A margine della notizia riportata da tutti i mass media relativa alla diffusione di un video mandato in rete dall'Isis, in cui un ragazzino di 10 anni spara alla nuca di due prigionieri ("spie russe"?), ed un successivo titolo "Quei piccoli assassini allevati in un mondo senza speranze - Dalla Siria alla Nigeria cresce una generazione perduta", qui di seguito riporto la storia di un ignobile sfruttamento ai danni di un bambino pakistano, e di tanti minori nel mondo nelle stesse condizioni. E la relazione di Severn Suzuki, la bimba che zittì il mondo per 6 minuti. Ciò con l'intento del comune sapere per una "responsabile" riflessione di tutti noi.
di Ernesto Bodini
Tempo fa una rete televisiva nazionale ha trasmesso un
film-documentario. Si intitolava “Iqbal
Basih” (nella foto), storia di un bambino pakistano, vittima dello
sfruttamento del lavoro minorile. Una trama non solo commovente ma soprattutto
di stimolo alla riflessione sui diritti negati all’infanzia, per i quali i
“potenti” del mondo sono in parte responsabili perché non sanno (o non
vogliono) porre fine a questa ingiustizia che disonora il genere umano… quello
adulto, si intende. Una ingiustizia che si perpetua da molto tempo, troppo
tempo. La sua storia è ormai simbolo di un sogno perduto, ma rievocarla, sia
pur brevemente, ritengo sia un dovere e un “toccasana” per tutti e quindi
preludio ad un ritorno a quei valori che sottintendono il rispetto dei diritti
dei minori, della loro integrità fisica e psicologica, e della loro dignità. Iqbal
Masih è nato nel 1983 in una famiglia molto povera in una regione occidentale
del Pakistan. Quando aveva cinque anni la sua famiglia si indebitò per pagare
le spese matrimoniali della primogenita, e per questo è stato venduto dal padre
ad un fabbricante di tappeti. Per oltre sei anni è stato tenuto legato al suo
telaio, dopo aver tentato più volte di fuggire dai suoi sfruttatori, lavorando
dodici ore al giorno per 3 centesimi di euro. Un giorno del 1992 riuscì ad
uscire di nascosto dalla fabbrica-prigione, e insieme ad altri bambini a
partecipare ad una manifestazione del “Fronte di liberazione del Lavoro
Schiavizzato” (BLLF), dedicata alla “Giornata della Libertà”.
Proprio in quell’occasione Iqbal ebbe il coraggio di raccontare la sua
odissea e le condizioni di sofferenza degli altri bambini schiavizzati come
lui. Ebbe il sostegno del sindacato grazie al quale, attraverso successive
conferenze, estese l’informazione all’opinione pubblica a livello
internazionale. A Stoccolma, ad esempio, affermò: «Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici
strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite». In breve divenne un simbolo e portavoce del dramma di molti bambini
lavoratori; ebbe alcuni riconoscimenti, anche in denaro che utilizzò per una
causa che, purtroppo, non riuscì a portare a termine nonostante avesse
manifestato il desiderio di diventare avvocato per difendere i diritti di tutti
i bambini sfruttati nel mondo. Il 16 aprile 1995 venne ucciso dai sicari di una
organizzazione criminale (la mafia dei tappeti). Un epilogo che non ha però
scritto fine a questa storia perché da allora molte persone, enti ed
istituzioni hanno continuato la sua opera, ricordando al mondo intero che chi
vorrà comprare un tappeto di dubbia provenienza, offenderà la memoria di Iqbal
contribuendo a proseguire la catena dello sfruttamento del lavoro minorile. Ora,
sono molte le considerazioni che si possono fare, ed ognuna merita di
annoverare Iqbal tra i più giovani “eroi della sofferenza”. Un eroismo non fine
a se stesso ma volto a risvegliare quelle coscienze sopite, o ancora giacenti
nel torbido, di molti politici e di altre figure che potrebbero intervenire per
dovere etico ed istituzionale ma che irresponsabilmente restano inermi… forse
perché loro non hanno dovuto vendere i propri figli… (Su YouTube è proposto un filmato a lui dedicato).
A questo proposito mi sovviene, e lo ripropongo, il testo
dell’intervento che Severn Suzuki (nella foto), “La
ragazzina che zittì il mondo per 6 minuti“, e
che tenne nel 1992 a Rio de Janeiro, dove si svolse il primo Summit della
Terra.
«Buonasera, sono Severn Suzuki e parlo a nome di ECO (Environmental Children Organization). Siamo un
gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni e cerchiamo di fare la nostra parte,
Vanessa Suttie, Morgan Geisler, Michelle Quaigg e me. Abbiamo raccolto da noi
tutti i soldi per venire in questo posto lontano 5.000 miglia, per dire alle
Nazioni Unite che devono cambiare il loro modo di agire. Venendo a parlare qui
non ho un’agenda nascosta, sto lottando per il mio futuro. Perdere il mio
futuro non è come perdere un’elezione o alcuni punti sul mercato azionario.
Sono qui a parlare a nome delle generazioni future. Sono qui a parlare a nome
dei bambini che stanno morendo di fame in tutto il pianeta e le cui grida
rimangono inascoltate. Sono qui a parlare per conto del numero infinito di
animali che stanno morendo nel pianeta, perché non hanno più alcun posto dove
andare. Ho paura di andare fuori al sole perché ci sono de buchi nell’ozono, ho
paura di respirare l’aria perché non so quali sostanze chimiche contiene. Ero
solita andare a pescare a Vancouver, la mia città, con mio padre, ma solo
alcuni anni fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E ora sentiamo parlare
di animali e piante che si estinguono, che ogni giorno svaniscono per sempre.
Nella mia vita ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvatici,
giungle e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora mi chiedo se i
miei figli potranno mai vedere tutto questo. Quando avevate la mia età, vi
preoccupavate forse di queste cose? Tutto ciò sta accadendo sotto i nostri
occhi e ciò nonostante continuiamo ad agire come se avessimo a disposizione
tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni. Io sono solo una bambina e
non ho tutte le soluzioni, ma mi chiedo se siete coscienti del fatto che non le
avete neppure voi. Non sapete come si fa a riparare i buchi nello strato di
ozono, non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato, non
sapete come si fa a far ritornare in vita una specie animale estinta, non
potete far tornare le foreste che un tempo crescevano dove ora c’è un deserto. Se
non sapete come fare a riparare tutto questo, per favore smettete di
distruggerlo. Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro
governo, uomini d’affari, amministratori di organizzazioni, giornalisti o
politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii e
tutti voi siete anche figli.
Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che
conta 5 miliardi di persone, per la verità, una famiglia di 30 milioni di
specie. E nessun governo, nessuna frontiera, potrà cambiare questa realtà. Sono
solo una bambina ma so e dovremmo tenerci per mano e agire insieme come un solo
mondo che ha un solo scopo. La mia rabbia non mi acceca e la mia paura non mi
impedisce di dire al mondo ciò che sento. Nel mio paese produciamo così tanti
rifiuti, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, compriamo e
buttiamo via, e tuttavia i paesi del nord non condividono con i bisognosi.
Anche se abbiamo più del necessario, abbiamo paura di condividere, abbiamo paura
di dare via un po’ della nostra ricchezza. In Canada, viviamo una vita
privilegiata, siamo ricchi d’acqua, cibo, case abbiamo orologi, biciclette,
computer e televisioni. La lista potrebbe andare avanti per due giorni. Due
giorni fa, qui in Brasile siamo rimasti scioccati, mentre trascorrevamo un po’
di tempo con i bambini di strada. Questo è ciò che ci ha detto un bambino di
strada: «Vorrei essere ricco, e se lo
fossi vorrei dare ai bambini di strada cibo, vestiti, medicine, una casa, amore
ed affetto».
Se un bimbo di strada che non ha nulla è disponibile a condividere,
perché noi che abbiamo tutto siamo ancora così avidi? Non posso smettere di
pensare che quelli sono bambini che hanno la mia stessa età e che nascere in un
paese o in un altro fa ancora una così grande differenza; che potrei essere un
bambino in una favela di Rio, o un bambino che muore di fame in Somalia, una
vittima di guerra in medio-oriente o un mendicante in India. Sono solo una
bambina ma so che se tutto il denaro speso in guerre fosse destinato a cercare
risposte ambientali, terminare la povertà e per siglare degli accordi, che
mondo meraviglioso sarebbe questa terra! A scuola, persino all’asilo, ci
insegnate come ci si comporta al mondo. Ci insegnate a non litigare con gli
altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto
tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le
cose, a non essere avari. Allora perché voi fate proprio quelle cose che ci
dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze, perché le
state facendo? Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi
dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: «Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro
meglio». Ma non credo che voi possiate dirci più queste
cose. Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice sempre
siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa
piangere la notte. Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una
sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole.
Sono passati più di 22 anni da questo toccante intervento, ma a mio parere poco o nulla è cambiato. Anzi...!
Sono passati più di 22 anni da questo toccante intervento, ma a mio parere poco o nulla è cambiato. Anzi...!
Commenti
Posta un commento