Da
oltre ventisei anni un Premio internazionale
riconosciuto dalla Unione Europea
IL
PREMIO SACHAROV ALL’INSEGNA DEI
DIRITTI
E DEL RISPETTO DELL’UOMO
Ne porta il nome un paladino
e uno scienziato come apprezzamento
del suo lavoro; un
“portavoce” della coscienza dell’umanità
di Ernesto Bodini
Da sempre in tutto il mondo si parla di
libertà, di diritti, di pace ed altro ancora ma gli eventi discriminatori (mi
si perdoni l’eufemismo) di ogni sorta e grado continuano a perpetuarsi ovunque.
E proprio perché non sono molte le
iniziative volte a contrastarli ben vengano i riconoscimenti a coloro che nel
corso della loro vita si sono distinti per la libertà di pensiero, dell’informazione,
dell’indipendenza per aver contribuito alla socializzazione dei popoli e al
loro progresso. Tra questi, oltre il Premio Nobel, non meno significativo il Premio Sacharov per la libertà di pensiero,
istituito nel 1988 dall’Unione Europea come massimo riconoscimento agli sforzi
compiuti a favore dei diritti dell’uomo. È attribuito a singoli, gruppi e
organizzazioni che abbiano contribuito in modo eccezionale alla causa della
libertà di pensiero, e sinora è stato assegnato a dissidenti, leader politici,
giornalisti, avvocati, attivisti della società civile, scrittori, madri, mogli,
leader di minoranza, un gruppo antiterrorista, pacifisti, un attivista contro
la tortura, un vignettista, un prigioniero di coscienza lungamente detenuto, un
regista, una ragazza in lotta per il diritto all’istruzione e persino le
Nazioni Unite come organismo. Sono premiati, in particolare, la libertà di
espressione, la salvaguardia dei diritti
delle minoranze, il rispetto del diritto internazionale, o sviluppo della
democrazia e l’attuazione dello Stato di diritto.
Ogni anno, riporta il libro dei vincitori
del Premio Sacharov, il Parlamento Europeo consegna al vincitore del Premio una
somma di 50.000 euro nel corso di una sessione plenaria che ha luogo a
Strasburgo solitamente nel mese di dicembre. Tutti i gruppi politici del
Parlamento possono nominare candidati; anche i singoli deputati per ciascun
candidato possono farlo, con il sostegno di almeno 40 deputati per ciascun
candidato. I candidati sono presentati nel corso di una riunione congiunta
della Commissione per gli Affari Esteri, della Commissione per lo Sviluppo e
della Sottocommissione per i Diritti dell’Uomo, e i membri delle Commssioni
votano un elenco ristretto formato da tre candidati. Ma perché “Sacharov”? In
onore all’emblematico esempio del dissidente russo Andrej Dmitrievic Sakkarov
(Mosca 1921-1989 – nella foto). È
stato un fisico, famoso per il contributo alla messa a punto della bomba
all’idrogeno e successivamente per la sua notevole attività in favore dei
diritti civili che gli valse il riconoscimento del premio nobel per la Pace nel
1975. Accettò l’idea di un premio per la libertà di pensiero che portasse il
suo nome come un importante apprezzamento del suo lavoro a difesa dei diritti
umani. Considerava utile il conferimento di tale Premio in quanto avrebbe
richiamato l’attenzione sui problemi relativi ai diritti umani e incoraggiato
le persone che avevano dato un contributo in questo senso. Ed è così che il
Parlamento europeo annunciò la sua intenzione di istituirlo in una risoluzione
approvata nel dicembre 1985. Alcune note biografiche, citate dal Libro del
Premio, ricordano che l’azione decisiva nella sua evoluzione politica risale al
1967, quando esortò le autorità sovietiche ad accettare la proposta degli Stati
Uniti per una messa al bando bilaterale dello sviluppo dei missili di difesa
antibalistici, che egli descrisse come la più grande minaccia di conflitto
nucleare mondiale nel suo saggio del 1968 dal titolo “Considerazioni sul progresso, la coesistenza pacifica e la libertà
intellettuale”. Per tutta risposta
le autorità sovietiche respinsero le sue esortazioni e, in seguito alla
pubblicazione del saggio, bandirono completamente Sacharov dalle attività
militari più segrete e gli revocarono tutti i privilegi. Agli inizi degli anni
’70 divenne cofondatore della Commissione per diritti dell’uomo in Unione Sovietica, e la difesa
dei diritti umani, delle vititme di processi politici e, nonostante le
pressione da parte del governo, si impegnò ulteriormente per la liberazione dei
dissidenti nel proprio Paese, divenendo uno dei critici più “coraggiosi” del
regime sovietico. Insomma un “portavoce” della coscienza dell’umanità.
IL
PREMIO EDIZIONE 2014 A DENIS MUKWEGE
È un medico congolese, nato a Bukavu nel
1985, che si dedica a ricostruire i corpi e le vite di decine di migliaia di
donne congolesi, vittime di stupri collettivi e di brutali violenze sessuali
nella guerra in atto nella Repubblica democratica del Congo. Dopo la laurea in
Medicina ha fondato nell’ospedale di Lemera un reparto ginecologico, peraltro
distrutto allo scoppio del conflitto nel 1996. Il dottor Mukwege si è rifugiato
a Bukavu, dove ha creato un nuovo reparto di maternità e una sala operatoria,
ma anche questo è stato distrutto nel 1998 nella seconda guerra del Congo (poi
riaperto nel 1999). Non dandosi per vinto ha ricostruito l’ospedale a Panzi,
addestrando il personale e curando le donne che avevano subito violenza fisica…
Sino ad oggi ha curato 40 mila donne, accogliendo la prima vittima di stupro
con ferite da proiettile nei genitali e nelle gambe. In una intervista alla BBC
il dott. Mukwege ha dichiarato: «Ho
cominciato a chiedermi cosa stesse succedendo. Non erano solo violenze di
guerra, facevano parte di una strategia…; più persone venivano violentate
contemporaneamente, in pubblico; un intero villaggio poteva essere violentato
durante la notte. In questo modo non sono colpite soltanto le vittime, ma
l’intera comunità, obbligata a guardare.
Il risultato di tale strategia è che le persone sono obbligate a fuggire dal
proprio villaggio, abbandonare i campi, le proprie risorse, tutto». Mukwege
non solo è esperto a lievello internazionale nel trattamento dei danni
patologici, psicologici e sociali provocati dalla violenza sessuale, ma egli
stesso è stato vittima, nel 2011, di un attacco ad opera di uomini armati che hanno fatto irruzione in
casa sua e minacciato le sue figlie con
un fucile. Con la sua famiglia è riuscito a fuggire rifugiandosi prima in Svezia e poi in Belgio,
per poi far ritorno in Congo nel 2013, grazie a un gruppo di donne (che vivono
con meno di un dollaro al giorno), le quali con non pochi sforzi gli hanno
pagato il viaggio. Attualemente il dottor Mukwege vive e lavora nell’ospedale
di Panzi, che lui stesso dirige.
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