All’ospedale Maggiore di
Novara con i
chirurghi urologi e il
Robot Da Vinci Xi
LA
ROBOTICA PER LA RIMOZIONE DEI TUMORI PROSTATICI
Una
tecnologia all’avanguardia ma è sempre l’operatore alla base
di
ogni “azione” umana per la cura e l’assistenza dei pazienti
di Ernesto Bodini
Il cancro della prostata è il più
frequente tumore maschile. In Italia colpisce oltre 30 mila persone ogni anno
soprattutto tra i 60 e i 70 anni. A seconda delle caratteristiche e della
estensione della neoplasia sono possibili diversi trattamenti, ma se il tumore è
colto in fase iniziale e localizzato alla ghiandola oggi si può intervenire
chirurgicamente in modo più “efficace” e con ulteriori vantaggi grazie alla
disponibilità del robot chirurgico: il Robot Da Vinci Xi, di cui l’ospedale
Maggiore di Novara (sede clinica universitaria dell’Università del Piemonte
Orientale) si è dotato dal settembre scorso, e che viene utilizzato in gran
parte dalla Divisione di Urologia diretta dal prof. Carlo Terrone. Per
conoscere da vicino i vantaggi di questa moderna metodica venerdì 22 maggio ho
trascorso una mattinata in sala operatoria con il prof. Alessandro Volpe (e
collaboratori), nel corso della quale era in programma un intervento di prostatectomia
radicale robotica robot-assistita in un paziente di circa 70 anni, affetto da neoplasia maligna della
ghiandola. Sono le 8,40 quando varco la soglia della sala operatoria, dove si
svolge un autentico rito: la preparazione del chirurgo ha inizio con la
“vestizione”, ed è qui che ho notato come l’operatore entri in una fase di “concentrazione”, mentre
l’anestesista con tutte le misure di sicurezza proprie delle tecniche più
moderne, dà la possibilità di condurre l’intervento nel modo migliore per il
tempo necessario. La paziente attenzione di chi attende all’anestesia generale
con i moderni ritrovati della scienza e della tecnica, meriterebbe una sempre
maggiore valutazione: non si tratta di portatori d’acqua o di semplici membri
di una équipe, ma di veri protagonisti del successo o dell’insuccesso
operatorio. Come per altre esperienze, analoghe, ho sempre pensato che il
chirurgo, prima di iniziare un intervento, specie se di particolare impegno e
durata, si rivolga “a suo modo” a Dio poiché nulla può di fronte all’imponderabile
e comunque di fronte ai confini propri di ogni azione umana.
Il paziente è steso supino in posizione
litotomica (a gambe divaricate), e posto in anestesia generale dalla dott.ssa Maria
Cristina Mameli (coadiuvata dalla neo specializzanda dott.ssa Ilaria Faccio). Dopo
il posizionamento del catetere vescicale, che servirà a detendere la vescica e
a localizzarla durante l’intervento, la cute del basso addome viene
accuratamente disinfettata per renderla asettica. Due monitor vengono attivati
per la visione diretta dell’intervento; il tavolo della strumentista (Susanna
Casari) è dotato di tutto punto del necessario; ognuno occupa il proprio spazio
con la specifica competenza, ma in perfetta sinergia nell’agire e nei tempi; l’ambiente
è sereno e il dialogo tra gli operatori rispecchia un mondo apparentemente “ovattato”
ma decisamente consono alla solennità, e alla sacralità che è data dagli atti
che nella sala operatoria si compiono, dalla presenza della persona affetta dalla
malattia che si consegna alla esperienza e alla coscienza del chirurgo e dei
suoi collaboratori con fiducia assoluta. Il prof. Volpe, coadiuvato dai dott.
Michele Billia e dalla specializzanda dott.ssa Barbara Cavallone, pratica
alcuni fori nell’addome per l’introduzione di sei trocar addominali che
permettono il passaggio interno degli strumenti chirurgici. Il robot viene quindi
avvicinato al letto del paziente, mentre la consolle dello stesso è poco
distante. Da questa il chirurgo Volpe azionerà manualmente due joystick e
alcuni pedali per muovere i 4 bracci robotici, mentre altri strumenti
laparoscopici vengono manovrati al tavolo operatorio dai chirurghi Billia e Cavallone.
Dopo aver disteso la cavità peritoneale con
anidride carbonica per distanziare i visceri, è
ora possibile manovrare i bracci robotici dalla consolle con una visione
tridimensionale molto nitida, accurata, magnificata. Ogni movimento o atto è
attento, preciso e in perfetta sincronia tra operatori; il dialogo è disteso e
sereno e al tempo stesso disponibile nei miei confronti di “ospite-visitatore”
per qualche spiegazione relativa alle procedure. Dopo meno di tre ore
l’intervento termina con la rimozione della ghiandola prostatica (che è
risultata essere di circa 4-5 cm. di diametro), che verrà inviata al patologo
per il definitivo referto istologico; il sanguinamento è stato molto modesto.
Le anestesiste provvedono al risveglio del paziente, che verrà successivamente trasferito
al reparto di degenza.
Intervista al professor Alessandro Volpe
Da anni all’Ospedale Maggiore della Carità di
Novara e recentemente nominato Professore Associato, ha maturato esperienza in
Canada e in Belgio, dove ha affinato
la tecnica di chirurgia robotica e una importante esperienza clinica e scientifica, in particolare nel campo delle patologie oncologiche dell’apparato uro-genitale
la tecnica di chirurgia robotica e una importante esperienza clinica e scientifica, in particolare nel campo delle patologie oncologiche dell’apparato uro-genitale
Prof.
Volpe, quali i benefici di una prostatectomia radicale laparoscopica effettuata
con il robot chirurgico rispetto alla chirurgia tradizionale?
“I vantaggi della chirurgia robotica sono
in parte dovuti alla mini invasività della procedura: minore sanguinamento, meno
dolore post-operatorio e quindi minor bisogno di analgesia, meno giorni di
degenza, e un più veloce ritorno alle proprie attività usuali e lavorative.
Inoltre, con la chirurgia robotica si ha una maggiore precisione nella esecuzione
soprattutto delle parti più delicate dell’intervento Nel caso della prostatectomia
radicale il robot permette per esempio una più efficace preservazione dei fasci
neurovascolari al fine di preservare (quando possibile ed indicato) la potenza
sessuale, e contestualmente di ottenere un recupero più precoce della
continenza urinaria, due elementi indispensabili per la qualità della vita post
operatoria”.
Per
quanto tempo viene mantenuto il catetere vescicale dopo l’intervento di
asportazione totale della prostata?
“Generalmente per un tempo variabile di
circa 4-10 giorni. Nella nostra esperienza abbiamo standardizzato la rimozione 6
giorni dopo l’intervento per ottenere un compromesso tra rimozione precoce e
basso rischio di dover successivamente riposizionare il catetere a causa
dell’edema nella regione della nuova giunzione tra vescica ed uretra. Il
paziente, come quello operato oggi, verrà dimesso in terza giornata e tornerà
in sesta giornata per una visita di controllo ambulatoriale, nel corso della
quale avverrà la rimozione del catetere vescicale”
Quali
le indicazioni farmacologiche in questi casi?
“Durante la degenza si somministra una terapia
antibiotica ed eparina a basso peso molecolare per prevenire eventuali
infezioni e le trombosi venose profonde. Dopo l’intervento non sono indicate altre
terapie se l’istologia conferma una neoplasia localizzata alla ghiandola, e se
il PSA (un enzima prodotto dalla prostata) si azzera. In casi di malattia più
avanzata o mancato azzeramento del PSA può essere necessaria una radioterapia
post-operatoria o una terapia ormonale”
Quali
le patologie più ricorrenti che vengono trattate nella vostra Clinica
Universitaria?
“La nostra è una Struttura che si occupa
di tutti i problemi urologici, con particolare riguardo per le patologie
oncologiche prostatiche, renali, vescicali e testicolari; inoltre il nostro è
uno dei più attivi Centri di trapianto renale in Italia (trapianti da donatore
cadavere e da donatore vivente con prelievo laparoscopico del rene). Il nostro
Centro si occupa anche di patologie più comuni come l’ipertrofia prostatica
benigna (IPB), la calcolosi e la gestione delle patologie urologiche infettive
che sono prevalenti nella popolazione in generale”
Quanti
interventi di urologia robotica sono stati fatti da quando la vostra Divisione
ha adottato il robot Da Vinci Xi?
“Dal settembre 2014 abbiamo eseguito
circa 60 interventi di chirurgia robotica, con la prospettiva di incrementare ulteriormente
l’attività nei prossimi mesi. La scelta dei pazienti si basa su criteri di costo-beneficio:
selezioniamo infatti per la chirurgia robotica i pazienti nei quali questa
tecnologia può dare di più… Oltre alla prostatectomia radicale per tumore, la
robotica in urologia dà particolari vantaggi anche per l’asportazione
mini-invasiva delle neoplasie renali complesse (di grandi dimensioni e penetranti
in profondità nel tessuto renale) con preservazione dell’organo. Con la robotica
è inoltre possibile asportare anche la vescica per causa tumorale (cistectomia
radicale) ed effettuare la ricostruzione di nuovi “serbatoi” urinari con l’utilizzo
dell’intestino. A questo riguardo, abbiamo avuto di recente ospite il prof.
Peter Wiklund del Karolinska Institute di Stoccolma, uno dei massimi esperti
mondiali in questo tipo di procedure, che ha eseguito presso la nostra
struttura un intervento di questo genere”
Quali
le previsioni future?
“In Italia ci sono oltre 60 robot
chirurgici. Noi abbiamo a disposizione un robot chirurgico di ultima
generazione (“Da Vinci Xi”), un modello presente al momento attuale solo in pochi
Centri italiani. Il progetto per il futuro è quello di aumentare la qualità
della chirurgia robotica, indicando o richiedendo ai chirurghi corsi di
formazione specifici per questo tipo di chirurgia. Inoltre, è ragionevole
pensare più che ad una espansione capillare
della chirurgia robotica in tutti i Centri, con costi non sostenibili per il
SSN, ad una centralizzazione dell’attività di chirurgia robotica in Centri con particolare esperienza nei quali il robot potrebbe
essere utilizzato maggiormente con miglior ammortizzazione dei costi”.
Foto di Ernesto Bodini (in alto il
dott. Billia, il prof. Volpe alla consolle del robot,
e lo stesso nel suo studio) - (In visita il 22/5/2015)
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