sono sempre più in aumento rispetto ai colleghi maschi. Molto meno, invece, sono le donne-medico scrittrici. È una realtà che può avere una inversione di rotta?

“Io credo di si, sia pur solo per motivi statistici perchè se aumentano le donne-medico, di conseguenza aumenteranno le donne-medico scrittrici”

Nelle sue attività di medico e di scrittrice lei si sente anche un po' poeta nei confronti dei suoi pazienti?


“Alcune volte credo di si, anche se non ho mai scritto una poesia… Sentirsi un po’ poeti richiama il concetto del sentimento più profondo, e rivolgersi in questo modo a chi soffre (e a chi lo assiste) è un ulteriore modo costruttivo di comunicare per creare le basi per una buona empatia: medico-paziente-familiare”

(Foto di Ernesto Bodini)

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