IL CONCETTO DI ANGOSCIA SECONDO GLI STUDI
E L'INDIVIDUAZIONE DI SOREN KIERKEGAARD
di Ernesto Bodini
Ogni qualvolta si richiama l’attenzione sulla
innocenza, non manca mai la necessità di considerarla ignoranza. Ma
nell’ignoranza l’uomo non è determinato dal suo spirito, bensì dalla unione
della sua essenza di Essere naturale.
Questo concetto lo si riscontra anche nella Bibbia, la quale nega però all’uomo
ancora innocente la conoscenza della differenza esistente tra il bene ed il
male; quindi tutto quanto si può dire in merito perde e non ha alcun valore. A
questo riguardo Kierkegaard sostiene che l’umanità potrebbe vivere in pace ma
contemporaneamente qualcosa la turba, e nulla sembra apparente e tanto meno
identificabile. Poiché questo stato di cose concretamente è nulla, lo stesso
genera l’angoscia la quale rappresenta il mistero dell’innocenza e, poiché
l’angoscia è determinata dallo spirito, essa è di pertinenza della scienza
psicologica (da notare la modestia del filosofo, nda)e se in quest’ultima molto
poco è fatto cenno del concetto di angoscia.
Ma tale condizione dell’uomo di fronte a quanto può
accadere (in bene o in male) la si individua palesemente già negli adolescenti
perché innocenti: in essi, infatti, si osservano gli atteggiamenti avventurosi,
delle visioni mostruose nonché delle espressioni avvolte dal fascino del
mistero; perciò l’angoscia non può essere né un senso di colpa né un peso del
quale ci si debba liberare e nemmeno di una sofferenza che abbia a che vedere
con la beata e adorabile, anche se troppo effimera, innocenza. «È pur vero – aggiunge il sommo danese – che vi sono dei
fanciulli nei quali l’angoscia manca, ma ciò poco importa in quanto vi è
assenza di spirito, ed è pur vero che tale presenza è minore».
Anche in colui che è pervaso dall’angoscia e commette
una colpa e niente gli si può attribuire perché non è lui che la commette, è la
stessa angoscia che invadendo il suo spirito lo induce a commettere qualcosa
perché angosciato in modo più o meno controllato…;
ciò nonostante è possibile considerarlo responsabile perché se adulto, si è
lasciato trascinare dalla condizione di stato angoscioso che pur rifiutandolo
per paura conserva dentro di sé. «Questa circostanza – spiega
Kierkegaard – comporta una ambiguità che non ha eguali, tanto è vero che la
credenza del divieto avvenuto nello sperduto e misterioso Eden e la tentazione
del conseguente inganno, non è certamente una ambiguità o perlomeno non per
coloro che ne fanno osservazione con superficialità». Ma il perno dell’argomento dovrebbe stare nella
dimostrazione di come si manifesta l’angoscia e verificarne tali sintomi.
L’uomo è costituito da tre elementi fondamentali: anima, corpo e spirito. Se in ogni momento della sua esistenza non fosse
nient’altro che essere animale, non potrebbe mai diventare uomo, quindi nello
stato di innocenza non è prettamente animale. È evidente che lo spirito è
presente in modo istantaneo come un sogno in quanto è presente lui stesso, e
ciò è inevitabile perché il rapporto tra anima e corpo è disturbato da una
forza misteriosa e intrisa di ostilità; tale rapporto è come esistesse e nello stesso tempo non esistesse in quanto esiste attraverso lo spirito. Ciò sembra una
contraddizione ma è proprio la questione del rapporto fra le due possibilità
(esistere o non esistere) che si rapporta come angoscia.
L’uomo, però, non può liberarsi di se stesso per la
presenza dello spirito; non è neppure possibile che si lasci andare a vivere
una vita di tipo vegetativo, come non può sfuggire dall’angoscia poiché è ormai
parte della sua condizione, ma non è geloso perché vuole sfuggirla. «È palese – afferma Kierkegaard – che ora l’innocenza ha raggiunto il suo
culmine. Essa è ignoranza ma non brutale perché è determinata dallo spirito ed
in seno a questa determinazione, diventa angoscia ed ha per oggetto il niente
in assoluto». Infatti, un esempio
calzante ci viene dalla Genesi quando
Dio disse ad Adamo che non doveva mangiare dall’albero della conoscenza del
bene e del male; e va da sé che Adamo non poteva comprendere la differenza
esistente tra il bene ed il male, e ciò perché in quel momento era innocente,
ignorante e quindi in stato di angoscia. Ma pur ammettendo che la proibizione
stimola il desiderio, ne consegue la conoscenza delle cose anziché l’ignoranza;
nel caso su citato, Adamo era a conoscenza della libertà a lui concessa giacché
aveva il desiderio di poterla usare.
Quindi ogni divieto produce angoscia poiché lo stesso
stimola la possibile libertà: può essere questa una condizione di stato
angoscioso nei confronti del potere; quest’ultimo è in realtà una forma di
elevata ignoranza come più elevata è l’espressione della conseguente angoscia.
Solitamente quando si proibisce qualcosa si intende includere l’eventuale e
conseguente pena se si infrange il divieto. Adamo non ha certo compreso quando
Dio gli disse che sarebbe stato cacciato dall’Eden e che sarebbe divenuto un
essere mortale, ma di certo ha avuto l’idea di una terribile conseguenza. Gli
animali del resto sono in grado di comprendere il gesticolare ed i movimenti
delle labbra di chi gli si rivolge pur non comprendendo alcuna parola, ma se il
vietare stuzzica il desiderio, anche la parola che preannuncia una pena deve
stimolare l’idea del terrore. L’innocenza giunge così al suo apice. Essa è
parte dell’angoscia in confronto a tutto ciò che è fatto divieto ed alla stessa
pena. «È da ritenere pertanto –
conclude Kierkegaard – che la psicologia non può spingersi oltre, ma sino qui può
giungere a patto però che nell’osservare la vita degli uomini, continui a
verificare questi stati d’animo, origini ed eventuali conseguenze, rapportando
i casi ad ogni epoca in cui si sono verificati».
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