L’indignazione della
popolazione di Casale Monferrato allo stremo della sopportazione che non è più
tale di fronte alle assurdità della in-giustizia italiana, ennesimo riscontro
reale. Dopo la sentenza “shock”, ora si attende la possibile “rivisitazione”
del concetto di prescrizione del reato per i 256 omicidi il cui unico imputato
è il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny
di Ernesto Bodini
È di questi ultimi giorni la notizia, pubblicata sui
principali quotidiani nazionali, sulla sentenza “beffa” relativa alla condanna
del maggior responsabile della morte di molti lavoratori dell’Eternit di Casale
Monferrato – AL (sede della “famigerata” fabbrica della morte), ma anche di
cittadini che hanno…semplicemente vissuto in quelle zone. L’assurda ingiustizia
(e non è un eufemismo) sta nell’annullamento della condanna per avvenuta
prescrizione: un colpo di spugna che ha indignato non poco i famigliari delle
vittime e gli attuali malati di mesotelioma pleurico (che hanno contratto la
malattia dopo molti anni di esposizione) che purtroppo non lascia scampo… Ma
come e quando è avvenuto in Italia il boom di questo mortale manufatto? Se la
storia serve per capire è bene conoscerne almeno alcune tappe.
Nel 1912 due ingegneri italiani, Adolfo Mazza e
Magnani, diedero un importante contributo alla messa a punto della prima
macchina per la produzione di cemento-amianto, e a partire dalla seconda metà
degli anni ’50, nonostante la già più o meno nota conoscenza della pericolosità
del manufatto, si coibentarono con questo materiale le carrozze ferroviarie,
fino ad allora isolate con sughero… In Italia veniva estratto soprattutto in
Valtellina e nelle cave di Balangero (Torino), la più grande d’Europa, che
funzionò dal 1916 al 1990. In queste cave si ricavavano annualmente 125-130
mila tonnellate di materiale asbestoso (soprattutto crisotilo e tremolite). In particolare, lo sfruttamento industriale del giacimento di
crisotilo a Balangero è iniziato durante la prima guerra mondiale ma solo nel
1932, però, ebbe luogo la regolare registrazione degli operai: nel 1970 la
produzione della miniera ha superato le 100 mila tonnellate di amianto
crisotilo.
A metà degli anni ’70 si cominciò ad usarlo (ancora
più irresponsabilmente) nei settori più disparati: dall’aeronautica
all’edilizia, dalla cantieristica navale all’industria petrolchimica; ma anche
in ambito domestico, per ferri da stiro, macchine lavasecco e,negli anni ’50,
la crocidolite è stata persino usata nei filtri delle sigarette. Gli usi
industriali si moltiplicarono rapidamente fino a raggiungere una produzione
annua mondiale di 5 milioni di tonnellate. Ma è stato proprio questo uso
massiccio di amianto ad aver provocato allarme e preoccupazione profonda
perché, dopo la conferma della sua nocività alla New York Academy of Sciences a
nome del medico statunitense Irvin Selikoff (1915-1992), non solo in Italia ma
anche nella maggior parte dei paesi del mondo, non c’è
Paese che non lo abbia utilizzato e che ancora oggi debba fare i conti con i
costi altissimi della bonifica e della salute di molte persone che,
direttamente o indirettamente, sono state esposte a questo materiale “killer”.
Tra le industrie maggiormente responsabili nell’uso dell’amianto sono stati i
cantieri navali di Monfalcone (Gorizia), costruiti nel 1907, la più grande
struttura cantieristica del bacino mediterraneo e una delle più importanti del
mondo, e il sodificio Solvay di Monfalcone, attivo dagli anni ’20. Ed ancora.
La raffineria Aquila di Trieste, aperta nel 1937; l’Eternit di Casale
Monferrato, un tempo il maggior produttore nazionale di lastre in
cemento-amianto. Altro caso emblematico è senza dubbio lo stabilimento
Italsider situato nell’area industriale di Bagnoli (Napoli), oltre a quello di
Taranto, in funzione fino al 1989 come Ilva S.p.a. Tale stabilimento,
rientrante tra le industrie cosiddette a “rischio d’incidente rilevante” ai
sensi della direttiva CEE 85/501, produceva, tra l’altro Eternit, ovvero
cemento-amianto e pertanto è stato considerato rientrante tra gli stabilimenti
da bonificare ai sensi delle legge n. 257/1992.
LA STORIA “INFINITA”
DELL’ETERNIT DI CASALE MONFERRATO

In questa azienda dal 1950 al 1986 vi hanno
lavorato complessivamente 3.362 persone (che hanno sempre usato crisotilo e crocidolite), tra le quali si è osservato un aumento significativo della mortalità
totale e delle malattie associate all’amianto. In altre parole, in questa
cittadina piemontese si è registrato il più alto indice, a livello nazionale,
di mortalità per mesotelioma. Facendo riferimento alle prime ricerche nazionali
sulla pericolosità dell’amianto, avviate nel 1930, dopo alcuni anni (1947) è
stata accertata la prima vittima per mesotelioma
pleurico (tumore letale che colpisce il rivestimento dei
polmoni, ndr) tra i lavoratori; tra il 1980 e il 1999 sono stati rilevati 89
casi di mesotelioma, solo 26 tra i dipendenti dell’Eternit. Nel 1986 l’azienda
dichiarava fallimento, e nel contempo veniva attuato il primo progetto di
bonifica; nel 2000 si cominciava a calcolare le vittime dell’amianto (oltre 500
tra ex dipendenti e comuni cittadini); nel 2001 sono iniziati i lavori di
smaltimento e nel 2002 veniva prevista la fine dei lavori.
In questi ultimi anni è stato pure girato un
documentario (“Indistruttibile”), a cura del giornalista freelance Michele
Citoni, che ha soggiornato nel paese per una settimana. Da allora (ma anche
prima) hanno avuto tutti voglia di parlare, svelando retroscena a dir poco
dolorosi: «… periodicamente – ha raccontato una ex lavoratrice – ci mandavano dei medici aziendali per tranquillizzarci… dicevano che andava tutto bene per la
nostra salute, ma erano pagati dal padrone». E il
sindacato? Non era ben visto, i delegati avevano vita difficile: «Io ero tra quelli – ricorda uno di loro –, i nostri datori indirizzavano tutti quelli di sinistra al “Cremlino”: era un modo per
indicare i compiti più rischiosi, spazi angusti e mucchi di “polvere” alti come noi…». Mentre infuriava la polemica tra la dirigenza e le associazioni
operaie, tutte le altre aziende del territorio cominciarono a respingere
sistematicamente le richieste di lavoro degli ex dipendenti Eternit. Non
volevano rischiare di assumere personale “malato”. Il fallimento dell’azienda
risale al 1986, dichiarato dal tribunale di Genova, e i dirigenti furono trascinati
in tribunale solo nel 1993. Probabilmente solo in quella occasione i
“sopravvissuti” hanno conosciuto i responsabili della morte dei loro congiunti!
E oggi, con la sentenza che prescrive il reato di omicidio, l’unico
responsabile sembra farla franca… salvo una revisione (totale o parziale) del
processo riconsiderando più concretamente le tesi dell’accusa.
NUMERI CHE CONTANO …
A causa dell’Eternit di Casale sono 2.191 i
deceduti per mesotelioma pleurico tra il 1951 e il 2008; 55 i morti che si susseguono
ogni anno; 557 i lavoratori che hanno collaborato all’inchiesta come testimoni;
2.272 le persone che si sono costituite come parte civile all’inizio del
processo; circa 5.000, secondo la Procura, sono le vittime che avrebbero
diritto ad essere risarcite; e 220 mila sono le pagine di atti giudiziari
depositate nell’indagine.
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