ALBERT SCHWEITZER

FILOSOFIA DELLA CIVILTÁ

Riflessioni di Albert Schweitzer per porre fine, o limitare,
 una decadenza culturale e di comportamento tra i popoli


di Ernesto Bodini


«Poiché ritengo che il compito della mia vita sia quello di lottare sotto cieli lontani a favore degli ammalati, ritengo che dovremmo considerare il lavoro che occorre compiere per le misere genti di colore non semplicemente come un buon lavoro ma come un dovere che non deve essere evitato». È questa un delle più celebri e profonde affermazioni di Albert Schweitzer (1875-1965). Filosofo, teologo, organista e medico filantropo di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario della morte, ma nel contempo un’occasione per riprendere il concetto etico di quello che è stato il suo credo, ossia il “rispetto per la vita”, che più volte è evidenziato nella sua opera “Filosofia della civiltà” (Fazi Editore, 2014, pagg. 380, € 19,00). Una “ennesima” proposta editoriale che richiama ancor più esplicitamente il fatto che ancora oggi viviamo all’insegna della decadenza della civiltà; concetto da lui anticipato nel 1923 nella affermazione-monito: «Le conquiste intellettuali hanno prodotto circostanze che hanno finito per ripercuotersi negativamente in ogni angolo del vivere. Solo se ci impegneremo riusciremo a salvarci dalla deriva in cui siamo finiti…». Una profezia-presagio considerando gli eventi quotidiani dei nostri tempi, come se non fossero bastati i periodi del fascismo, nazismo, stalinismo, i due conflitti mondiali, etc. E qual è quindi il senso della vita, oggi? E cosa significa agire nel bene e per il bene? Ed ancora. Quale il giusto rapporto dell’uomo con il mondo (e quindi con la sua coscienza, verrebbe da aggiungere)? In quest’opera che il “grand docteur” e premio nobel per la Pace nel 1952, ha scritto e rielaborato tra il 1913 e il 1917 si rileva un’impietosa critica della realtà e della cultura dominanti.

Egli intravede e suggerisce una via di ricostruzione che si basa proprio sul concetto etico di “rispetto per la vita”, lasciando trasparire un convinto ottimismo per il progresso dell’umanità, e al tempo stesso fa un richiamo: «Il nostro pensiero filosofico ha smarrito la sua dimensione elementare e anche l’etica sembra brancolare nel buio. La vera filosofia deve muovere dalla constatazione più immediata della coscienza: sono vita che vuole vivere in mezzo a vita che vuole vivere». Un invito a sentirci tutti partecipi della vita di ogni essere che ci circonda. Attraversando la storia del pensiero filosofico da Platone a Kant sino ai suoi contemporanei, ne estrae (con senso critico) le argomentazioni relative al problema etico, e soprattutto alla relazione tra etica e civiltà. La sua visione è da considerarsi più che attuale, in quanto ben prima della globalizzazione approfondisce l’idea dell’interdipendenza di tutti gli esseri viventi sulla terra, anticipando la diffusione dei temi ecologici, e non perdendo mai di vista il concetto della solidarietà tra i popoli, soprattutto tra quelli più bisognosi e… diseredati. A riguardo scrive: «Solo chi sa trovare un valore in ogni attività consacrandosi ad essa con piena coscienza del dovere, ha l’intimo diritto di prefiggersi un’opera fuori del normale invece di quella che gli tocca naturalmente dalla sorte. Solo chi concepisce il suo proposito come qualcosa di ovvio, non di straordinario, e non conosce l’atteggiamento eroico, ma esclusivamente il dovere assunto con pacato entusiasmo, ha la capacità di essere un avventuriero spirituale. Non ci sono eroi dell’azione, ma soltanto eroi della rinuncia e della sofferenza… Colui che è stato risparmiato dal dolore deve sentirsi chiamato a contribuire a lenire il dolore degli altri. Tutti infatti, dobbiamo portare il fardello di sofferenze che pesa sul mondo: chi dà la propria vita per gli altri la consrva per l’eternità. Chi si propone di agire per il bene, non deve aspettarsi che la gente per questo gli tolga gli ostacoli dal cammino, ma rassegnarsi che, quasi ievitabilmente, gliene metta qualcun altro in mezzo». Sono questi, a mio avviso, alcuni spunti della sua saggezza (e di insegnamento) che ha anticipato con la sua opera umanitaria a cui ha dedicato oltre mezzo secolo di vita, nella sperduta foresta equatoriale del Gabon. Una dedizione le cui radici risalgono alla sua giovinezza, avendo riflettuto sin da all0ra sui rapporti tra etica e civiltà e sulla decadenza della nostra cultura, e che oggi basterebbe poco per ereditare il suo pensiero ed altrettanto poco per metterlo in pratica per “frenare” quella decadenza che non è solo culturale…

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