PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA: DUE DISCIPLINE CONVERGENTI
Intervista a Marina Zappador
Psicologa
clinica e psicoterapeuta di formazione analitica relazionale, uno sviluppo
contemporaneo della psicoanalisi classica freudiana, di moderne concezioni sia
dal punto di vista analitico che da quello relazionale e terapeutico.
Significativi i suoi rilievi della personalità dei pazienti per un corretto e
mirato trattamento al fine di ottenere una alleanza terapeutica e una buona
compliance. Semplice e cordiale, ci ha concesso questa intervista per meglio
comprendere le problematiche umane ed esistenziali di pazienti adulti e
pediatrici, al centro di una società in continua evoluzione in fatto di costumi
e comportamenti.
di Ernesto Bodini
Dottoressa Zappador, quando nasce in lei la “vocazione” o l’interesse per una disciplina, tanto scientifica quanto umanistica, quale è la Psicologia clinica?
“Il mio interesse per la Psicologia
risale alla lettura in età giovanile degli “scritti Freudiani”: interpretazione
dei sogni, psicopatologia della vita quotidiana, introduzione alla
psicoanalisi, ed altro ancora. Concezioni che ritengo possano favorire una
maggior comprensione delle proprie vicende personali e dei fenomeni umani e
sociali; ossia un vero e proprio metodo di indagine per una mirata finalità
terapeutica. Inoltre, all’università ho avuto modo di approfondire la
conoscenza di altre teorie psicologiche ed altri orientamenti teorici, come
pure i contributi delle Neuroscienze. Da questi studi deriva la mia
predisposizione all’eclettismo (individuazione di elementi comuni tra i vari
orientamenti teorici e non divergenti, ndr). Infine, il mio orientamento
intende considerare ulteriori contributi che derivano da altre Discipline”
Qual è il
“target” dei suoi pazienti?
“Raramente sono persone che si
trovano in condizioni di svantaggio economico-sociale, e che spesso non
arrivano alla mia osservazione clinica proprio per indisponibilità quasi sempre
economica e, per questo, si rivolgono ai Servizi pubblici che offrono
assistenza sanitaria e sociale. Le persone che giungono alla mia attenzione
hanno maggiori disponibilità nel sostenere l’impegno economico e di tempo che
richiede un vero e proprio lavoro terapeutico. Altri ancora (di età tra i 30 e
i 60 anni), che giungono alla mia attenzione, non considerano la salute
psichica una priorità, mi contattano quando i sintomi sono molto radicati e il
disagio è invalidante, con la conseguenza che è più difficile il relativo
trattamento”
In una
società in continua evoluzione in fatto di costumi e comportamenti, quali sono
le azioni di intervento terapeutico più ricorrenti?
“Intervengo soprattutto per
trattare i disturbi depressivi, di ansia sia cronica che acuta, ossia attacchi
di panico che, per la verità, coinvolgono molto la popolazione giovanile (a
volte associati all’abuso di sostanze). Inoltre, i disturbi ossessivi
compulsivi (DOC), molto simili nel tempo e nelle varie culture, ossia sostanzialmente
come si presentavano nell’Ottocento all’epoca di Freud. Ma anche sui disturbi
dell’alimentazione come l’anoressia e la bulimia nervose, soprattutto in
soggetti femminili. L’obesità, invece, non è considerata un disturbo mentale,
anche se talvolta può assumere un significato psicologico in individui affetti
per esempio da disturbi della personalità, con ricadute di tipo relazionale.
Altro disturbo emergente da trattare è il cosiddetto “binge drinking”, ossia la
tendenza al consumo eccessivo di alcolici in un breve arco di tempo (ormai
diffuso stabilmente anche in Italia, registrando dal 2013 un costante aumento
in entrambi i sessi, ma sempre più tra gli adolescenti e in particolare tra i
maschi, ndr)”
I suoi
pazienti adulti sono più donne o più uomini?
“Non riscontro una differenza
significativa, ma piuttosto la differenza è legata più all’età che al sesso. I
disturbi depressivi e d’ansia sono maggiori nelle donne e le cause solitamente
sono multifattoriali: si tratta di problemi genetici, biologici, psicologici e
socio-culturali”
Qual è la
fascia di età del paziente pediatrico più soggetta alle sue terapie, e per
quali manifestazioni clinico-comportamentali è richiesto il suo intervento?
“Per quanto riguarda i bambini
e gli adolescenti intervengo sui comportamenti disfunzionali e aggressivi, e
nei disturbi dell’apprendimento come la dislessia, la discalculia, etc. Per i
soggetti in età evolutiva il problema si pone con i genitori in quanto taluni
sono reticenti nell’inviare i propri figli allo psicoterapeuta, e questo per un
sentimento di “vergogna” o il timore di essere in qualche modo colpevolizzati e
“giudicati”, e nel contempo soffrendo anche un disagio di “fallimento” nei
confronti del proprio bambino. Mentre è fondamentale intervenire precocemente
perché nei bambini la personalità è ancora in evoluzione e gli eventuali
sintomi clinici non sono ancora radicati, e quindi la prognosi risulta essere
più favorevole. Pertanto, è molto utile instaurare un’alleanza terapeutica
anche con i genitori”
Lo
scenario delle patologie di interesse psicologico e/o psicoterapeutico è molto
vasto. Quali sono i progressi più significativi dal punto di vista dei
risultati terapeutici, sia pur a lunga distanza?
“L’evidenza dell’importanza
delle esperienze precoci infantili, che possono influenzare l’espressione dei
geni e modificare poi l’attività del cervello e quindi il funzionamento
psichico della personalità. E ciò sostiene l’efficacia della psicoterapia che
rappresenta un’esperienza di relazione emotivamente significativa in grado di
produrre cambiamenti nel sistema nervoso. Ma i cambiamenti a volte sono
sovrapponibili a quelli delle terapie psicofarmacologiche, in altri casi sono
specifici sia a livello strutturale che di funzionamento”
Come si
rapporta il suo atto terapeutico con i suoi pazienti?
“La mia formazione dal punto
di vista terapeutico è psicoanalitica e in particolare il mio orientamento è
definito relazionale, uno sviluppo più recente della psicoanalisi classica;
quindi la mia azione terapeutica consiste principalmente nell’interazione
emotiva con il paziente, ossia un lavoro più emotivo che intellettuale, o
entrambi gli atteggiamenti, attraverso un linguaggio verbale e non”
I
problemi della relazione di coppia rientrano nella sua sfera professionale?
E con quale frequenza?
“Nella mia esperienza
personale vi sono singoli soggetti (in prevalenza donne) che presentano
problemi di coppia, legati alla sfera sentimentale e quindi di intesa; in altri
casi i problemi relazionali nascondono conflitti più profondi, quindi è
necessario lavorare sulla personalità e con un intervento individuale”
Il
linguaggio delle psicologo e/o psicoterapeuta è sempre “ben compreso” dal
paziente in trattamento?
“Ovviamente si adegua il
linguaggio al paziente rispetto alla sua età, al suo contesto culturale di
provenienza, etc. Tali accorgimenti spesso richiedono molto tempo soprattutto
perché man mano aumenta la “confidenza”, e tutto ciò dipende dagli obiettivi
che si vogliono raggiungere”
Quali
sono gli “accorgimenti” per ottenere una buona compliance del paziente?
“Si tratta di costruire una
alleanza terapeutica, peraltro ottimo predittore (elemento che consente di
effettuare una stima su un evento futuro, ndr) dei risultati della
psicoterapia. Per alcuni pazienti affetti da patologiaborderline questo obiettivo può durare alcuni anni in quanto gli
stessi non sono in grado all’inizio di stabilire una relazione intima e
collaborativa con il terapeuta. La frequenza delle sedute dipende dagli
obiettivi del trattamento e quindi è variabile: in genere una seduta alla
settimana, e per un programma terapeutico più profondo le sedute possono essere
di due-tre alla settimana”
La
formazione di uno psicologo e psicoterapeuta implica particolare
predisposizione per i “drammi” umani e sociali?
“Gli autori che si sono
occupati dei fattori che determinano la scelta di diventare psicoterapeuta,
hanno individuato una serie di caratteristiche personali nelle quali, per certi
versi, personalmente mi riconosco… Si tratta della capacità di prendersi cura
delle persone, esercitando funzioni sia materne che paterne; un’attitudine
all’introspezione che si sperimenta prima verso sé stessi e poi con il paziente
con la capacità di ascolto e di identificazione ed immedesimazione
empatico-emotiva. Ma anche avendo una naturale curiosità per le storie e le
esperienze umane”
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