L’esempio
di Monica Priore che affronta il diabete “sfidando” il mare
Protagonista
di uno sport che ritiene essere parte integrante della terapia
di Ernesto Bodini
Non capita tutti i giorni di imbattersi
in pubblicazioni i cui autori raccontano in prima persona di aver contratto una
patologia (anche grave, tanto da costituire un handicap), e nel contempo di
“scoprire” che la si può affrontare non solo con i farmaci ma anche praticando
uno sport. È il caso di Monica Priore, una bella ragazza mora di 38 anni, di
Mesagne (Brindisi), che ha dato alle stampe “Il mio mare ha l’acqua dolce”
(Ed. Mondadori, 2014, pagg. 136, € 16.00). Un titolo dalla pseudo metafora
perché Monica è affetta dal Diabete 1, la forma più seria e impegnativa da
controllare ma che, se ben compensato, permette una qualità di vita
accettabile. L’autrice, nel suo semplice ed appassionato racconto
autobiografico, ripercorre le tappe sia dal punto di vista clinico che “esistenziale”,
coinvolgendo a vario titolo molti protagonisti (famigliari in primis) che ha
come riferimenti, sia per il loro sostegno che per la condivisione di quello
che è la sua ascesa in ambito sportivo.
Ed è qui che, intuendo qualche limite per
alcune discipline, vede nel nuoto la massima espressione di libertà di vivere
una vita spensierata ma al tempo stesso parte integrante delle terapie mediche,
che peraltro osserva con scrupolosità (quasi… maniacale). Una dedizione mirata
in cui sin dall’inizio del suo approccio si instaura una sorta di “confidenza”
con l’acqua marina (il titolo ha riferimento al diabete), tanto che dal nuoto
amatorial-terapeutico diventa addirittura agonistico. Anno dopo anno diventa
sempre più determinata, quasi a voler affrontare una sfida che le faccia
superare l’affronto che le ha fatto la Natura, ma che come sappiamo ha risvolti
di compensazione tant’é che le sempre più crescenti performance le consentono,
ancora oggi, di affrontare e superare notevoli traguardi come l’aver attraversato
nel 2007 lo “Stretto di Messina”, e nel 2010 la “Capri-Meta di Sorrento”. A
coronamento di tanto successo hanno fatto, e continuano a fare, da testimoni
molti amici che ben presto hanno imparato a conoscere e “condividere” l’entità
della sua patologia, ma nello stesso tempo a sostenerla nella organizzazione
dei suoi programmi. Una alleanza, potremmo dire, che trova le sue radici nella
sana intelligenza nel coniugare “sport-handicap”, ben lungi però da intenderlo
come slogan. Da qui la continua crescita di una Monica che invita tutti i
diabetici a non nascondersi dietro la loro patologia, ma a farsi conoscere e ad
imporsi nella società proprio perché la Medicina da sola non sempre guarisce;
anzi, spesse volte il prenderne atto con azione di totale coinvolgimento
collettivo, può contribuire ed essere parte integrante nel processo
terapeutico, sia fisico che psico-sociale.
Se per
Monica lo sport è vita e sentirsi uguale agli altri, ben venga questo
esempio per gli oltre 3,6 milioni di diabetici (in Italia). Un numero notevole
in quanto sono aumentati oltre il 35% dal 2003; ma va aggiunto 1 milione di
soggetti non diagnosticati, con un tasso di prevalenza del 9,3%, ed i cui costi
di ricovero si aggirano intorno ai 4 mila euro l’anno per ciascun paziente.
Anche per queste ragioni dal Parlamento è nato il primo Iintergruppo
parlamentare per combattere la malattia
con azioni di promzione culturale, e sostegno di una legislazione per regolare
le attività di prevenzione e gestione del diabete, ma anche di educazione
sanitaria.La filosofia dello sport è
certamente tanto coinvolgente quanto appagante, soprattutto se praticato sia a
livello amatoriale che agonistico. Una filosofia esistenziale che abbraccia da
sempre l’essere umano sin dall’antichità, ma oggi ancora di più se si pensa che
anche gli atleti disabili ne fanno una vera e propria ragione di vita. È il
caso, ad esempio, di Laura Rampini, una graziosa ragazza, oggi 43 enne (madre
di due bambini), nativa di Sigillo (Perugia); e dal 1995 in carrozzina a
seguito di un incidente stradale. Paraplegia è il termine della patologia che
ne è conseguita, ossia paralisi degli arti inferiori, condizione che ha
superbamente superato grazie alla forza del suo carattere, ma anche
all’insostituibile affetto della sua famiglia e, in particolare, della sorella
Cinzia e dei propri figli. Ma perché lo sport? È lei stessa che lo spiega nella
sua autobiografia “Nessuna barriera fra me e il cielo – La mia nuova vita da disabile a
Superabile”, scritta in collaborazione
con Graziella Durante e pubblicata da Mondadori (123 pagg., € 17,00). Un lungo
percorso che la vede protagonista in diverse discipline: sci, tennis, nuoto,
canotaggio, barca a vela, handibike, ma soprattutto paracadutista in cui si è
cimentata maggiormente, avvolta dall’ebbrezza del deltaplano e del parapendio
con 160 lanci divenendo la prima e unica paracadutista paraplegica al mondo. Un
record a dir poco “significativo” che le ha dato modo di affrontare non solo le
battaglie “contro il vento” ma anche, se non soprattutto, contro le barriere
culturali e dell’indifferenza verso chi non sa leggere “nell’altro” la parità
esistenziale, sia pur manifestata anche con la pratica dello sport in
condizione di solo apparente… svantaggio. «Ho faticato molto – sottolinea Laura – a trovare gli strumenti che mi
consentissero di esprimermi, di darmi da fare, di sentirmi presente nel mondo.
Lo sport è stato un grande alleato. Una scoperta che mi ha riportato alle
origini, alla mia infanzia e alla vitalità che la abita». I ripetuti contatti, tentativi e la complicità
di amici (ma anche della sorella) sono gli ingredienti che l’hanno “rafforzata”
e accompagnata all’interno del mondo sportivo, dove ha conosciuto vittorie e
sconfitte; un universo fatto di incontri, emozioni e aspirazioni dove esiste
una ragione in più per imporsi e dare maggior senso alla propria vita. E Laura,
nonostante le cadute (delusioni), anche in campo affettivo, ha voluto
condividere la sua esperienza fondando l’associazione “Liber-HAND-o” volta alla organizzazione di eventi sportivi per
disabili, oltre, nel 2009, al Progetto “Liberamondo”, in giro nelle Unità Spinali di tutta Italia. Forte delle tante
battaglie vinte nel corso degli anni, é riuscita ad abbattere un muro (spesso
di gommapiuma), superando confini e rimosso ostacoli, grazie anche ai numerosi
viaggi imparando che talvolta le distanze sono relative, perché sono le
emozioni che contano. Il suo carattere che, per certi versi, potrei definire
coriaceo, la eleva ad esempio per tutti quei disabili che hanno bisogno di
ritrovarsi e di riconoscersi nell’immagine di una persona matura e vitale
proprio come lei, forgiata dalle innumerevoli prove impostole dal destino,
senza arrendersi ma proseguendo sino a toccare spazi più liberi come il cielo
che ogni volta la ospita donandole quella beatitudine che così sintetizza: «Realizzare il sogno di volare
è l’emblema felice della mia lotta, il segno tangibile della mia rinascita.
Quella che può accadere nella vita di tutti. Di tutti coloro che hanno un sogno
nel cuore». Un sogno che quando diventa
realtà, per la persona disabile significa catarsi ma al tempo stesso il
raggiungimento di una meta che si chiama civiltà.
Tra le nuvole Laura Rampini ha ritrovato sè stessa
Tra le nuvole Laura Rampini ha ritrovato sè stessa
Quando lo sport è vita per i disabili
La filosofia dello sport è
certamente tanto coinvolgente quanto appagante, soprattutto se praticato sia a
livello amatoriale che agonistico. Una filosofia esistenziale che abbraccia da
sempre l’essere umano sin dall’antichità, ma oggi ancora di più se si pensa che
anche gli atleti disabili ne fanno una vera e propria ragione di vita. È il
caso, ad esempio, di Laura Rampini, una graziosa ragazza, oggi 43 enne (madre
di due bambini), nativa di Sigillo (Perugia); e dal 1995 in carrozzina a
seguito di un incidente stradale. Paraplegia è il termine della patologia che
ne è conseguita, ossia paralisi degli arti inferiori, condizione che ha
superbamente superato grazie alla forza del suo carattere, ma anche
all’insostituibile affetto della sua famiglia e, in particolare, della sorella
Cinzia e dei propri figli. Ma perché lo sport? È lei stessa che lo spiega nella
sua autobiografia “Nessuna barriera fra me e il cielo – La mia nuova vita da disabile a
Superabile”, scritta in collaborazione
con Graziella Durante e pubblicata da Mondadori (123 pagg., € 17,00). Un lungo
percorso che la vede protagonista in diverse discipline: sci, tennis, nuoto,
canotaggio, barca a vela, handibike, ma soprattutto paracadutista in cui si è
cimentata maggiormente, avvolta dall’ebbrezza del deltaplano e del parapendio
con 160 lanci divenendo la prima e unica paracadutista paraplegica al mondo. Un
record a dir poco “significativo” che le ha dato modo di affrontare non solo le
battaglie “contro il vento” ma anche, se non soprattutto, contro le barriere
culturali e dell’indifferenza verso chi non sa leggere “nell’altro” la parità
esistenziale, sia pur manifestata anche con la pratica dello sport in
condizione di solo apparente… svantaggio. «Ho faticato molto – sottolinea Laura – a trovare gli strumenti che mi
consentissero di esprimermi, di darmi da fare, di sentirmi presente nel mondo.
Lo sport è stato un grande alleato. Una scoperta che mi ha riportato alle
origini, alla mia infanzia e alla vitalità che la abita». I ripetuti contatti, tentativi e la complicità
di amici (ma anche della sorella) sono gli ingredienti che l’hanno “rafforzata”
e accompagnata all’interno del mondo sportivo, dove ha conosciuto vittorie e
sconfitte; un universo fatto di incontri, emozioni e aspirazioni dove esiste
una ragione in più per imporsi e dare maggior senso alla propria vita. E Laura,
nonostante le cadute (delusioni), anche in campo affettivo, ha voluto
condividere la sua esperienza fondando l’associazione “Liber-HAND-o” volta alla organizzazione di eventi sportivi per
disabili, oltre, nel 2009, al Progetto “Liberamondo”, in giro nelle Unità Spinali di tutta Italia. Forte delle tante
battaglie vinte nel corso degli anni, é riuscita ad abbattere un muro (spesso
di gommapiuma), superando confini e rimosso ostacoli, grazie anche ai numerosi
viaggi imparando che talvolta le distanze sono relative, perché sono le
emozioni che contano. Il suo carattere che, per certi versi, potrei definire
coriaceo, la eleva ad esempio per tutti quei disabili che hanno bisogno di
ritrovarsi e di riconoscersi nell’immagine di una persona matura e vitale
proprio come lei, forgiata dalle innumerevoli prove impostole dal destino,
senza arrendersi ma proseguendo sino a toccare spazi più liberi come il cielo
che ogni volta la ospita donandole quella beatitudine che così sintetizza: «Realizzare il sogno di volare
è l’emblema felice della mia lotta, il segno tangibile della mia rinascita.
Quella che può accadere nella vita di tutti. Di tutti coloro che hanno un sogno
nel cuore». Un sogno che quando diventa
realtà, per la persona disabile significa catarsi ma al tempo stesso il
raggiungimento di una meta che si chiama civiltà.
E.B.
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